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Ghana: abusi, corruzione e morte sui pescherecci cinesi

Ghana: abusi, corruzione e morte sui pescherecci cinesi

K metro 0 – Accra – Li trattano come schiavi. “Li picchiano, gli sputano addosso, li prendono a calci“, dice Tsai Kweku.  Lui ne sa qualcosa. C’è già passato. Parla dei maltrattamenti inflitti ai suoi compagni di lavoro imbarcati sui pescherecci cinesi che operano al largo delle coste del Ghana. Kweku lavora come nostromo, un

K metro 0 – Accra – Li trattano come schiavi. “Li picchiano, gli sputano addosso, li prendono a calci“, dice Tsai Kweku.  Lui ne sa qualcosa. C’è già passato. Parla dei maltrattamenti inflitti ai suoi compagni di lavoro imbarcati sui pescherecci cinesi che operano al largo delle coste del Ghana.

Kweku lavora come nostromo, un ufficiale responsabile delle attrezzature e dell’equipaggio. La sua testimonianza, raccolta in un reportage  di George Wright e Thomas Naadi per la BBC, denuncia condizioni di vita e di lavoro che trovano conferma in un recente rapporto dell’Environmental Justice Foundation (EJF) una ONG per la difesa dell’ambiente e il rispetto dei diritti umani, con base a Londra.

Kwueku dice di essere stato costretto a lavorare per tre giorni senza dormire, senza cibo e bevendo  acqua sporca. Ma il destino di alcuni dei suoi compagni pescatori è stato anche peggiore. Uno di loro si ammalò di colera a bordo di una nave cinese, ma l’equipaggio si rifiutò di riportarlo a terra per le cure. Non è tornato vivo. Un altro si ustionò gravemente dopo  un incendio a bordo. Un altro rimase impigliato in  un’elica. Nessuno dei due è sopravvissuto e le famiglie non hanno ricevuto un adeguato risarcimento.

Sono solo alcuni esempi dei presunti abusi e negligenze diffusi sui pescherecci cinesi che, fra il 1985 e il 2013, come già precisato in un rapporto precedente di EJF, avevano già  ampliato le loro operazioni di pesca in  Africa, passando da 13 a 426 navi.

Ma la particolare situazione del Ghana aveva raggiunto un’eco globale dopo la pubblicazione, nel 2018, di un rapporto di EJF, che documentava la presenza “impressionante” di navi da pesca cinesi “nelle acque del Ghana”. Almeno il 90% dei pescherecci industriali che operano in Ghana sono di proprietà di società cinesi, in violazione delle leggi ghanesi sulla proprietà delle navi che pescano sotto bandiera locale.

Pescherecci in gran parte di frodo che sfruttano manodopera schiavizzata e distruggono le riserve dell’Africa occidentale, per fornire i mercati ittici d’Europa. Rintracciare i proprietari dei pescherecci che operano in Ghana è complicato. La proprietà straniera di navi da traino industriali è illegale, ma alcune aziende cinesi aggirano l’ostacolo con società di copertura ghanesi.

Dal 2018, il Ghana ha nominato osservatori sui pescherecci col compito di raccogliere dati sulle loro attività e sulle pratiche di pesca illegali.

E dalle loro testimonianze rese alla BBC è emerso che vengono spinti a prendere tangenti per seppellire le prove della pesca illegale e degli abusi sulle navi cinesi. “Molti dei nostri colleghi prendono soldi e presentano rapporti al ministero che non sono veri”, dice un osservatore, che ha chiesto l’anonimato.

Tutti gli osservatori intervistati affermano che i loro salari sono bassi e spesso ci vogliono fino a cinque mesi per riceverli, per cui le tangenti sono necessarie per sfamare le loro famiglie.

Altri hanno paura di finir male. E qualcuno in effetti è finito in mare… affogato. Non di rado, funzionari del Ministero della pesca chiedono agli osservatori di presentare prove, che poi fanno sparire, minacciando chi le ha fornite…  

Steve Trent, fondatore e capo di EJF, afferma che l’elevata concentrazione di proprietà cinesi all’interno delle flotte da traino è un problema in tutta l’Africa occidentale.

Ma in Ghana il problema è “particolarmente acuto”. “Questi armatori mettono di solito un capitano cinese a capo delle navi per comandare l’equipaggio principalmente ghanese e sono questi capitani i maggiori responsabili degli abusi”, compiuti per accontentare i proprietari che cercano solo  di “massimizzare i profitti”.

Le indagini di EJF hanno scoperto una corruzione sistemica “a quasi tutti i livelli, compresi i funzionari del ministero della pesca, la polizia e gli ufficiali della  marina” che dovrebbero far rispettare i regolamenti.

Qualche progresso nel contrasto alla pesca illegale in Ghana, sostiene Trent, è stato compiuto, ma c’è ancora molto da fare.

Tsai Kweku vorrebbe che il governo consentisse ai pescatori di organizzarsi in sindacati e afferma di aver architettato un sistema per far sì che  prima di imbarcarsi ottengano un regolare contratto. Ma lui come altri, sono stati vittime di abusi, violenze e intimidazioni. E  qualcuno è stato eliminato.

“Abbiamo perso molti pescatori in mare, ma non si fa nulla…

Tutti abbiamo paura di andar per mare ma non c’è lavoro a terra”, conclude sconsolato.

Di fronte alla denunce di EJF, l’ambasciatore cinese a Londra ha replicato che il suo paese ha sempre  lavorato, insieme ad altri membri della comunità internazionale, per reprimere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

Resta il fatto che dai racconti dei marinai  emerge l’enorme costo umano della pesca di frodo, un business miliardario, difficile da contrastare. I pescherecci spesso restano in mare per mesi e mesi, raggiunti ogni quindici giorni dalle navi frigorifere che caricano il pescato e scaricano vettovaglie. Operando molto al largo, riescono a evitare di essere intercettati per lunghi periodi, e gli equipaggi sono di fatto prigionieri. Quelli intervistati da Ejf hanno descritto condizioni di lavoro che rispecchiano la definizione di schiavitù delle Nazioni unite. E le violenze, i mancati pagamenti del salario e il sequestro dei documenti sono eventi comuni.

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