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Eurispes: presentato il rapporto Italia 2020: una lettura duale della realtà e i cambiamenti socio-economici e culturali in atto

Eurispes: presentato il rapporto Italia 2020: una lettura duale della realtà e  i cambiamenti socio-economici e culturali in atto

K metro 0 – Roma – Il Rapporto Italia, giunto quest’anno alla 33a edizione, ruota attorno a 6 capitoli, ciascuno dei quali offre una lettura dicotomica della realtà esaminata. Ogni capitolo è illustrato attraverso i saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della

K metro 0 – Roma – Il Rapporto Italia, giunto quest’anno alla 33a edizione, ruota attorno a 6 capitoli, ciascuno dei quali offre una lettura dicotomica della realtà esaminata. Ogni capitolo è illustrato attraverso i saggi e 60 schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.

Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che, nell’edizione di quest’anno, hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes e altri di recente interesse: la fiducia nelle Istituzioni, l’opinione su alcune delle misure proposte o introdotte dal Governo, la situazione economica delle famiglie e i consumi, l’idea di futuro tra i giovani, gli stereotipi e il politicamente corretto, i temi etici, gli stereotipi su Nord e Sud del Paese, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, lo stalking, la salute mentale e l’uso dei farmaci, l’informazione attraverso i media, il mondo dello scoutismo attraverso l’indagine condotta in collaborazione con l’Agesci, lo smart working, il cambiamento delle abitudini a causa della pandemia.

Nel Rapporto vengono, inoltre, affrontati attraverso le schede fenomenologiche diversi altri temi di stretta attualità come, ad esempio, i fenomeni migratori, la capacità di innovazione del Made in Italy, la moda sostenibile, la comunicazione veicolata attraverso i Social Network, gli E-Sport, la questione meridionale, le professioni del futuro, la valorizzazione del capitale umano, il fisco e le possibili riforme, la robotica e l’industria 4.0, la moda etica, la Scuola in digitale, gli alunni con bisogni educativi speciali, le smart cities e le nuove esigenze abitative, le infrastrutture.

Al Rapporto di quest’anno affidiamo il concetto di FUTURO, scelto come “parola chiave”, per sottolineare che la costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa.

Nelle considerazioni generali che aprono il Rapporto il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, ha voluto sottolineare: «La pandemia ha messo in discussione valori, interessi, scelte, etiche, priorità, prospettive. Ha ridisegnato alleanze, confini politici, rapporti tra Stati. Ha imposto nuovi percorsi economici e sociali. Ha messo in risalto fragilità e ritardi del sistema, inefficienze e incapacità nella gestione della complessità. Ha mostrato il fallimento delle pretese taumaturgiche delle autonomie regionali. Ma, soprattutto, ha fatto emergere la necessità di ricostruire una identità statuale compressa negli anni da una devoluzione verso il basso, le Regioni, e verso l’alto, l’Europa. Nello stesso tempo, ha archiviato l’idea che i cittadini possano sostituire efficacemente – e ad un livello etico supposto superiore – le Istituzioni politiche.

Il Covid è anche il salutare “scapaccione educativo” dato da un padre burbero e un po’ all’antica per richiamare il figlio scapestrato a più miti consigli e al senso di responsabilità. Un microscopico virus ha qualificato il gigantesco tema del futuro come “necessità” e imposto a tutte le generazioni l’urgenza di impegnarsi nella coltivazione di un pensiero a lungo termine.

Il Paese dis-organizzato, così come è oggi, non è in grado di sostenere le sfide che la pandemia ha lanciato. Senza una pacifica “rivoluzione culturale” saremo destinati all’oblio, ad una deriva dell’esserci senza essere, alla perdita di quel tanto di identità rimasta.

Intanto, crescono l’insofferenza, l’insicurezza e la ricerca di un futuro possibile, ma soprattutto la richiesta di una guida sicura che liberi il Paese dall’incertezza e dall’approssimazione con le quali è stato condotto sin dall’inizio della pandemia. L’insediamento del Governo Draghi – frutto dell’incessante lavoro del Presidente della Repubblica – è il segno della raggiunta consapevolezza, tra le diverse forze politiche, della gravità della situazione.

