Transparency International: l’UE non fa abbastanza contro la corruzione

Transparency International: l’UE non fa abbastanza contro la corruzione

K metro 0 – Bruxelles – Quanti altri scandali dovranno scoppiare prima che i legislatori dell’UE decidano di prendere di petto, finalmente,  la questione della prevenzione della corruzione? E’ la domanda sollevata da Transparency International – una ONG attiva in oltre 100 paesi del mondo, impegnata senza sosta per combattere la corruzione – dopo l’ultimo

K metro 0 – Bruxelles – Quanti altri scandali dovranno scoppiare prima che i legislatori dell’UE decidano di prendere di petto, finalmente,  la questione della prevenzione della corruzione?

E’ la domanda sollevata da Transparency International – una ONG attiva in oltre 100 paesi del mondo, impegnata senza sosta per combattere la corruzione – dopo l’ultimo scandalo che ha messo in luce preoccupanti carenze nei codici di condotta necessari a garantire l’integrità e la trasparenza nelle istituzioni europee.

I procuratori belgi hanno incriminato otto persone per corruzione, riciclaggio di denaro e partecipazione a un’organizzazione criminale, in seguito a indagini condotte in Belgio, in Portogallo e nel  Parlamento europeo di Strasburgo.

Oggetto dell’inchiesta:  le manovre occulte per influenzare le decisioni parlamentari a favore di Huawei, il gigante tecnologico di Shenzhen, la Sylicon Valley della Cina.

La Procura belga ha confermato che quattro persone sono state accusate di “corruzione attiva e organizzazione criminale”, mentre una quinta persona è stata accusata di riciclaggio di denaro. E DIGITALEUROPE,  un’associazione commerciale leader a Bruxelles che rappresenta 45mila aziende, 41 associazioni commerciali nazionali e 102 società, ha  sospeso  Huawei che ne faceva parte e che, grazie all’appartenenza al gruppo, ha potuto partecipare alle discussioni politiche e  contribuire a influenzarne l’orientamento.

Ma il problema non riguarda solo Huawei e le  presunte tangenti che avrebbe elargito per favorire i propri interessi.  Riguarda anche e soprattutto la facilità con cui potenze straniere – siano esse governi o grandi gruppi privati – possono infiltrarsi nei processi decisionali dell’UE. Una vulnerabilità che tutt’oggi persiste proprio per la debolezza dei sistemi di controllo e delle norme su cui dovrebbero basarsi.

Ma a cosa è servito allora lo scandalo del Qatargate, del 2022, si chiede Transparency International. In seguito a quell’inchiesta, la vicepresidente del parlamento europeo, Eva Kaili, e altri furono arrestati. E venne così scoperchiato un sistema di corruzione basato su ingenti somme di denaro.

Il Qatargate avrebbe dovuto essere il campanello d’allarme definitivo. Ma invece di cogliere l’occasione per introdurre un cambiamento significativo, gli eurodeputati vararono  riforme deboli e superficiali che non sarebbero riuscite a prevenire ulteriori casi di corruzione. L’ultimo scandalo di Huawei non può quindi sorprendere.

Nicholas Aiossa, direttore di Transparency International EU, ha dichiarato: “Queste nuove accuse sono altrettanto gravi di quelle del Qatargate. E  mettono in ridicolo la democrazia nel parlamento europeo”. Per troppo tempo, gli eurodeputati hanno preso sottogamba, a dir poco, l’etica

e “continuano a vivere in un clima di impunità. Se vogliono proteggere l’integrità del parlamento, devono attuare una riforma etica rapida, ampia e sostanziale”.

Transparency International lancia l’allarme da anni: l’Europa soffre per la mancanza di un rigoroso codice etico. E per l’insufficienza di una regolamentazione delle attività di lobbying  piena di scappatoie e  la scarsa incisività nell’applicazione delle norme.

Una proposta di direttiva anticorruzione dell’UE, attualmente in fase di negoziazione da parte delle sue tre principali istituzioni (Parlamento, Commissione, Consiglio europeo) mira a stabilire standard minimi per definire e punire la corruzione in tutta l’Unione. E chiede che nella direttiva finale siano incluse solide misure di prevenzione della corruzione. Tra queste, la pubblicazione anticipata delle riunioni di lobbying e l’introduzione della cosiddetta “impronta legislativa” (ovvero la tracciabilità delle influenze esercitate dai rappresentanti d’interessi sulla formazione della volontà di organi decisionali politici).  Come pure  di  norme adeguate che disciplinino le “porte girevoli” (revolving doors: ovvero il passaggio di politici come ex ministri, parlamentari, sotto-segretari, funzionari di enti di regolamentazione e manager di società pubbliche, dal ruolo pubblico a un incarico dirigenziale presso un ente privato o società partecipata, e viceversa) e le attività di lobbying indirette.

Transparency International si augura che l’ambiziosa posizione del Parlamento nei negoziati, che tiene conto delle sue raccomandazioni, costituisca la base per la direttiva finale. Una legge debole rappresenterebbe, altrimenti, un’occasione cruciale persa per elevare gli standard anticorruzione.

Nel frattempo, i progressi nell’istituzione del nuovo organismo di controllo dell’UE, incaricato di supervisionare le attività di lobbying, i conflitti di interesse e le violazioni del codice  etico nelle istituzioni comunitarie dell’UE, hanno subito una frustrante battuta d’arresto. Il  PPE, il più grande gruppo politico (di centrodestra) al parlamento europeo, sta bloccando i prossimi passi. Nonostante l’ampio sostegno e i ripetuti scandali, continua a opporsi persino a un’assunzione di responsabilità di base. Dopo il Qatargate e ora il caso Huawei, rinviare questo processo sarebbe una decisione indifendibile e Transparency International UE sta spingendo con forza affinché non venga silenziosamente eclissato.

Lo scandalo Huawei insegna che senza azioni concrete e una volontà politica incrollabile, le aspirazioni dell’UE in materia di lotta alla corruzione potrebbero restare insoddisfatte, lasciando le sue istituzioni vulnerabili.

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