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Convegno per i 100 anni della Confcooperative: Italia penultima in Europa per la capacità di attrarre investimenti esteri 

Convegno per i 100 anni della Confcooperative: Italia penultima in Europa per la capacità di attrarre investimenti esteri 

K metro 0 – Roma – Mille miliardi di euro si perdono ogni anno per il mancato gettito a causa dell’evasione e dell’elusione fiscale. Il dato, fornito dal Parlamento europeo, riguarda i ventotto Paesi della Ue, dove l’Italia si configura come fanalino di coda nella classifica per capacità di attrarre investimenti esteri, superata soltanto dalla Grecia. Il

K metro 0 – Roma – Mille miliardi di euro si perdono ogni anno per il mancato gettito a causa dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Il dato, fornito dal Parlamento europeo, riguarda i ventotto Paesi della Ue, dove l’Italia si configura come fanalino di coda nella classifica per capacità di attrarre investimenti esteri, superata soltanto dalla Grecia. Il quadro è emerso dal Focus Censis-Confcooperative “L’Europa e la giostra del dumping”, organizzato in occasione dell’Assemblea celebrativa dei 100 anni dalla costituzione di Confcooperative.

All’assemblea della Confcooperative c’è stata una presenza variegata: dai lavoratori che hanno salvato la propria impresa, la Patrolline di Como, creando una cooperativa di “workers buyout”, a quelli che operano nei terreni confiscati alle mafie, come la cooperativa sociale “Vermuncaudo”. Confcooperative è nata nel 1919 nel solco della dottrina sociale della Chiesa, ed e’ cresciuta fino ad associare 18.500 imprese, 525 mila occupati e oltre 3,2 milioni di soci. Sono realtà che fatturano 66 miliardi di euro l’anno e spaziano dall’agroalimentare, dove realizzano una produzione made in Italy da 29 miliardi di euro, al credito, dove le Banche di Credito Cooperativo rappresentano quasi un sesto degli sportelli bancari; e al welfare, dove la cooperazione socio-sanitaria assiste 6 milioni di famiglie.

Il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, ha dichiarato: “Siamo alternativa al capitalismo e alle diseguaglianze che esso crea”.

C’è stata anche la partecipazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Il presidente Mattarella, nel suo intervento, ha ricordato: “I tanti borghi appenninici o alpini che nel nostro paese sopravvivono per la presenza di cooperative di produzione e lavoro. È un contributo decisivo all’equilibrio del nostro Paese. Il ruolo fondamentale delle formazioni sociali e dei corpi intermedi che, non a caso, la Costituzione esprime come un pilastro portante della vita della Repubblica”.  L’intervento di Mattarella è stato accolto da una vera standing ovation. Gardini ha consegnato al Presidente della Repubblica il francobollo celebrativo, valido per l’invio della posta ordinaria e annullato prima dell’inizio dell’assemblea, che richiama lo stemma storico della confederazione con una campana e un melagrana, e un libro fotografico. Questo volume, realizzato con l’agenzia Ansa, ripercorre un secolo di cooperazione e di storia del Paese dalla Grande guerra al fascismo, dagli anni del boom ai giorni nostri.

Nel Focus realizzato dal Censis per il centenario si legge: “L’Italia di oggi rischia di trasformarsi nella terra dei sogni traditi e delle opportunità mancate”. Il documento del Censis descrive il Paese come stritolato dal dumping, dalla concorrenza sleale di altri Stati, anche europei.

In Lussemburgo, una politica fiscale aggressiva, concepita per attrarre investimenti esteri, rende la pressione fiscale reale negativa. Le retribuzioni di Paesi come la Bulgaria sono da caporalato (con un salario orario che non supera i due euro). Per questo Confcooperative si appella agli europarlamentari in vista delle prossime elezioni europee del 26 maggio.

Gardini ha aggiunto: “Questa situazione sta determinando una pressione al ribasso, una condizione di sperequazione su cui si deve necessariamente intervenire, pena il rinvio sine die dell’unione politica prima ancora che economica e fiscale. Non possiamo difenderci dalla concorrenza sleale dei Paesi extra Ue, ma dobbiamo almeno regolare il cortile di casa nostra. La tolleranza fin qui ammessa, nei confronti di questo stato di cose, ha alimentato molti danni economici”.

