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Arabia Saudita: “La soluzione dei due Stati è l’unico modo di riconoscere Israele”

Arabia Saudita: “La soluzione dei due Stati è l’unico modo di riconoscere Israele”

K metro 0 – Riyadh- Secondo un diplomatico arabo che ha chiesto di mantenere l’anonimato, l’unico modo in cui l’Arabia Saudita riconoscerà Israele è la soluzione di due Stati, che includa la creazione di uno Stato palestinese. Lo ha voluto rivelare in esclusiva ad Al Arabiya English. Israele ha tuttavia più volte risposto di essere

K metro 0 – Riyadh- Secondo un diplomatico arabo che ha chiesto di mantenere l’anonimato, l’unico modo in cui l’Arabia Saudita riconoscerà Israele è la soluzione di due Stati, che includa la creazione di uno Stato palestinese. Lo ha voluto rivelare in esclusiva ad Al Arabiya English.

Israele ha tuttavia più volte risposto di essere contrario a concedere ai palestinesi un proprio Stato, soprattutto dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. A febbraio, inoltre, un voto del parlamento israeliano aveva già ribadito il rifiuto di una soluzione del genere per il conflitto in corso da decenni.

I Paesi arabi hanno da tempo dichiarato di essere disposti a riconoscere Israele, ma a condizione di risolvere la questione palestinese. Possibilità tuttora aperta, malgrado il 7 ottobre. “Ma ci deve essere un percorso irreversibile e irrevocabile” verso la creazione di uno Stato palestinese, ha detto il diplomatico arabo. E spetta al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riconoscere l’”opportunità “storica” che si presenta a lui, a Israele e alla regione. Di qui anche la richiesta di un cessate il fuoco immediato.

Richiesta confermata anche dall’alto diplomatico saudita, principe Faisal bin Farhan, che ha sempre messo in rilievo l’importanza di compiere passi irreversibili per riconoscere lo Stato di Palestina sulla base dei confini del 4 giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale.

Concorda il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che durante il discorso sullo Stato dell’Unione di giovedì sera, ha dichiarato: “Non c’è altra strada che garantisca la pace tra Israele e tutti i suoi vicini arabi, compresa l’Arabia Saudita”.

L’amministrazione Biden sta cercando in effetti da tempo di mediare quello che sarebbe un accordo di portata storica, dopo tanti fallimenti e pasticci. Lo scorso ottobre, il Segretario di Stato Antony Blinken avrebbe dovuto visitare l’Arabia Saudita per discutere un piano concreto di normalizzazione. Prima del tragico 7 ottobre, una proposta prevedeva tre diverse zone palestinesi: i sauditi volevano uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, compresa Gerusalemme Est come capitale, appunto. Ma le fonti hanno riferito alla testata araba che sarebbero accettabili anche altri confini concordati dagli stessi palestinesi.

Altrettanto cruciale della creazione di uno Stato palestinese sarebbe un trattato o un patto di sicurezza tra Washington e Riyadh, nonché la cooperazione sul programma nucleare civile dell’Arabia Saudita. “Se normalizziamo, chi proteggerà l’Arabia Saudita da eventuali attacchi a seguito di questo accordo?”, ha chiesto sempre il diplomatico arabo, facendo riferimento al congelamento delle vendite di armi ai Paesi del Golfo, compresa l’Arabia Saudita, da parte dell’amministrazione Biden. Alla domanda se gli Stati Uniti fossero più ansiosi di ottenere un accordo di normalizzazione rispetto all’Arabia Saudita, il diplomatico ha risposto: “Assolutamente sì”.

Raggiungere tale traguardo sarebbe un enorme risultato di politica estera per l’amministrazione Biden, il cui caotico ritiro dall’Afghanistan, seguito dalla carta bianca concessa a Israele per la sua campagna militare a Gaza, ha danneggiato la posizione di Washington in tutto il mondo, in particolare tra le nazioni musulmane. Anche gli Stati Uniti, infatti, sotto la guida di Biden, hanno preso di mira i Paesi del Golfo con diverse mosse di politica estera quando sono entrati in carica.

In questo contesto, infine, la leadership di Netanyahu è “in pericolo”, secondo una nuova valutazione dell’intelligence statunitense. Il rapporto 2024 Annual Threat Assessment, pubblicato lunedì, ha difatti espresso preoccupazioni sulla visione di Israele per la fine della guerra e sollevato dubbi sulla possibilità che Netanyahu possa rimanere al potere con un accordo sugli ostaggi bloccato e una crescente pressione da parte degli israeliani per assicurarne il rilascio.

“La sfiducia nella capacità di Netanyahu di governare si è approfondita e ampliata nell’opinione pubblica rispetto ai livelli già alti di prima della guerra e ci aspettiamo grandi proteste per chiedere le sue dimissioni e nuove elezioni”, si legge nel dossier. Netanyahu sta affrontando una crescente pressione in Israele, poiché il suo fallimento nel riportare a casa gli ostaggi detenuti da Hamas ha portato a proteste nel Paese e a richieste di elezioni anticipate. Un sondaggio d’opinione dell’Istituto israeliano per la democrazia ha mostrato che la sua popolarità è crollata: solo il 15 percento degli israeliani vuole che il presidente sia eletto.

Analisti e osservatori hanno suggerito pertanto che se e quando la guerra di Gaza finirà, Netanyahu difficilmente sarà in grado di mantenere il potere. Egli rischia anche una potenziale condanna al carcere per un processo di corruzione in corso.

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