Istituzioni litigiose, in contraddizione o distanti tra loro diffondono un senso di sfaldamento proprio laddove, invece, dovrebbe passare la percezione di un “serrate i ranghi” a ogni livello; di qui il disagio generale, l’incertezza del presente, la paura del futuro. l’arrivo della pandemia si inserisce in un quadro di grande difficoltà di un Paese segnato da una profonda crisi economica e sociale e da una crisi demografica che assottiglia di anno in anno il numero delle nascite. Insomma, un Paese sempre più povero e sempre più vecchio che, nello stesso tempo, registra il progressivo indebolimento dei ceti medi, vera spina dorsale della democrazia.

Se, come diceva Shakespeare nel Giulio Cesare, «gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino», questo è il tempo di dimostrarlo dispiegando tutta la saggezza, l’impegno, il senso civico, lo spirito di collaborazione necessari senza inutili protagonismi e mettendo da parte ogni interesse personale.

Di particolare importanza sono i cambiamenti che stanno intervenendo nelle nozioni di tempo, nel rapporto tra passato, presente e futuro; come nelle nozioni di spazio, nel rapporto tra locale, nazionale, internazionale, tra virtuale e reale. Quale futuro vogliamo costruire?

La costruzione degli scenari futuri va al di là di una semplice proiezione della situazione presente: richiede una visione, una idea di futuro possibile, un sistema di valori di riferimento, in sostanza un pensiero forte in grado di guidare le nostre azioni di oggi verso una direzione ben precisa. In questo senso, valgono ancor oggi gli ammonimenti di uno dei padri della programmazione strategica, Hazan Özbekhan, co-fondatore e primo direttore del Club di Roma, 1968: «Programmare non è proiettare il presente nel futuro, ma l’opposto, avere una idea di futuro da innestare nel presente».

FIDUCIA NELLE ISTITUZIONI: OTTIMO RISULTATO IN TERMINI DI CONSENSI PER IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, PER LE FORZE ARMATE E LE FORZE DI POLIZIA. CALANO LA MAGISTRATURA, LA CHIESA E I SINDACATI. L’OPERATO DEI PRESIDENTI DI REGIONE DIVIDE A METÀ L’OPINIONE PUBBLICA CON UNA PREVALENZA DI SFIDUCIATI. EPPURE IN MOLTI CHIEDONO MAGGIORE AUTONOMIA PER LE REGIONI (54,7%). L’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ANCORA NON CONVINCE

Aumentano gli sfiduciati nei confronti dell’operato delle Istituzioni (+7,6%)

Nell’ultimo anno, aumenta il numero degli italiani che indicano una diminuzione della propria fiducia nei confronti delle Istituzioni del nostro Paese: dal 24,9% del 2020 al 32,5% del 2021.

Mattarella: il miglior risultato da inizio mandato

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, raccoglie invece il miglior risultato di fiducia da inizio mandato, con una quota di cittadini che esprime il proprio consenso pari al 57,7% e un aumento di 2,8 punti percentuali rispetto allo scorso anno.

Cresce anche il Parlamento, ma sempre con livelli bassi di consenso

Il Parlamento raccoglie, nel 2021, il 34,4% dell’apprezzamento dei cittadini (era il 25,4% nel 2020).

Cala l’apprezzamento nei confronti della Magistratura

Il consenso nei confronti della Magistratura passa dal 49,3% del 2020 al 47,7% raggiunto nel 2021. Un risultato comunque migliore del dato atteso.

Presidenti di Regione: uomini soli al comando. Prevalgono i giudizi negativi

Il 42,6% dei cittadini indicano un giudizio positivo per il proprio Presidente di Regione, mentre gli sfiduciati toccano quota 49%.

Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza: un punto fermo nella fiducia degli italiani

Nell’incertezza e nella variabilità manifestata dal giudizio generale nei confronti delle Istituzioni, le Forze dell’ordine e di polizia restano un faro e continuano a tracciare un segno importante della vicinanza tra i cittadini e il sistema istituzionale. Grande apprezzamento esprimono dunque i cittadini per la Polizia di Stato (69,2%), per l’Arma dei Carabinieri (64,7%) e per la Guardia di Finanza (67,7%).

L’Intelligence

Sei italiani su dieci si dicono fiduciosi nel lavoro della nostra Intelligence.

