K metro 0 – Bruxelles – Le immagini che ogni giorno arrivano da Gaza – corpi mutilati, bambini in lacrime, famiglie in fuga – stanno lentamente scuotendo la coscienza dell’Europa. Dopo 19 mesi di guerra, l’eco del conflitto non è più lontana. È una ferita che pulsa anche nei corridoi di Bruxelles, dove cresce il
K metro 0 – Bruxelles – Le immagini che ogni giorno arrivano da Gaza – corpi mutilati, bambini in lacrime, famiglie in fuga – stanno lentamente scuotendo la coscienza dell’Europa. Dopo 19 mesi di guerra, l’eco del conflitto non è più lontana. È una ferita che pulsa anche nei corridoi di Bruxelles, dove cresce il dissenso verso l’offensiva militare israeliana e il suo alto costo umano.
L’ultimo annuncio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha segnato un nuovo capitolo della guerra: l’inizio dell’operazione “Carri di Gedeone”, un’offensiva terrestre su larga scala nel nord e sud della Striscia. Le vittime si contano a centinaia ogni notte. Nuove evacuazioni forzate sono state imposte alla popolazione, già stremata da fame e sfollamenti continui. “La morte ci insegue”, scrive in un messaggio WhatsApp Jebreel Abu Kmail, cittadino di Gaza, come riferito da RTVE.
Nel cuore dell’UE qualcosa si muove. Diciassette Stati membri, tra cui la Spagna, hanno chiesto la revisione dell’Accordo di associazione con Israele, in particolare dell’articolo 2, che vincola al rispetto dei diritti umani. La presidente della diplomazia europea, Kaja Kallas, ha confermato l’apertura del dibattito. Ma mancano ancora l’unanimità e l’appoggio di paesi chiave come Germania e Italia.
Parallelamente, alcuni alleati occidentali stanno prendendo misure più decise. Il Regno Unito ha sospeso i negoziati per un nuovo accordo commerciale con Tel Aviv e ha imposto sanzioni a organizzazioni e coloni israeliani attivi in Cisgiordania. L’ambasciatrice israeliana a Londra è stata convocata dal ministro degli Esteri David Lammy come gesto di protesta. “Non possiamo restare complici di questa carestia criminale”, recita una lettera aperta firmata da cittadini britannici di origine israeliana rivolta al primo ministro Keir Starmer.
Irene Fernández Molina, docente di Relazioni internazionali all’Università di Exeter, vede in questi segnali un primo passo importante. “Il governo Netanyahu ha dimostrato di non avere limiti. Queste misure arrivano da un Paese con una comunità israeliana attiva e senza elezioni imminenti, il che conferisce loro un peso politico reale”.
Ma per ora si tratta di iniziative isolate. Secondo José Enrique Conde Belmonte, esperto di diritto internazionale alla Complutense di Madrid, senza una posizione comune dei 27, le sanzioni resteranno simboliche. “Bloccare gli aiuti umanitari, spostare forzatamente la popolazione e occupare un territorio non sovrano sono violazioni gravi del diritto internazionale. Ma ciò che più preoccupa è l’impunità selettiva con cui si agisce”.
Dal 7 ottobre 2023, le vittime palestinesi superano le 56.000. Dopo la rottura del cessate il fuoco lo scorso 18 marzo, i morti sarebbero oltre 3.200 solo nelle ultime settimane. Secondo le Nazioni Unite, 14.000 bambini rischiano la morte per malnutrizione. La situazione alimentare è tragica. L’assedio totale imposto da Israele ha bloccato cibo, acqua e medicine. Anche dopo la recente revoca parziale del blocco, solo una minima parte degli aiuti riesce a raggiungere la popolazione.
Pilar Orduña, responsabile dell’azione umanitaria di Oxfam Intermón, spiega che il sistema alimentare è collassato. “La farina è aumentata del 3.000% in due mesi. I negozi sono chiusi, l’accesso al contante è impossibile. Mezzo milione di persone rischia la morte per fame”.
Secondo il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, la strategia è chiara: “Non più incursioni mordi e fuggi. Ora conquistiamo, ripuliamo e restiamo”. Parole che hanno suscitato reazioni internazionali, ma che riflettono una linea politica condivisa da un governo sostenuto da figure ultraradicali. Per il direttore di Universae, Manuel Gazapo, “l’obiettivo è radere al suolo Gaza, eliminare ogni testimone diretto delle atrocità. È una guerra ideologica”.
Più del 70% del territorio della Striscia è già stato occupato. L’OCHA denuncia evacuazioni forzate nelle principali città del sud come Khan Younis. “Si tratta di crimini contro l’umanità”, sostiene Conde Belmonte. “Non stiamo assistendo solo a una crisi umanitaria. Siamo davanti a una sfida aperta al diritto internazionale”.
Intanto, l’Europa si trova di fronte a un bivio storico. Continuare a tacere significherebbe accettare una complicità silenziosa. “Quando tutto sarà compiuto – ammonisce Fernández Molina – si griderà allo scandalo, ma sarà troppo tardi. Gaza sarà stata distrutta e la memoria internazionale dovrà fare i conti con la sua inerzia”.