L’Italia è in fondo alla classifica europea per attrazione di investimenti esteri, pari al 20,3% del Pil nel 2017. Si colloca poi terza, dopo Romania e Polonia, per numero di espatriati: gli italiani rappresentano l’8% dei cittadini europei che lasciano il paese di origine per cercare lavoro in un altro paese. L’Italia, poi, nei fatti è stritolata dal ‘dumping europeo’, e quindi continua a perdere investimenti esteri e capitale umano.

Attualmente nell’Unione europea esistono, grazie anche al persistente obbligo dell’unanimità del voto, 28 diversi sistemi fiscali. Secondo i dati della Commissione europea, come tasso di incidenza sul reddito medio annuale dei cittadini,quattro di questi si collocano sotto l’11%  (Lussemburgo, Lituania, Irlanda, Romania), mentre altri cinque restano sotto il 15% (Polonia, Ungheria, Estonia, Lettonia e Bulgaria). Per Malta, invece, non sono disponibili i dati relativi al proprio sistema di imposizione, mentre per il Lussemburgo, il valore negativo dell’imposta si configura a tutti gli effetti come un incentivo per il cittadino, anziché un prelievo. Un altro aspetto di indeterminatezza è dato dalla distanza fra le aliquote nominali e quelle effettive. In molti casi la distanza risulta molto ampia, pur partendo da una base tutt’altro che elevata, come mostrano i dati relativi alla Polonia, l’Ungheria, l’Estonia (intorno ai 9 punti percentuali).

L’approccio “aggressivo” di alcuni sistemi fiscali e la capacità di attrazione di attività economiche e di gettito fiscale ha, chiaramente, riflessi sugli investimenti esteri sul prodotto interno lordo. Per gli investimenti in entrata, l’ammontare in termini di consistenze risulta superiore al 100% del Pil in ben sette Paesi: con quote nove volte maggiore a Cipro, quindici volte maggiore a Malta e ben sessanta volte nel Lussemburgo. Come base di confronto, possono essere presi Paesi come la Germania, la Francia o l’Italia: nel primo caso la quota di investimenti in entrata sul Pil è del 24,2%, mentre per la Francia raggiunge il 31,8% e per l’Italia si ferma al 20,3%.

Nel 2017, 17 milioni di cittadini dell’Unione europea vivevano in Paesi diversi dal proprio Paese di origine. Fatto 100 il totale dei cittadini dell’Unione che lavorano o cercano lavoro in altri Paesi comunitari, il 21% proviene dalla Romania e il 17% dalla Polonia. L’Italia occupa, in questa speciale classifica della mobilità, il terzo posto con una quota pari all’8%, seguita dal Portogallo (7%), da 2 Paesi che pure hanno situazioni economico-sociali fortemente diverse (Bulgaria e Germania, entrambe con il 5%): cui si aggiungono, con il 4%, Francia e Spagna. Queste «differenti modalità di attuare, nei confronti del lavoro, una eterogenea piattaforma di diritti e di prestazioni, in un contesto di scambi, di investimenti e, quindi, di concorrenza fra imprese porta necessariamente a una competizione sul costo del lavoro, producendo fenomeni di delocalizzazione che stressano gli equilibri occupazionali interni e producono reazioni che minano i processi di convergenza economica dell’Europa”.

Il fenomeno della delocalizzazione, visto nell’arco di tempo fra il 2003 e il 2016 nel settore manifatturiero, ha confermato, infine, la rilevanza della perdita di posti di lavoro nella UE. Fatto 100 il totale dei posti di lavoro perduti, l’83,9% è riconducibile all’area occidentale dell’Unione, e il restante 16,1% all’area a 13 paesi. Negli ultimi anni (2015 e 2016), si è potuta osservare una leggera ricomposizione: la quota occidentale scende sotto l’80%, e ciò è dovuto agli effetti di reshoring, o di rilocalizzazione nelle aree di provenienza, che nello stesso tempo hanno prodotto un ridimensionamento dell’occupazione negli altri 13 Paesi Ue.

 

di Salvatore Rondello

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