K metro 0 – New Delhi – Le rivolte avvenute lo scorso fine febbraio a Nuova Delhi, hanno stravolto e distrutto la vita di molti uomini, il cui bilancio e” di 20 morti e 189 i feriti: 60 da colpi d’arma da fuoco, secondo i dati diffusi dalle autorità di New Delhi, la capitale del
K metro 0 – New Delhi – Le rivolte avvenute lo scorso fine febbraio a Nuova Delhi, hanno stravolto e distrutto la vita di molti uomini, il cui bilancio e” di 20 morti e 189 i feriti: 60 da colpi d’arma da fuoco, secondo i dati diffusi dalle autorità di New Delhi, la capitale del Paese dove si sono consumate violenze interreligiose, tra maggioranza induista e minoranza musulmana, nelle aree periferiche popolate dai cittadini di fede islamica, nel nordest della megalopoli, a una decina di chilometri dal centro.
La ragione delle proteste è l’esclusione dei musulmani dalla legge della cittadinanza, come l’ennesimo evidente tentativo del governo di emarginarli. C’è voluta un’ingiunzione dell’Alta Corte di Delhi perché agenti di Polizia creassero un corridoio di sicurezza per permettere a 20 feriti, sino a quel momento trattati in un ambulatorio di quartiere, di essere trasferiti in ospedale.
Il signor Mohammad Munazir ha raccontato alla BBC il terrore vissuto in quei giorni di rivolta. Lo stesso riferisce di essere arrivato a Delhi decenni fa, sfuggendo alla povertà nel suo stato nativo del Bihar, ricostruendo lì il suo sogno di una vita migliore. Ma le rivolte antimusulmane, avvenute nella capitale tra il 24 e il 26 febbraio, hanno distrutto questa speranza. La casa del signor Munazir è stata saccheggiata e incendiata da “bande armate” che si aggiravano per le strade, terrorizzando la popolazione locale. Una folla di giovani mascherati, entrati nel quartiere, erano armati di bastoni da hockey, pietre e bottiglie piene di benzina, e cantavano “Jai Shri Ram”, o “Vittoria a Lord Ram”, un saluto che negli ultimi anni è stato trasformato in un grido di odio da parte di mob indù.
Khajuri Khas è stato uno dei quartieri musulmani della classe operaia, devastati dalle violenze: al momento sono circa 200 le case e i negozi colpiti, accanto alle case indù si trovano case musulmane sventrate, con porte rotte e cavi elettrici sciolti. Tutti i negozi di proprietà musulmana sono stati bruciati, mentre quelli di proprietà degli indù stanno iniziando ad aprire le loro porte. L’unica cosa che le due comunità ora condividono sono le strade desolate e traboccanti dei resti della violenza consumata: vetri rotti, veicoli bruciati, libri scolastici strappati e pane carbonizzato.
Un racconto atroce quello del signor Munazir che mette in chiaro quello che la comunità musulmana ha dovuto subire ingiustamente, infatti narra: “La fatidica mattina in cui la folla iniziò a riversarsi nel quartiere, ho provato molta paura”. Ha chiamato la polizia e i vigili del fuoco. Un insegnante di scuola indù locale stava cercando di placare gli uomini armati e allontanarli. “Non preoccuparti, non succederà nulla. Vai a casa”, ha detto alle persone. Ma i rivoltosi si rifiutarono di ascoltare le loro suppliche. La folla ha poi rivolto l’attenzione verso una moschea, a pochi metri di distanza, lanciando bombe nell’edificio. La polizia, afferma Munazir, è arrivata sei ore dopo e ha portato i residenti musulmani in salvo.
La presidente del Partito del Congresso, Sonia Gandhi, ha chiesto le dimissioni del ministro degli Interni, Amith Shah, per non avere bloccato le violenze e avere consentito che la situazione degenerasse.
Quello che è successo a Delhi è agghiacciante, molte chiese indiane hanno condannato la violenza di quei giorni. Il Consiglio nazionale delle Chiese indiane (NCCI), un forum di Chiese protestanti e ortodosse, il 26 febbraio ha rilasciato una dichiarazione contro la violenza, si legge sempre su UCA News, dove chiede “ai membri delle diverse tradizioni cristiane di aiutarsi a vicenda, e a quelli di confessioni religiose e con convinzioni ideologiche diverse nei loro quartieri, di risorgere dalle ceneri”.
Ripristinare la pace nelle strade della capitale indiana dovrà essere l’obiettivo primario di tutti, affinché’ nessun popolo e nessuna comunità religiosa ancora oggi si trovi costretta a subire tali violenze.