K metro 0 – Bruxelles – La dichiarazione per il cessate il fuoco “immediato, incondizionato e permanente” nella Striscia di Gaza firmata oggi, 21 luglio, da 25 ministri degli Esteri e della Commissione europea, rappresenta una svolta importante nello scenario internazionale. La posizione assunta nei confronti di Benjamin Netanyahu è di estrema fermezza, potenzialmente minacciosa. È improbabile
K metro 0 – Bruxelles – La dichiarazione per il cessate il fuoco “immediato, incondizionato e permanente” nella Striscia di Gaza firmata oggi, 21 luglio, da 25 ministri degli Esteri e della Commissione europea, rappresenta una svolta importante nello scenario internazionale.
La posizione assunta nei confronti di Benjamin Netanyahu è di estrema fermezza, potenzialmente minacciosa. È improbabile che il primo ministro israeliano possa resistere alla pressione di uno schieramento che comprende, di fatto, tutto l’Occidente tranne gli Stati Uniti.
Netanyahu viene invitato ad “eliminare immediatamente le restrizioni al flusso di aiuti” e a “consentire urgentemente alle Nazioni Unite e alle Ong umanitarie di svolgere il loro lavoro salvavita in modo sicuro ed efficace”. Vengono definite “del tutto inaccettabili” le proposte per il trasferimento della popolazione palestinese in una “città umanitaria”, ed è espressa “ferma opposizione” verso qualsiasi “cambiamento territoriale o demografico nei territori palestinesi occupati”.
Nel testo compare anche una velata minaccia: i 25 firmatari si dicono “pronti ad intraprendere ulteriori azioni per sostenere un cessate il fuoco immediato e un percorso politico verso la sicurezza e la pace per israeliani, palestinesi e l’intera regione”.
È significativo che questa dichiarazione arrivi dopo l’indignazione manifestata da Papa Leone XIV, in seguito al bombardamento israeliano della Chiesa della Sacra famiglia a Gaza, avvenuto giovedì 17 luglio.
A giocare un ruolo centrale nell’iniziativa, è certamente stato il premier britannico, Keir Starmer che, dopo aver firmato importanti accordi bilaterali con Francia e Germania, ha probabilmente lavorato per allargare la dichiarazione ai Paesi non europei.
La dichiarazione, infatti, è firmata non solo da gran parte dei Paesi dell’Unione europea (tra cui l’Italia), ma anche dai Paesi dell’Associazione europea di libero scambio (Islanda, Norvegia e Svizzera) e dai componenti più “occidentali” del Commonwealth: Australia, Canada e Nuova Zelanda.
Il documento mostra tutti i timori e la frustrazione dei leader occidentali in un momento in cui i conflitti armati si moltiplicano e le tensioni commerciali non accennano ad allentarsi, anzi. Pur essendo gli Stati Uniti richiamati nella dichiarazione come Paese guida dei negoziati di pace, il documento rappresenta una sfida aperta al presidente Donald Trump. Essa, infatti, isola la Casa Bianca dai suoi alleati storici e potrebbe gettare le basi per una nuova alleanza, unita dalla necessità, ma anche dai valori.
È un risultato che difficilmente Trump si aspettava e che certamente non prenderà bene. Se nascesse, questo nuovo blocco avrebbe grande forza economica e finanziaria, eccellenti capacità tecnologiche, ampia disponibilità di minerali (si pensi alle risorse di Australia e Canada) e sarebbe costituto da Paesi i cui eserciti, buona parte dei quali parte della Nato, sono stati addestrati ad operare insieme.
Ancora una volta è importante il ruolo di Papa Leone XIV, non solo perché nato negli Stati Uniti. Il Pontefice ha passato gran parte della sua vita nel Sud del mondo e gode di grande seguito in Paesi cruciali dell’America latina (il Brasile, l’Argentina il Messico), dell’Africa (Nigeria, Repubblica democratica del Congo) e dell’Indo-Pacifico (Filippine, ma anche Corea del Sud).
Papa Leone XIV, che proprio oggi ha ricevuto in Vaticano il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, è apprezzato anche dai palestinesi, il che favorisce una certa benevolenza da parte del mondo arabo.
Per la Russia, la formazione di questo aggregato non è una buona notizia, perché è molto probabile che, uniti, questi Paesi siano in grado di aumentare in maniera significativa il costo di un’eventuale vittoria di Mosca sull’Ucraina.
Chi guarda con interesse alla possibilità che un simile blocco emerga sulla scena internazionale, invece, è certamente il presidente cinese Xi Jinping, che nell’ultimo anno si è fatto alfiere del libero commercio, e che potrebbe facilmente trovare accordi con questi Paesi, proprio al fine di mantenere efficienti i mercati globali. D’altra parte, è lo stesso Trump a spingere i propri alleati a trovare strade che possano limitare i danni della politica tariffaria statunitense.
Certo, per “l’Occidente unito meno gli Usa” non sarà facile tornare al “business as usual” con i cinesi, perché la lezione del Covid è stata appresa e tutti si rendono ben conto che la dipendenza da Pechino per le materie prime cruciali è pericolosa.
di Fabio Squillante
Editore Nova.