Le Forze Armate confermano gli altissimi livelli di fiducia degli anni passati

Continua ad essere apprezzato anche il lavoro delle Forze Armate registrando livelli alti di consenso: Esercito Italiano (71,5%) Aeronautica Militare (72,6%), Marina Militare (73,6%).

Gli altri Corpi

Dai dati emerge il larghissimo apprezzamento per i Vigili del Fuoco (87,7%); un diffuso consenso per la Polizia penitenziaria (64,3%) e, infine, un buon risultato anche per la Polizia locale (58,2%).

Le altre Istituzioni

Da un anno all’altro, restano stabili nei consensi in particolare per la Scuola (dal 65% nel 2020 al 66,5% rilevato nel 2021); la Protezione civile (dal 77,8% al 77,2%); l’Università che si mantiene sul 70% circa del grado di fiducia. Ugualmente stabili, ma con un tasso di fiducia molto meno importante, i Partiti si posizionano nell’ultima rilevazione al 27,2% (il dato era pari al 26,6% nel 2020). In discesa i Sindacati: dal 46,4% del 2020 all’attuale 40%, e la Chiesa cattolica (-6,7%) che passa dal 53,4% dei fiduciosi al 46,7%. Cresce in termini di consensi il Sistema sanitario nazionale: dal 65,4% del 2020 al 71,5% del 2021. Il 50,8% dei cittadini è sfiduciato nei confronti dell’Europa.

Come potrebbe cambiare il volto delle Istituzioni italiane?

Tra le possibilità proposte nell’indagine dell’Eurispes, l’abolizione delle Regioni raccoglie solo il 28,3% delle indicazioni favorevoli. Coerentemente, il 54,7% dei cittadini chiede una maggiore autonomia da affidare alle Regioni. Ben il 49,2% degli italiani si dichiara favorevole all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, anche se i contrari sono la maggioranza: il 50,8%.

Come far ripartire l’economia?

Secondo il 51,2%, dei cittadini sarà possibile superare la crisi economica solamente con un ruolo più forte dello Stato. Il 50,4% si dice favorevole nel replicare, per la realizzazione delle opere pubbliche nel nostro Paese, il modello “ponte di Genova”.

Spiega ancora il Presidente dell’Eurispes: «Il Pil non può crescere in un paese che invecchia e nello stesso tempo diminuisce in popolazione. L’economia per crescere ha bisogno di innovazione e della capacità di sapersi rapidamente adattare ai mutamenti imposti, di volta in volta, dal sistema globale.

Un esempio tra i tanti possibili è quello del mancato ricambio generazionale nella Pubblica amministrazione. Personale, ormai per la gran parte in età, fatica quando non arranca, a confrontarsi con le nuove tecnologie e non riesce nemmeno a vedere la nuova sfida che le suddette tecnologie pongono alle Istituzioni e alla Amministrazione pubblica: quella della connessione, del dialogo fra pari, della trasparenza e orizzontalità delle relazioni.

Pensare di poter avviare e gestire i necessari processi di digitalizzazione con personale appartenente culturalmente alla “galassia Gutenberg”, appare come una chimera. Vengono trattenute in servizio persone giunte alla soglia della vecchiaia, motivando tale scelta con il costo eccessivo che il loro pensionamento produrrebbe a carico del sistema previdenziale, ma non si considerano i vantaggi che l’immissione di nuove leve consentirebbe sia in termini occupazionali per le giovani generazioni sia in termini sociali e demografici e anche, forse soprattutto, in termini di efficacia ed efficienza.

Sul piano culturale, un Paese vecchio e tendenzialmente conservatore non innova, si accontenta di gestire al meglio possibile il presente ed esalta il passato. Sul piano economico, consuma la ricchezza prodotta dalle generazioni precedenti e mortifica e impoverisce quelle future».

PESSISMISMO SUL FUTURO DELL’ECONOMIA DEL PAESE, EPPURE PER LA MAGGIOR PARTE DEI CITTADINI LA PROPRIA CONDIZIONE ECONOMICA NELL’ULTIMO ANNO È RIMASTA STABILE. SEGNALI POSITIVI SUL FRONTE DEL RISPARMIO, PESANO DI PIÙ MUTUO E AFFITTO. DIFFUSO IL RICORSO ALLE RATE

La condizione economica del Paese e quella familiare

Secondo le rilevazioni dell’Eurispes (2021), otto italiani su dieci (79,5%) avvertono un peggioramento (netto 54,4% o in parte 25,1%) dell’economia nazionale negli ultimi dodici mesi. L’11,6% ritiene che la situazione sia rimasta stabile, mentre solo il 3,8% indica un leggero (2,9%) o un netto (0,9%) miglioramento. A sottolineare l’eccezionalità della crisi generata dalla pandemia è il confronto con le risposte registrate nei 5 anni precedenti, quando è sempre prevalsa l’idea di una sostanziale stabilità nell’andamento della situazione economica del Paese e le opinioni sul peggioramento coinvolgevano meno della metà degli intervistati.

Rispetto al futuro dell’economia del nostro Paese prevale un sentimento di pessimismo con il 53,4% di chi si dice convinto che nei prossimi dodici mesi la situazione è destinata a peggiorare. Nonostante i giudizi negativi espressi sull’andamento dell’economia del Paese, gli italiani riferiscono, nel 42,4% dei casi, che la propria situazione economica negli ultimi dodici mesi è rimasta invariata.

Le difficoltà incontrate dalle famiglie

Rispetto al passato sono diminuite le famiglie che devono utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese (37,1%, il massimo si è raggiunto proprio lo scorso anno con il 47,7%) e aumentate quelle che dichiarano di arrivare senza grandi difficoltà a fine mese (44,3%, superato solo nel 2017 con il 51,7%) e di riuscire a risparmiare (27,6%): tutti segnali positivi se non ci fosse la tendenza opposta per quanto riguarda l’incremento di quelle che hanno difficoltà a pagare la rata del mutuo (38,2%) e l’affitto (47,7%). Aumentano di poco le percentuali di quanti faticano a pagare le spese mediche (24,1%; +1,8%) e a pagare le utenze domestiche (27%; +1,1%).

Come fronteggiare le difficoltà: molti rateizzano

Il 28,5% dei cittadini afferma di essere dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine, ma solo il 14,8% ha chiesto aiuto ad amici, colleghi o altri parenti. Il 15,1% ha fatto richiesta di un prestito bancario e quasi il doppio ha effettuato acquisti rateizzando il pagamento (28,7%). Circa un decimo del campione ha messo in atto i seguenti comportamenti: chiedere soldi in prestito a privati (non amici/parenti) non potendo accedere a prestiti bancari (9,4%); tornare a vivere nella casa della famiglia d’origine o dai suoceri (10%); vendere/perdere dei beni (11,4%); ritardi nel saldo del conto presso commercianti/artigiani (11,8%). Sono di più invece gli intervistati che hanno pagato le bollette con forte ritardo (22,4%) e che sono stati in arretrato con le rate del condominio (18%). Per quanto riguarda particolari situazioni lavorative, sono molto simili tra loro le percentuali di quanti hanno accettato di lavorare senza contratto (15,4%) e hanno svolto più di un lavoro contemporaneamente (15,1%).

Le rinunce: istruzione privata per i figli e acquisto dell’auto

Sul fronte dei servizi alla persona, fra chi ha figli in età scolare ha rinunciato all’istruzione privata il 41,1%; e nelle situazioni familiari in cui c’era la necessità di una badante ne ha fatto a meno un italiano su tre (33,4%), mentre in poco più di un caso su cinque sono state rimandate le visite mediche specialistiche (22,4%). Per quanto riguarda i consumi, gli italiani hanno rinunciato più spesso all’acquisto di una nuova automobile (37,3%), ma anche alle spese sulla casa (sostituzione di arredi/elettrodomestici 34,5% e riparazioni/ristrutturazioni 34,2%); meno frequente il caso in cui è stata rimandata la riparazione del proprio auto/motoveicolo (23,9%).

Così secondo il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «Le criticità emerse hanno messo ancor più in risalto l’insieme dei segnali di malessere economico e sociale denunciati dal nostro Istituto nel corso degli anni. Le prime analisi segnalano un ulteriore impoverimento dei ceti medi che si inasprirà tra pochi mesi con lo sblocco dei licenziamenti. Ci troveremo allora a doverci confrontare con nuove forme di disagio e di conflitto sociale.

