Il genocidio dell’informazione a Gaza, la denuncia dei giornalisti

Il genocidio dell’informazione a Gaza, la denuncia dei giornalisti

K metro 0 – Roma – Ieri mattina, in piazza Santi Apostoli di Roma, si è tenuta una iniziativa promossa dall’Ordine dei giornalisti del Lazio e dall’Associazione Articolo21 (la Presidente onoraria Barbara Scaramucci lanciò l’idea) – insieme a ReteNoBavaglio e a MoveOn – dedicata alla triste lettura dei nomi delle giornaliste e dei giornalisti uccisi

K metro 0 – Roma – Ieri mattina, in piazza Santi Apostoli di Roma, si è tenuta una iniziativa promossa dall’Ordine dei giornalisti del Lazio e dall’Associazione Articolo21 (la Presidente onoraria Barbara Scaramucci lanciò l’idea) – insieme a ReteNoBavaglio e a MoveOn – dedicata alla triste lettura dei nomi delle giornaliste e dei giornalisti uccisi a Gaza.

Nell’aprire la manifestazione il presidente dell’Ordine laziale Guido D’Ubaldo e il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti hanno voluto ricordare l’eroica attività di croniste e cronisti palestinesi che hanno permesso di conoscere almeno un po’ il dramma del genocidio in corso, fornendo materiali e sequenze preclusi agli inviati e alle agenzie internazionali, cui è stato impedito da governo ed esercito israeliani di varcare i confini.

Anzi. Il giubbotto con la scritta «Press», tradizionalmente una salvaguardia, è diventato il bersaglio di un orribile tiro a segno.

Articolo21 aveva approntato un grande manifesto, steso al centro della piazza, con nomi, data e cause delle morti, come omaggio doveroso ai 289 operatori assassinati. Il numero deriva da fonti serie, ma aumenta purtroppo di giorno in giorno.

Sul palco si sono alternate tantissime persone del mondo giornalistico – per il manifesto Chiara Cruciati-, del parlamento e della politica (da Angelo Bonelli, a Ilaria Cavo, a Paolo Cento, a Giuseppe De Cristofaro, a Barbara Floridia, a Nicola Fratoianni, a Roberto Giachetti, ad Alfonso Gianni, a Paolo Emilio Russo, a Filippo Sensi, a Walter Verini), della cultura e dello spettacolo.

Qualche nome: Loredana Cannata, Anna Ferruzzo, Anna Foglietta, Leo Gullotta, Daniela Poggi, Francesca Reggiani, Massimo Wertmuller. E, poi, il Presidente dell’Anpi nazionale Gianfranco Pagliarulo. In piazza la Cgil con Sandro Del Fattore e Riccardo Saccone. E Roberto Natale del Cda della Rai, nonché Flavio Lotti coordinatore della Tavola della Pace.

Roma Capitale era presente con l’assessore alla cultura Massimiliano Smeriglio.

Due nomi letti a testa, senza alcuna enfasi, bensì con la forza espressiva del dolore mantenuto nelle viscere e non urlato. Come pure si sarebbe voluto, perché siamo di fronte a qualcosa di inedito, che segnerà per sempre storia (Storia) e immaginario.

È stata un’importante prova di consapevolezza mostrata da una categoria professionale spesso accusata di chiusura corporativa, e tuttavia (con ritardo, certamente) ora in prima fila nella tutela del diritto-dovere dell’informazione.

Lo stesso Ordine si sta rivelando un riferimento significativo in tante lotte democratiche, come fu quella per la libertà di Julian Assange, ad esempio. Non a caso hanno partecipato il Presidente della Federazione della stampa Vittorio Di Trapani e il Segretario della Stampa romana Stefano Ferrante.

L’iperveloce svolta autoritaria in corso in occidente e fedelmente rappresentata dal governo di Giorgia Meloni non sopporta la bilancia dei poteri. Informazione e magistratura sono nel mirino di tale nuovo autoritarismo. L’impunità giudiziaria diviene essenziale e il segreto è un’arma insieme alle altre armi.

Il numero dei giornalisti uccisi o feriti non ha pari con ciò che è successo negli altri conflitti, essendo di fatto ormai le guerre un’ibridazione tra vecchie modalità di attacco e difesa, e l’uso massivo degli strumenti ultramoderni guidati dall’intelligenza artificiale. Tutto questo non va raccontato, perché si fonda sull’esclusività dei saperi al comando e sulla necessità di limitare la conoscenza attorno alle inedite forme del dominio.

L’informazione deve morire. Le cosiddette democrature esigono pura propaganda, influencer compiacenti, veline di regime e comunicazioni embedded, quelle sotto il controllo degli eserciti a sovranità limitata.

L’informazione deve scendere sul territorio innocuo dei gossip, delle infinite narrazioni giallistiche su casi del passato, dell’inseguimento della dichiarazione politica per i pastoni spesso autoprodotta con un cellulare.

La presenza in piazza, non solo a Roma, ha inteso significare che non ci si vuole arrendere e che la lotta sarà tenace e intensa.

Chi vuole spegnere le luci si illude. Coloro che sono morti ci lasciano chiaro un messaggio: continuate, non fermatevi. A Gaza e nei vari teatri di guerra, noti o misconosciuti.

È un obbligo morale, che restituisce significato e valore allo stesso giornalismo, come vera etica civile.

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Vincenzo Vita
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