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Turchia invita la Cina a cambiare la politica nei confronti della minoranza etnica degli Uiguri

Turchia invita la Cina a cambiare la politica nei confronti della minoranza etnica degli Uiguri

K metro 0 – Ankara – La diplomazia turca e quella cinese discutono a proposito della politica di Pechino nei confronti della minoranza turco-musulmana degli uiguri, abitante la regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang, o Turkestan cinese. Con una dichiarazione di sabato scorso, riportata da AP News, il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy,

K metro 0 – Ankara – La diplomazia turca e quella cinese discutono a proposito della politica di Pechino nei confronti della minoranza turco-musulmana degli uiguri, abitante la regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang, o Turkestan cinese. Con una dichiarazione di sabato scorso, riportata da AP News, il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy, ha denunciato che la Cina tiene arbitrariamente internato, in appositi campi, più di un milione di persone di etnia uigura. Una “vergogna per l’umanità”, ha definito questa situazione Aksoy: mentre di “genocidio”, senza mezzi termini, aveva già parlato, anni fa, il presidente turco Erdogan (pur stabilendo poi, con la Cina, più strette relazioni diplomatiche ed economiche).

“Completamente inaccettabile”, ha definito la dichiarazione di Aksoy l’Ambasciata cinese ad Ankara, in una breve risposta pubblicata sul suo sito web. In realtà, sin dai tempi di Mao, la Cina comunista ha avviato, nello Xinjiang, una politica repressiva e di sradicamento delle radici etniche, linguistiche, culturali, religiose della popolazione forse peggiore che in Tibet. Politica giunta, negli ultimi anni, a proibire l’uso della lingua uigura persino nelle scuole, e a progettare una graduale “sinizzazione” locale (che, secondo i funzionari di Pechino, entro 5-6 anni dovrebbe pienamente allinearsi col programma di stato). Sempre nella risposta ad Aksoy, il portavoce dell’Ambasciata cinese riconduce tutta la politica di Pechino nello Xinjiang alla necessità di prevenire a tutti i costi il terrorismo integralista: lotta che – aggiunge – Cina e Turchia devono combattere insieme, senza mantenere, su questo terreno, standard diversi.

Già ad agosto scorso, un gruppo di esperti dell’ONU aveva dichiarato di aver ricevuto rapporti credibili sul fatto che oltre un milione di uiguri e altre minoranze linguistiche turche si trovava nei “campi di rieducazione”: a presentare il dossier contro Pechino è stata l’americana Gay McDougall, tra i maggiori esperti al mondo di diritti delle minoranze. La delegazione statunitense alle Nazioni Unite ha già chiesto alla Cina di liberare i cittadini arbitrariamente detenuti.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso, per i turchi, è stata, ultimamente, la morte, in detenzione, di Abdureim Heyit, un noto musicista e poeta uiguro, condannato a otto anni di “riabilitazione” in campo di concentramento. Basandosi sui rapporti ONU e sulle relazioni periodiche di Human Rightr Watchers, l’ONG che, in tutto il mondo, cerca di tutelare i diritti umani, sempre Aksoy, portavoce del ministro turco degli Esteri, ha invitato ufficialmente “le autorità cinesi a rispettare i diritti umani fondamentali dei turchi uiguri e a chiudere i campi”. Nel frattempo, la Cina, dopo aver negato per mesi l’esistenza dei “campi di rieducazione”, ultimamente ha ammesso l’esistenza di un sistema di questo tipo: sostenendo, però, che i campi sarebbero semplici centri volontari di addestramento e formazione professionale riservati agli uiguri (e senza dare alcuna informazione sul numero e le effettive condizioni dei cittadini detenuti).

Sempre secondo il rapporto Onu, lo Xinjiang è diventato, specie dopo la rivolta della popolazione del 2009, duramente repressa, una “zona senza diritti”, col territorio sotto il controllo di un apparato di sorveglianza che comprende “telecamere, software spia nei cellulari e schedatura dei cittadini attraverso il prelievo di campioni biologici”. Mentre col processo di “sinizzazione” avviato – proprio come in Tibet – sin dal 1949, nel corso degli anni i cinesi han (il gruppo etnico maggioritario in quasi tutta la Cina) nello Xinjiang sono passati dal 6% all’attuale 40 per cento della popolazione.

 

di Fabrizio Federici

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