Dovremo misurarci – e lo segnaliamo oggi – con una nuova, amara realtà: quella dei “conflitti di vicinato” se non, addirittura, di “pianerottolo”. Che cosa accadrà quando il licenziato del privato si incontrerà col vicino di casa dipendente pubblico che il proprio posto lo ha conservato? Avremo nuovi figli e figliastri e metteremo in moto ulteriori motivi di delegittimazione dell’Istituzione pubblica.

Se, come tutti affermano, il nodo centrale è quello di far ripartire la crescita e rianimare i consumi interni, dobbiamo avere la consapevolezza che ciò non potrà avvenire se non attraverso una coraggiosa operazione di redistribuzione della ricchezza creata e di stimolo alla generazione di nuove fonti di ricchezzadalle start up giovanili, agli investimenti diretti al Sud, al reinserimento nella filiera produttiva dei territori dell’Appennino grazie alla diffusione della banda larga e via dicendo.

Un Paese imbrigliato, in ostaggio di una burocrazia asfissiante, di un sistema di regole di impronta feudale. La manutenzione ormai serve a poco perché la nostra dotazione infrastrutturale è talmente obsoleta che non vale più la pena di conservarla. Occorre demolire e ricostruire se veramente si vuole rilanciare l’economia nazionale».

Infine il Presidente Fara rilancia un’idea: «Nel corso degli anni, a più riprese, abbiamo segnalato l’idea di “smontare” tutti gli insediamenti industriali ormai obsoleti e quelli nei quali è cessata la produzione. Tra i tanti, il caso di Taranto è davvero emblematico e sofferto.

Salutato all’inizio come panacea dei problemi occupazionali e, nello stesso tempo, come avanguardia del nuovo sviluppo industriale del Meridione, si è rivelato nel tempo un pozzo senza fondo che ha ingoiato un numero imprecisato di miliardi di euro. Nello stesso tempo, lo stabilimento è diventato una vera e propria centrale di produzione delle patologie più diverse segnalate puntualmente dalle autorità sanitarie regionali.

Se si considera che oggi l’acciaio può essere acquistato a livello internazionale a prezzi notevolmente inferiori di quelli necessari per la sua produzione a Taranto, e che in una economia globalizzata ciascun territorio dovrebbe cercare di valorizzare al meglio i propri asset e le proprie risorse, non resta che una soluzione: chiudere le acciaierie.

A chi prospetta l’impoverimento del territorio e la perdita di migliaia di posti di lavoro si può segnalare che esistono soluzioni alternative. Coerentemente con le strategie a lungo termine dell’Unione europea, con i Piani nazionali per l’energia e il clima e con i Piani per la riqualificazione ambientale, le stesse risorse, finanziarie e umane, impegnate per mantenere in vita lo stabilimento, possono essere utilizzate per smantellare gli impianti, bonificare il territorio e restituirlo alle sue naturali vocazioni.

Secondo calcoli, sia pure approssimativi, occorrerebbero dieci anni circa per la prima fase, smontare gli impianti, altri dieci anni per bonificare il territorio e altri dieci anni per avviare una serie di attività alternative legate al settore del turismo, dei servizi, dell’ambiente, dell’agricoltura mantenendo gli stessi livelli occupazionali se non, addirittura, incrementandoli».

L’IDEA DEL FUTURO TRA I GIOVANI: PRIMA E DOPO LA PANDEMIA. UNA GRANDE INDAGINE INTERNAZIONALE

I valori della vita dei giovani tra i 18 e i 30 di Italia, Germania, Polonia e Russia sono fortemente orientati verso àmbiti che riguardano la vita sociale e privata, evidenziando, invece, una lontananza rispetto ai valori politici e a quelli spirituali. È quanto emerge da un’indagine realizzata nei quattro paesi europei sui giovani e la loro idea di futuro. L’iniziativa è promossa da un gruppo di esperti appartenenti a diversi enti: per l’Italia, l’Eurispes.

I giovani della “generazione Covid” hanno dovuto affrontare una istruzione online prolungata, stress da isolamento, perdita di lavoro e di reddito e una serie di altri problemi legati a pesanti condizioni di incertezza e precarietà diffuse. Nell’indagine 2020 il primo elemento che emerge è una sorta di “apatia dei valori” espressa dai giovani italiani. Quasi tutti i valori, ai quali nel recente passato i giovani davano importanza rispetto al sistema dei valori dominanti, hanno registrato un calo sostanziale. Il massimo degrado si osserva nella serie dei valori etici. Un netto crollo è registrato per voci come “una vita onesta” (-22,5%), “il rispetto della legge” (-21,2%), “seguire ideali, princìpi” (-19,4%), “indipendenza personale, libertà” (-19%) e “l’istruzione” (-20,8%).

