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Spagna, persi 150 miliardi di euro nel 2022 in capitale umano

Spagna, persi 150 miliardi di euro nel 2022 in capitale umano

K metro 0 – Madrid – Nel 2022, la Spagna ha perso 150 miliardi di euro in capitale umano, il 40% in più rispetto alle cifre precedenti alla pandemia, secondo i dati del rapporto “Il valore economico del capitale umano in Spagna e nelle sue regioni” della Fondazione BBVA e dell’Istituto Valenciano di Ricerca Economica.

K metro 0 – Madrid – Nel 2022, la Spagna ha perso 150 miliardi di euro in capitale umano, il 40% in più rispetto alle cifre precedenti alla pandemia, secondo i dati del rapporto “Il valore economico del capitale umano in Spagna e nelle sue regioni” della Fondazione BBVA e dell’Istituto Valenciano di Ricerca Economica. Dati simili sull’emigrazione non venivano riportati dal 2014. Il capitale umano è difatti la risorsa più preziosa per l’economia di un Paese, secondo la Banca Mondiale, che indica che le persone producono il 64% della ricchezza totale del mondo.

Cosa s’intende per capitale umano? Il direttore dello studio, Lorenzo Serrano, professore all’Universitat de València, ricorda a Rtve che questa cifra riflette “il valore attuale di tutti i redditi da lavoro lordi prevedibilmente generabili fino alla pensione”. In altre parole, non è quello che il Paese perde in un anno, ma quello che la Spagna perderebbe se l’emigrante rimanesse all’estero per sempre.

Per questo motivo, il valore del capitale umano di un lavoratore che sta per andare in pensione è scarso rispetto a quello generato da un giovane – un terzo degli emigranti appartiene a questa fascia di età -. Inoltre, l’istruzione è un altro fattore chiave per calcolare quanto denaro la Spagna perde con l’emigrazione: una persona con un alto livello di istruzione è probabile che generi di più di un’altra senza istruzione.

Dal 2013 il numero di emigranti non aveva smesso di diminuire grazie alla ripresa economica, per questo l’aumento dopo la pandemia è sorprendente. Nel 2019, il capitale umano emigrato rappresentava lo 0,7% del totale dei lavoratori, mentre tre anni dopo questa percentuale è aumentata di due decimi di punto percentuale, arrivando allo 0,9%. Allora perché stanno aumentando di nuovo dopo la pandemia se il mercato del lavoro spagnolo è più solido che mai?

Secondo Lorenzo Serrano, la chiave di volta è la “drastica esperienza” della pandemia. Non tanto una questione di emigrazione in sé, quanto di un cambiamento nel comportamento delle persone: “Ora le persone remano un po’ verso quello che vogliono sia il loro futuro, anche in termini di lavoro”, spiega il ricercatore, secondo il quale sono più esigenti e c’è meno conformismo e ” se devi andare all’estero per ottenere qualcosa di meglio, allora vai all’estero”.

Tuttavia, dopo la pandemia, sembra esserci un cambiamento di tendenza in termini di livello di istruzione dei migranti. Il numero di persone con un’istruzione primaria aumenta di dieci punti percentuali dal 2019 al 2022, mentre diminuisce il numero di migranti con un’istruzione secondaria (-3,4 p.p.) e terziaria (-3,8 p.p.).

A questo proposito, Serrano sottolinea che il livello di istruzione degli emigranti nati in Spagna e degli immigrati nel loro complesso è molto diverso. “La maggior parte dei migranti non sono in realtà spagnoli, ma immigrati che emigrano altrove o che tornano nel loro Paese d’origine”, evidenzia. Pertanto, il numero di migranti che si sono formati in Spagna è minore, dunque rappresenta un settore della popolazione con i livelli di competenza più elevati, cioè quelli che più contribuiscono all’economia del Paese. “Stiamo parlando di oltre il 60% degli emigranti nati in Spagna, con formazione finanziata dalla Spagna, che hanno un’istruzione superiore”, conclude Serrano.

Non solo notizie negative, però. Il ricercatore ricorda infatti che “la migrazione è una strada a doppio senso”. “Tenendo conto che i flussi di immigrazione sono stati maggiori di quelli di emigrazione per un certo periodo di tempo, l’immigrazione è un fattore che sta ancora contribuendo a mantenere il capitale umano dell’economia spagnola”, spiega, pur non avendo dati sufficienti per calcolarne l’impatto.

Secondo i dati di BBVA, l’Unione europea è la destinazione di quattro emigranti spagnoli su dieci. Lo stipendio medio nei Paesi europei è di 2.302 euro al mese, quasi 500 euro in più rispetto alla media spagnola (1.822 euro al mese). Differenza che può aumentare a seconda del Paese. Ad esempio, lo stipendio medio in Svezia, è di 2.604 euro, 800 euro in più rispetto alla Spagna, secondo i dati dell’ultimo Adecco Salary Monitor.

Questo tipo di condizioni di lavoro – salario, qualità dell’impiego, stabilità – e altre questioni come l’accesso non sono misure per il ritorno dei talenti, ma, secondo Lorenzo Serrano, sono “misure più trasversali, con un impatto più globale e che possono evitare che si verifichi una migrazione così intensa”. Il ricercatore sottolinea inoltre che il pensionamento “massiccio” della generazione del baby boom e il problema dei posti vacanti in Spagna potrebbero portare a maggiori opportunità di lavoro in posizioni qualificate. “La leva che spinge i giovani a emigrare potrebbe essere meno intensa a causa di questo cambiamento nella situazione del mercato del lavoro spagnolo”, conclude.

 

di Sandro Doria

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