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Incendi a marzo: un’anomalia sempre più frequente nel bacino del Mediterraneo

K metro 0 – Madrid – Il rischio estremo di incendi boschivi è raddoppiato nel bacino del Mediterraneo negli ultimi 40 anni e con esso anche la probabilità che il loro impatto sia due volte più grave. Come dimostrano gli incendi divampati, il 23 marzo, tra le province di Castellón, nella Comunità Valenciana, e Teruel,

K metro 0 – Madrid – Il rischio estremo di incendi boschivi è raddoppiato nel bacino del Mediterraneo negli ultimi 40 anni e con esso anche la probabilità che il loro impatto sia due volte più grave.

Come dimostrano gli incendi divampati, il 23 marzo, tra le province di Castellón, nella Comunità Valenciana, e Teruel, in Aragona, che hanno devastato 4.000 ettari di boschi, causando l’evacuazione di 1.500 persone. Incendi che hanno sorpreso non solo per la loro virulenza, ma soprattutto per il periodo in cui sono scoppiati, proprio all’inizio della primavera.  

Con l’aumento delle temperature e le minori  precipitazioni, la stagione degli incendi si allunga. Non è più limitata all’estate, spiega Samira Khodayar, direttrice del Centro studi ambientali del Mediterraneo di Valencia. 

Il cambiamento climatico amplia  la finestra temporale  del rischio incendi, tanto che “in alcune aree del Levante si salvano praticamente solo un paio di mesi”, avverte Fernando Valladares, membro del Consiglio superiore spagnolo delle ricerche scientifiche. 

Tra  le cause che aggravano gli incendi, c’è il riscaldamento globale, che non li  provoca direttamente, ma  è alla base dei fattori fondamentali che li determinano: temperature più elevate, bassa umidità relativa, velocità del vento, mancanza di precipitazioni nelle zone asciutte e accumulo di combustibile secco (vegetazione arsa).

Nei prossimi anni, l’area mediterranea investita dagli incendi potrebbe aumentare tra il 98 e il 187% se la temperatura media globale salirà di circa tre gradi rispetto ai livelli preindustriali, secondo un rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici dell’ONU.  

Con il cambiamento climatico le anomalie diventeranno meno anomale e ciò che accadeva ogni 60 anni ora accadrà ogni 20, ogni cinque o quasi ogni anno, avverte Valladares.

La scorsa estate è stata già una premonizione di quella che potrebbe diventare la nuova normalità per quanto riguarda gli incendi. Anche il susseguirsi di ondate di caldo – tra cui una a maggio, raramente vista prima – è stata una  “anomalia”.  Ma “quelle condizioni saranno la norma nel 2035”, sostiene il professor Víctor Resco de Dios dell’Università di Leida.

Quelle ondate di caldo e la mancanza di pioggia hanno contribuito a rendere il 2022 l’anno peggiore per gli incendi mai registrato, con oltre 300.000 ettari bruciati: quattro volte la media dei 15 anni precedenti.  

La Spagna chiude il suo anno peggiore di incendi: quattro ettari  su dieci, nell’Ue, sono andati bruciati nel suo territorio. Servono “azioni urgenti”, avverte Resco,  per ridurre il rischio. Ma affinché siano efficaci bisogna intervenire su  un’area pari a tre volte quella bruciata. Se l’anno scorso sono stati bruciati 300.000 ettari, bisogna intervenire su  1.000.000 di ettari all’anno. E’ più economico prevenire (a un costo di 2.000 euro all’ettaro), che spegnere (a un costo ben più elevato, di 19.000 euro all’ettaro). Inoltre, si può ottenere anche un ritorno  economico, per esempio, con la vendita delle biomasse.

L’area che è bruciata verso la fine di marzo in Spagna soffre, come tante altre in passato, di problemi di abbandono rurale e perdita dell’attività agricola tradizionale, che creava paesaggi “a mosaico” che agivano da tagliafuoco naturale.

Fra le altre misure di prevenzione, gli esperti indicano un divieto più severo di bruciare le stoppie, considerato una possibile causa degli incendi. Ma ì rifiuti agricoli, non dovrebbero essere bruciati in ogni caso, a causa delle emissioni che generano e dei problemi di salute per gli agricoltori e la popolazione delle zone limitrofe quando inalano il fumo che producono, avverte Valladares.

Bruciarli anche in “bassa stagione”, come tradizionalmente si faceva, ora ha un rischio maggiore, perché non c’è più “autunno e inverno senza il rischio di incendi dovuti al cambiamento climatico”. Meglio sarebbe invece triturarli e rimescolarli al terreno o spostarli in altri luoghi.

Gli incendi di Castellón e di Teruel sono stati un avvertimento di ciò che può accadere durante questa primavera e, soprattutto, questa estate. “Se le condizioni meteorologiche non cambiano e questa primavera continua ad essere secca come questo inverno, noi ingegneri forestali tremiamo per ciò che potrebbe accadere quest’estate”, ha dichiarato Raúl de la Calle, membro del Colegio Oficial de Ingenieros Técnicos Oficiales.

Andiamo verso scenari sempre più simili a quello del fatidico 2022, aggiunge Valladares, e “a meno che non ci sia un cambiamento del ciclo climatico, dobbiamo adattarci e anticipare gli eventi”.

(rtve)

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