Colpisce che nell’ultimo anno, in una situazione segnata da una mortalità crescente e diffusa e dagli appelli delle autorità e dall’enfasi della comunicazione a proteggersi dalla aggressione del virus, il valore “salute”, nelle valutazioni espresse “molto importante” ed “importante”, abbia ceduto la sua prima posizione al valore “democrazia”, inteso come richiesta di giustizia nella società, diritto di poter esprimere le proprie esigenze e di essere ascoltati (valore complessivo “democrazia” pari al 90,6%; valore “salute” pari all’85,9%; era pari al 97,8% nel 2018). Tutto ciò nonostante il fatto che il resto dei valori che si richiamano alla “politica”, siano rimasti in posizioni arretrate, come nelle precedenti indagini del 2018 e 2019. Sebbene il valore della “religione” come istituzione sociale, che prescrive un certo sistema di norme e orientamenti, non sia ancora apprezzato dalle giovani generazioni e che i luoghi di culto nel 2020 siano stati chiusi per l’auto-isolamento, la sua posizione è cresciuta dal 32,8% del 2018 al 38,7% nel 2020. Significativo anche che il massimo incremento rispetto al 2018 sia stato registrato dai valori “affari” (+10,4%) e “bellezza” (+11,2%).

Per le giovani donne italiane la famiglia ha perso la sua importanza centrale. Le giovani donne italiane esprimono un duplice orientamento (verso la sfera sociale e professionale e verso la famiglia), che richiede un bilanciamento tra le esigenze della vita quotidiana e i progetti per il futuro. Esse riconoscono l’importanza dell’istruzione (79,1%) e della carriera (78,1%), del lavoro (81,1%) e del denaro (84,8%), dell’indipendenza e della libertà personale (77,5%), della libertà di parola (76,7%) e dell’adesione a ideali e princìpi (78,5%), così come l’importanza della famiglia (78,4%) e dei figli (78,3%)

Tanta voglia di crescere: solo il 17,9% dei giovani italiani vuole restare con i genitori. Ma negli altri paesi c’è maggiore desiderio di autonomia. L’82,1% dei giovani italiani dichiara espressamente di volere intraprendere una vita indipendente in futuro e ritiene che l’età ottimale per questo cambio di vita sia di 23,7 anni (valore medio). Soltanto il 17,9% dei giovani vuole continuare a vivere con i propri genitori. Nel confronto internazionale la scelta di una vita indipendente sale, rispetto all’Italia, al 95% in Francia, 90,8% in Polonia, 90,4% in Russia. La volontà di rimanere con i genitori è più bassa nei suddetti paesi rispetto all’indicazione dei giovani italiani: è pari al 5% in Francia, al 9,2% in Polonia, al 9,6% in Russia.

Il timore di spiccare il volo per motivi economici. Tra i più poveri, un terzo dei giovani non vuole lasciare i genitori. La scelta dei giovani di voler rimanere in famiglia è pari al 24,6% tra le famiglie a basso reddito, al 18,3% nelle famiglie a reddito medio, al 13,8% nelle famiglie con reddito elevato.

Quanti figli vorresti? Le idee dei giovani italiani sul numero ideale di bambini (2,2 bambini) superano di poco la cifra necessaria per la semplice riproduzione generazionale (per gli altri paesi le indicazioni sono: Francia 2,0, Polonia, 2,2, Russia 2,0). Quando poi si collega questa proiezione ideale alle condizioni reali di vita dei giovani, il loro orientamento cala fino ad indicare un numero medio di 1,61 figli per donna. Anche se ci concentriamo solo sulle risposte dei giovani, i risultati sono quasi gli stessi: una media di 1,64 figli per donna (per gli altri paesi si registrano le seguenti indicazioni: Francia 1,1 figlio per donna, Polonia 2,0, Russia 1,5).

Il concetto di ricchezza e povertà e la loro valutazione. Secondo i giovani italiani, un’esistenza comoda e senza tensioni inutili si ottiene quando il reddito mensile raggiunge i 2.349 euro.

