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I paesi sviluppati sono i maggiori utilizzatori di lavoro minorile

K metro 0 – Bruxelles – Nonostante la tendenza a nasconderlo, a condannarlo e a parlarne solo quando vengono denunciate situazioni limite, il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso. Non solo nei paesi in via di sviluppo. Ma anche e ormai forse soprattutto in quelli più avanzati. Ci sono più di 300 milioni di

K metro 0 – Bruxelles – Nonostante la tendenza a nasconderlo, a condannarlo e a parlarne solo quando vengono denunciate situazioni limite, il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso. Non solo nei paesi in via di sviluppo. Ma anche e ormai forse soprattutto in quelli più avanzati.

Ci sono più di 300 milioni di bambini che lavorano nel mondo nonostante i diritti dei minori, ha affermato Fernando Morales-de la Cruz, giornalista esperto e attivista per i diritti umani in occasione della Giornata Mondiale contro il lavoro minorile, indetta per la prima volta nel 2002 dall’International Labour Organization (ILO).

Il lavoro minorile è aumentato, in effetti, nelle catene di approvvigionamento dell’Unione Europea e di paesi occidentali come Stati Uniti, Canada, Giappone, Norvegia e Svizzera, soprattutto a causa di forme di super-sfruttamento illegale nelle imprese, ha dichiarato   Fernando Morales-de la Cruz alla vigilia del 74° anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani (dicembre 1948) in cui rientrano anche quelli dei minori.

Il lavoro minorile danneggia lo sviluppo fisico, psicologico o emotivo dei bambini. E aumenta, ha precisato Morales-de la Cruz, nelle catene di approvvigionamento a causa dei tipi e dei volumi di prodotti fabbricati dai paesi del Sud del mondo, ma soprattutto a causa di modelli di business illegali dei grandi gruppi multinazionali.

La soglia d’età, fissata da ciascun paese che ha ratificato la Convenzione dell’ILO, varia da un minimo di 14 anni a un massimo di 16. Secondo l’UNICEF, un bambino è considerato impiegato in lavoro minorile se 1) ha tra i 5 e gli 11 anni e in una settimana lavora almeno un’ora retribuita e/o almeno 21 ore in casa senza essere pagato; 2) ha tra i 12 e i 14 anni e lavora almeno 14 ore settimanali retribuite e/o più di 21 ore in casa senza retribuzione; 3) ha tra i 15 e i 17 anni e lavora almeno 43 ore settimanali retribuite.

Anche la pandemia di COVID-19, col conseguente amento della povertà, ha contribuito alla diffusione del lavoro minorile, che aumenta, secondo Morales-de la Cruz, con la crescita della  povertà estrema, di cui è il risultato.  

Le economie, e le imprese, dei paesi sviluppati sono le maggiori beneficiarie del lavoro minorile.

“Possiamo parlare di decine di milioni di bambini che lavorano nelle filiere dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Così come della Norvegia e della Svizzera”, che pure, secondo Morales-de la Cruz,

“dovrebbero avere un sistema basato sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani”.

I politici tedeschi al più alto livello, erano stati esortati a fare tutto il possibile per  debellare queta piaga.Ma se guardiamo ai prodotti che la Germania importa, a cominciare da  caffè, tè, cacao,cotone e abbigliamento, fino al cobalto per le auto elettriche e le batterie, dobbiamo prendere atto che in queste catene di approvvigionamento  ci sono molti bambini che lavorano.

Molti dei bambini che lavorano  si occupano di produrre i vestiti che noi compriamo in grandi catene di fast fashion (i marchi che producono capi di abbigliamento in modo rapido ed economico). Dalla raccolta del cotone, alla filatura, alla cucitura dei capi di abbigliamento, i bambini sono spesso preferiti agli adulti perché obbedienti (e sottopagati). Nella raccolta del cotone, ad esempio, le loro piccole mani sono preferibili a quelle degli adulti perché non danneggiano il raccolto: nei campi lavorano moltissime ore al giorno, respirano pesticidi e ricevono stipendi inferiori al minimo consentito per legge, leggimao nel Rapporto ILO del 12 giugno scorso.

Ma il problema del lavoro minorile non è presente solo nei prodotti a buon mercato, ma anche nei marchi di lusso o nell’oreficeria.

Difficile, insomma, trovare prodotti non associati al lavoro minorile, specialmente in paesi asiatici come India, Pakistan e Bangladesh, che hanno attraversato una povertà estrema che colpisce centinaia di milioni di persone.

L’Asia è un importante esportatore di prodotti verso l’Europa e gli Stati Uniti, che contengono lavoro minorile e persino lavoro forzato, aggiunge Morales-de la Cruz. Per cui     è davvero necessario che i governi dei paesi sviluppati esigano il rispetto della legge da parte delle aziende e proteggano i diritti dei bambini e degli schiavi che oggi lavorano.

Per questo, Morales-de la Cruz ha scritto una lettera ai leader del vertice del G7 ospitato dalla Germania in Baviera, chiedendo che si impegnino a eliminare il lavoro forzato e quello minorile.

Dal 2000 al 2013 il lavoro minorile nel mondo era diminuito di un terzo (da 246 milioni a 168 milioni). Non ancora abbastanza per raggiungere l’obiettivo, fissato e condiviso dalla comunità internazionale, di eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016.

Ma gli sforzi si sono fermati tra il 2016 e il 2020 e la situazione è regredita con il COVID. Secondo l’ultimo studio dell’ILO e dell’UNICEF (pubblicato il 10 giugno 2021, alla vigilia della Giornata Mondiale contro il lavoro minorile), il numero di bambini lavoratori a livello globale è aumentato, negli ultimi anni, raggiungendo i 160 milioni.

Stando un rapporto pubblicato il 14 settembre di quest’anno dall’Università di Zurigo, nel mondo ci sono più di 373 milioni di bambini che lavorano invece di giocare: un numero che li colloca al terzo posto, a livello mondiale, in termini di popolazione dopo Cina e India.

Circa un bambino su 10 nel mondo lavora, un rapporto che sale a uno su nei paesi in via di sviluppo. E alcuni di questi bambini svolgono lavori pericolosi per la loro salute, la loro sicurezza e il loro sviluppo morale.

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