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Media: Uiguri spiati, torturati e repressi

Media: Uiguri spiati, torturati e repressi

K metro 0 – Pechino – Un’inchiesta congiunta delle testate giornalistiche ZDF frontal e “Spiegel” rivela che gli uiguri sarebbero stati spiati dai dipendenti di un partner dell’azienda chimica Basf. Il fatto risale al febbraio 2018, quando i dipendenti della Xinjiang Markor Chemical di Korla partono per una “sorta” di viaggio di lavoro. La loro

K metro 0 – Pechino – Un’inchiesta congiunta delle testate giornalistiche ZDF frontal e “Spiegel” rivela che gli uiguri sarebbero stati spiati dai dipendenti di un partner dell’azienda chimica Basf.

Il fatto risale al febbraio 2018, quando i dipendenti della Xinjiang Markor Chemical di Korla partono per una “sorta” di viaggio di lavoro. La loro destinazione è il villaggio di Aqiang, ai margini meridionali del deserto di Taklamakan, dove svettano le aspre montagne Kunlun.

Il sito web dell’azienda, partecipata dal gruppo chimico tedesco Basf, contiene un resoconto del viaggio. Si legge: “La sera del 15 febbraio, la prima squadra di lavoro “Fanghuiju” di Markor ha consumato una semplice cena”. Ma “Fanghuiju” è un’abbreviazione che si traduce con “visitare il popolo, migliorare la vita, unire i sentimenti del popolo”.

Quello che sembra dolce è invece in realtà un programma di repressione in cui funzionari e dipendenti pubblici si insediano presso le famiglie uigure per spiarle e raccogliere dati per un eventuale internamento.

E così accade, perché gli arresti di massa raggiungono l’apice nella primavera del 2018. I dipendenti di un partner della joint venture Basf hanno dunque contribuito a tutto questo con le loro visite? L’esperto di Xinjiang Adrian Zenz, che ha scoperto e analizzato i rapporti per ZDF frontal e “Spiegel”, non ha dubbi.

“I dipendenti della Markor non solo hanno partecipato alla sicurezza e alla sorveglianza ma anche direttamente ad attività che servivano all’internamento di massa delle minoranze”. Zenz aggiunge: “Ci sono 24 famiglie che devono essere controllate in modo specifico, e durante la riunione sono stati presi accordi speciali per le visite notturne nelle case”.

Visite notturne ma anche liste per gli arresti. Gülpiya Quazibék, una donna kazaka di 46 anni riferisce che solo i funzionari cinesi Han avrebbero dovuto controllare le minoranze uigure o kazake. “Ma non c’erano abbastanza cinesi Han nel nostro distretto, quindi siamo stati mandati anche lì”. Su 40.000 persone nella loro zona, 10.000 sono state rinchiuse. “E hanno anche creato dei campi per i bambini “, racconta la testimone.

Zdf parla poi anche di lavoro forzato nello stabilimento Volkswagen di Xinjiang, in Cina. In un rapporto del settembre dello scorso anno, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha rilevato accuse credibili di tortura, gravi violazioni dei diritti umani e lavoro forzato nello Xinjiang.

Accuse respinte dal rapporto degli auditor commissionati da Volkswagen a Löning: Human Rights & Responsible Business afferma che i dipendenti dello stabilimento VW di Xinjiang sono ben qualificati, lavorano per l’azienda da oltre dieci anni, hanno un carico di lavoro ridotto e sono pagati con salari superiori alla media.  Il rapporto conclude che non ci sono prove dell’uso del lavoro forzato tra i quasi 200 dipendenti dello stabilimento.

Ma uno dei principali ricercatori dello Xinjiang, sempre l’etnologo Adrian Zenz, ritiene tuttavia che il rapporto sia inadeguato e ribadisce le sue accuse alla VW in un’intervista alla ZDFheute. Zenz dubita che un cosiddetto audit sia possibile nello Xinjiang, poiché i lavoratori da intervistare non possono esprimersi liberamente.

A suo avviso, il rapporto Löning è un “controllo superficiale senza senso”. Secondo le definizioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) delle Nazioni Unite, il lavoro forzato o obbligatorio non ha necessariamente a che fare con la mancanza di salario. Piuttosto, il lavoro forzato consiste principalmente in una mancanza di volontarietà.

Zenz ritiene ancora che questa accusa non sia stata dissipata. Sottolinea che le sue ricerche dimostrano che la Volkswagen nello Xinjiang ha una “connessione sistemica” con l’apparato di sorveglianza e repressione di Pechino.

VW respinge tuttavia le critiche. Dai campi di internamento, ad esempio, gli uiguri vengono spesso inviati in centri di formazione professionale, per la tecnologia dell’automazione o la meccanica automobilistica. Sul sito web di uno di questi centri di formazione, la Volkswagen è menzionata come un tipico datore di lavoro per i diplomati. Volkswagen ha dichiarato che “per quanto ne sappiamo oggi non esiste alcuna cooperazione con il Xinjiang Industry Technical College”. Anche lo stabilimento VW di Tianjin, situato nella Cina orientale, non ha “alcun rapporto” con le università dello Xinjiang.

Zenz, invece, accusa l’industria automobilistica di essere “praticamente complice di questo sistema grazie alla sua presenza nella regione”. Afferma: “A mio parere, si tratta di un disastro completo, sia dal punto di vista etico che morale”. Alla domanda se Volkswagen si stia sporcando le mani in Cina, poi risponde: “Esatto”. Gli uiguri sono pertanto soggetti a un sistema coercitivo, monitorati e controllati.

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