Quale reddito vorresti raggiungere tra 10-15 anni? Nel 2020, con il deterioramento della situazione reale dell’economia, i giovani italiani sono diventati più audaci nei loro piani per il futuro: le loro stime di reddito sono superiori del 40% rispetto alla media del 2019 (3.380 euro mensili) e hanno indicato una cifra pari a 4.368 euro come obiettivo. Occorre evidenziare però che le ragazze “sognano” meno in grande rispetto ai ragazzi: infatti, se questi ultimi si pongono come traguardo un reddito di 4.831 euro, le giovani si fermano a 3.878 euro.

Giovani: obiettivi da raggiungere e autorealizzazione. I giovani che hanno partecipato all’indagine dichiarano che, in media, hanno realizzato circa il 53% dei loro progetti e che in 10-15 anni, a loro avviso, questa percentuale salirà al 76%. Per fare un confronto, nell’anno pre-crisi 2019, la posizione di partenza era più alta (61,9%), ma la barra di raggiungimento è rimasta allo stesso livello: 75,3%. Pertanto, è ovvio che i giovani di età compresa tra i 18 ei 30 anni sono pronti a lottare per i loro obiettivi e a progredire cambiando le attuali condizioni di vita e lavorative; allo stesso tempo, riguardo alla seconda metà della loro esistenza, l’attuale gioventù lascia un margine di incertezza sulla propria autorealizzazione.

Privazioni ed esclusione sociale. Tra le indicate privazioni nel 2020, a causa della scarsa disponibilità di denaro, l’impossibilità di godere di un periodo di vacanze riguarda il 44,3%. Molto preoccupanti sono le risposte di quasi un quarto degli intervistati che hanno cessato di acquistare articoli per la casa realmente necessari alla famiglia (23,8%) e di pagare le cure mediche (22,7%).

Fiduciosi nel futuro il 66% dei giovani italiani, anche più che in passato. Paradossalmente, l’epidemia da Coronavirus ha contribuito alla crescita (66,1%) della fiducia nel futuro (nel 2019 era pari al 55%), nonostante la mancanza di stabilità, l’aumento della disoccupazione e il calo dei redditi.

Lavoro e posizione professionale: cosa si aspettano i giovani nel futuro. Nell’indagine del 2019 era emerso che il 57,4% degli intervistati era generalmente soddisfatto del proprio lavoro e che solo il 13% di essi aveva l’intenzione di cambiare professione o campo di attività in futuro. La situazione nel 2020 ha portato a un aumento, più che raddoppiato, di coloro che hanno cambiato in modo significativo la visione del proprio futuro professionale, progettando di cambiare professione o àmbito di attività. Secondo l’indagine 2020, il 30,4% di coloro che hanno risposto a questa domanda intende apportare cambiamenti nella propria vita professionale. Molti hanno motivato questo desiderio con l’intenzione di avere una propria attività, impegnarsi nell’imprenditorialità, lavorare nel campo della psicologia, delle risorse umane, del turismo, del fitness e dello sport. Quanto alla pianificazione della propria attività lavorativa, la maggior parte dei giovani si concentra nella ricerca di un posto di lavoro (35,2%), principalmente in un’impresa privata (23,6%) piuttosto che in una struttura pubblica (11,6%). Un quarto degli intervistati desidera avviare un’attività in proprio (24,9). Resta, comunque, il problema aperto del 13% dei giovani che rinunciano a programmare ogni ricerca di lavoro.

Aumenta la fiducia nel proprio Paese e anche negli anni che verranno. Il giudizio dei giovani sulla situazione attuale e nella prospettiva a 10-15 anni contrassegna generalmente l’Italia con giudizi positivi. Pur avendo attraversato un 2020 molto difficile, i giovani hanno indicato per l’Italia un “passo verso il futuro” con valore positivo, pari a +1,81 punti, superiore all’incremento dell’indicatore Paese del 2018, che segnava un aumento pari a +1,06 punti.

La sfera sociale del Paese ha ricevuto, da parte dei giovani, il massimo indice di aumento nelle valutazioni relative alle prospettive future (10-15 anni) passando da una valutazione di 4,5 punti per la situazione attuale a 5,9 punti per quella futura e ponendo questo trend di miglioramento al primo posto rispetto agli altri àmbiti della vita comunitaria italiana.

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