Vacanze insanguinate: soldati Israele denunciati all’estero per crimini a Gaza

Vacanze insanguinate: soldati Israele denunciati all’estero per crimini a Gaza

K metro 0 – Gaza – Quando Rasha ha visto la foto di quel soldato israeliano sorridente tra i ghiacci della Patagonia cilena, le si è gelato il sangue. Lo aveva già visto. Solo qualche settimana prima, compariva in un’altra immagine: in divisa, dentro una casa distrutta di Gaza, la sua città. “Ho provato una

K metro 0 – Gaza – Quando Rasha ha visto la foto di quel soldato israeliano sorridente tra i ghiacci della Patagonia cilena, le si è gelato il sangue. Lo aveva già visto. Solo qualche settimana prima, compariva in un’altra immagine: in divisa, dentro una casa distrutta di Gaza, la sua città.

“Ho provato una rabbia profonda, racconta. “Hanno ucciso mio cognato, ferito mio fratello, raso al suolo la casa in cui sono cresciuta. E lui se ne va in vacanza, come se niente fosse”.

Rasha è cileno-palestinese, ha 35 anni e vive a Santiago del Cile. Non cerca visibilità, ma ha deciso di raccontare la sua storia a un gruppo di avvocati che preparava una denuncia contro il soldato. Secondo quanto documentato, S.H. faceva parte del 749° Battaglione dell’esercito israeliano, attivo proprio nella zona di Nuseirat, dove la famiglia di Rasha ha subito l’attacco.

Il dossier – consegnato alla Procura cilena lo scorso gennaio – include fotografie, testimonianze e anche screenshot del profilo Instagram del militare: immagini della casa distrutta, delle vittime, e post dove il soldato dedicava la demolizione di sette edifici “a un compagno caduto in combattimento”. Ne riferisce RTVE.

Appena ha saputo della denuncia, però, S.H. è sparito. “Non è uscito da nessun aeroporto cileno”, dice l’avvocato Nelson Hadad. “Crediamo che l’ambasciata israeliana lo abbia aiutato a lasciare il Paese passando per l’Argentina”. Il caso, per ora, è sospeso. Ma potrà riaprirsi.

Il turismo dei militari e la giustizia che li rincorre

Quello di S.H. non è un caso isolato. Sempre più spesso, ex combattenti israeliani vengono riconosciuti all’estero mentre viaggiano da turisti, e denunciati da ONG o cittadini palestinesi della diaspora.

L’episodio più noto è avvenuto a luglio in Belgio, durante il festival musicale Tomorrowland: due soldati israeliani sono stati arrestati, interrogati e poi rilasciati. La denuncia era partita dalla Fondazione Hind Rajab (HRF), un’organizzazione con sede a Bruxelles che prende il nome da una bambina di sei anni uccisa da un carro armato israeliano a Gaza.

“È stata la prima volta che due soldati israeliani sono stati fermati in Europa per crimini di guerra”, spiega Karim Hassoun, segretario dell’HRF. “Abbiamo creato una rete per rintracciare chi ha partecipato a operazioni militari a Gaza e poi gira il mondo come se nulla fosse”.

Le denunce arrivano in un momento in cui il bilancio delle vittime a Gaza ha raggiunto livelli drammatici. Secondo il Ministero della Salute locale, oltre 60.000 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio della guerra, tra cui più di 18.500 bambini e quasi 9.800 donne. Solo negli ultimi giorni, altre decine di civili sono morte mentre cercavano aiuti umanitari, molti colpiti durante le distribuzioni di cibo.

Social network come prove d’accusa

La forza della strategia di HRF sta nell’uso di fonti aperte: niente hackeraggi, solo ciò che i soldati pubblicano sui social. “Sono loro a documentare tutto”, dice Hassoun. “Video in cui ridono mentre demoliscono case, o mostrano civili umiliati, picchiati, nudi”.

La fondazione raccoglie i contenuti, li collega a date e luoghi, e costruisce dossier legali da inviare alle autorità dei Paesi dove i soldati si trovano. Finora hanno raccolto oltre 1.000 casi. E non si limitano agli alti ufficiali: i bersagli sono soprattutto riservisti e soldati semplici.

“Molti sono giovani, convinti di non fare nulla di male. Nella loro testa, ogni palestinese è un nemico. E se tra le vittime ci sono donne e bambini, lo considerano un effetto collaterale”, racconta Hassoun.

Le contromosse di Tel Aviv

Israele non è rimasto a guardare. Da quando la Corte penale internazionale ha emesso un mandato contro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant, le misure di protezione si sono moltiplicate.

L’esercito ha sconsigliato ai militari di viaggiare, imposto il silenzio social e vietato interviste senza autorizzazione. La compagnia assicurativa PassportCard ha persino creato un fondo da un milione di dollari per evacuare rapidamente i soldati in difficoltà all’estero.

Ma, secondo HRF, queste misure non bastano. “Continuano a viaggiare e a postare”, dicono. “Molti non capiscono di essere esposti a un rischio legale reale”.

Una giustizia universale ancora zoppa

La speranza delle ONG è nella giustizia universale, quel principio per cui uno Stato può processare crimini di guerra anche se commessi fuori dal territorio nazionale. È lo stesso meccanismo che permise a Israele di giudicare Eichmann, o alla Spagna di chiedere l’estradizione di Pinochet.

Oggi però, spiega il giurista spagnolo Manuel Ollé, molti Paesi lo applicano solo in casi limitati. “In Spagna, serve che l’imputato o la vittima siano spagnoli. In altri Stati, come Belgio e Germania, la legge è più flessibile”.

Per Rasha, quello che è successo alla sua famiglia non potrà mai essere riparato. Ma qualcosa è cambiato. “Almeno non potranno più viaggiare tranquilli”, dice. «Devono sapere che non sono invisibili, che qualcuno li sta guardando”.

L’obiettivo della Hind Rajab Foundation non è solo ottenere sentenze. È spezzare il senso di impunità. “Se anche uno solo di loro pensa due volte prima di prendere un aereo, è già un risultato”, conclude Hassoun. “Il mondo si sta restringendo per chi ha commesso crimini. Ed è giusto così”.

 

di Sandro Loria

Condividi su:

Posts Carousel

Latest Posts

Top Authors

Most Commented

Featured Videos

Che tempo fa



Condividi su: