K metro 0 – Tel Aviv – Una mossa a sorpresa quella di Benjamin Netanyahu che ha fatto recapitare al presidente Isaac Herzog una lettera di ben 111 pagine firmata dai suoi legali con la richiesta della grazia per sé. Un mezzo colpo di scena anticipato dall’irrituale istanza di grazia per lo stesso Bibi, formulata dal presidente USA, Donald Trump. Un
K metro 0 – Tel Aviv – Una mossa a sorpresa quella di Benjamin Netanyahu che ha fatto recapitare al presidente Isaac Herzog una lettera di ben 111 pagine firmata dai suoi legali con la richiesta della grazia per sé. Un mezzo colpo di scena anticipato dall’irrituale istanza di grazia per lo stesso Bibi, formulata dal presidente USA, Donald Trump.
Un doppio colpo che rischia di mandare in corto circuito la presidenza Herzog, stretta a tenaglia dalle petizioni del suo primo ministro e dal Presidente del potente ed ormai pressoché unico alleato, gli Stati Uniti. Il dossier della grazia già si segnala come una delle pagine più controverse della storia politica dello Stato mediorentale, mettendo alla prova l’equilibrio tra i poteri e le funzioni dello Stato.
Esecutivo e giudiziario sono da tempo ai ferri corti in Israele, in equilibrio precario e fragile dopo anni di scontri, in primis sulla riforma della giustizia. Ma anche per i tentativi del governo di mettere le mani su istituzioni – chiave dello Stato, dallo Shin Bet alla Procura generale. La grazia, per una vicenda giudiziaria che va avanti a singhiozzo da sei anni. Procedimenti per corruzione, frode e abuso d’ufficio – capi di imputazione 1.000, 2.000 e 4.000 – che sono ancora in alto mare, causa la guerra che da oltre due anni insanguina Gaza e per le tattiche dilatorie messe in atto dal premier e dal suo collegio difensivo per bypassare il Tribunale.
Per salvarlo dal processo è sceso pesantemente in campo l’amico Donald- ormai specializzato in grazie, dopo averla concessa all’ex presidente dell’Honduras, Juan Orlando Hernandez, condannato negli Stati Uniti a 45 anni di pena per narcotraffico- che invita Herzog “a perdonare completamente Bibi”, per chiudere in maniera definitiva “la stagione delle persecuzioni”, delle “azioni penali ingiustificate” e al quale suggerisce le motivazioni: l’unità nazionale e la stabilità regionale. Lo stesso fanno i suoi avvocati e i suoi alleati politici: la grazia. E non basta il voluminoso fascicolo, la richiesta è accompagnata da un video in cui Bibi spiega che il suo interesse è quello di arrivare alla fine di un processo, fino alla piena assoluzione. Ma, la sicurezza del paese, la situazione politica, l’interesse geopolitico impongono una scelta diversa. Ossia, una fuga dal processo.
A cominciare dalla martellante campagna del suo governo per erodere il sistema giudiziario e trasformarlo in un’arma nelle mani dell’esecutivo, ovvero dagli attacchi denigratori condotti dalla sua parte politica nei confronti dei giudici che hanno osato indagarlo. Tutto cancellato e chiede di voltar pagina annullando i suoi capi di imputazione. “E’ arrivato il momento di sanare le fratture e restaurare la fiducia nelle istituzioni dello Stato”. E nel pretendere il colpo di spugna, perché in ogni caso lo attende “la piena assoluzione”, non chiede scusa, non ammette responsabilità, né fa cenno ad eventuali passi indietro.
La richiesta, perentoria, ed accompagnata dall’interferenza di Trump mette in forte imbarazzo Herzog. La Legge fondamentale che definisce i poteri della massima carica dello Stato, stabilisce che il Presidente “ha il potere di concedere la grazia e commutare la pena”. Ossia la grazia si valuta dopo il completamento del giudizio, non mentre il dibattimento è in corso, deviando il naturale andamento del processo, con il rischio di attirare sul Presidente le accuse di ingerenze nell’autonomia del potere giudiziario, di aggirare polizia ed inquirenti, giudici e tribunali, intaccando l’indipendenza e la terzietà del sistema giudiziario. Solo una volta, nella storia di Israele, la grazia è stata concessa prima del verdetto e il caso fu quello del Bus 300, alla metà degli anni ’80, allorché l’allora Presidente Chaim Herzog, padre dell’attuale, graziò preventivamente alcuni funzionari dell’intelligence che uccisero dopo averli catturati, quattro sequestratori palestinesi di un bus carico di passeggeri. La Corte Suprema interpellata giudicò legittima la grazia, definita ” eccezionale”, che tuttavia non evitò l’avvicendamento ai vertici dello Shin Bet e in ogni caso non aveva intralciato alcun procedimento.
Netanyahu, che ha tentato in tutti i modi in questi anni di aggirare il confronto in aula con richieste di rinvii, sospensioni, gabinetti di guerra, tenta adesso la scorciatoia teatrale. La richiesta di grazia è stata trasmessa dalla Presidenza al ministero della Giustizia, Dipartimento Grazie. Dal Quirinale israeliano filtra il giudizio che definisce l’istanza “straordinaria” e dalle “significative implicazioni”, la richiesta sarà valutata con “responsabilità e sincerità dopo aver ricevuto tutti i pareri pertinenti”. Di più non emerge, mentre la politica si divide e gli israeliani sono tornati in piazza, proprio come accadeva tutti i giorni prima del 7 ottobre ‘23, per chiedere che Netanyahu si sottoponga a giudizio. Infatti, la maggioranza degli israeliani si oppone al perdono presidenziale a Benjamin Netanyahu, senza che il primo ministro manifesti un’ammissione di colpevolezza o un’espressione di rimorso. Lo rivela un recente sondaggio condotto per Zman Yisrael, da Tatika Research and Media.
Insomma il premier chiede la grazia per “riconciliare la nazione” e la nazione lo contesta. Haaretz ha denunciato la strategia di Netanyahu, definita una mossa potenzialmente in grado di minare lo stato di diritto e l’indipendenza della magistratura. In poche parole un affronto al principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e un tentativo di mettersi al di sopra della Legge. Il giornale liberal di Tel Aviv ha usato parole forti per commentare l’operazione grazia: si tratta di una forma di estorsione nei confronti della democrazia. In altre parole, un ricatto: concedetemi la grazia, altrimenti renderò instabile Israele, e concedere la grazia a Bibi per il più longevo quotidiano di Israele equivarrebbe ad una legittimazione della corruzione, una pretesa di immunità.













