Azerbaigian, Gran muftì del Caucaso, noi modello di convivenza, grande amicizia con Vaticano e Italia

Azerbaigian, Gran muftì del Caucaso, noi modello di convivenza, grande amicizia con Vaticano e Italia

K metro 0 – Roma – L’Azerbaigian è oggi un “modello di convivenza” multiculturale, non solo per il mondo musulmano ma anche per ebrei e cristiani, e vuole continuare a intensificare il dialogo e le relazioni con il Vaticano e con l’Italia, “tra gli amici più stretti”. Lo afferma il Gran muftì del Caucaso, Allahshukur

K metro 0 – Roma – L’Azerbaigian è oggi un “modello di convivenza” multiculturale, non solo per il mondo musulmano ma anche per ebrei e cristiani, e vuole continuare a intensificare il dialogo e le relazioni con il Vaticano e con l’Italia, “tra gli amici più stretti”. Lo afferma il Gran muftì del Caucaso, Allahshukur Pashazade, in un’intervista rilasciata ad “Agenzia Nova” e a “Kalima”, rivista di dialogo interreligioso e culturale fondata dall’editore italo-libanese Nizar Ramadan. Pashazade si trova in questi giorni in visita presso il Vaticano e a Roma, e ha avuto incontri con Papa Leone XIV – già invitato a Baku per l’inaugurazione della seconda chiesa cattolica in città, che sarà dedicata a San Giovanni Paolo II e che dovrebbe essere pronta nel 2027 – e con altri membri della Curia, a portare avanti un dialogo che, spiega il religioso, prosegue sin dall’indipendenza dell’Azerbaigian. “Le relazioni con la Santa sede – ricorda il Gran muftì – sono iniziate con il leader nazionale Heydar Aliyev. Fu lui a volere la costruzione della prima Chiesa cattolica a Baku, la Chiesa dell’Immacolata Concezione, e a invitare l’allora Papa Giovanni Paolo II per la benedizione della prima pietra, nel 2002. A Baku si recò anche Papa Francesco, che nel 2016 partecipò a un incontro con tutti i capi religiosi nella Moschea di Heydar Aliyev”.

Già Bergoglio, nell’occasione, ebbe modo di apprezzare il clima multiculturale di un Paese che vuol essere d’esempio per altri nella regione e non solo, sulla base – spiega Pashazade – di un rapporto laico e pragmatico tra Stato e religione, con ampie libertà per le confessioni tradizionali. “Abbiamo costruito moschee, chiese e sinagoghe”, sottolinea il Gran muftì, ricordando anche la recente visita in Vaticano della prima vice presidente Mehriban Aliyeva: la fondazione Heydar Aliyev da lei presieduta ha finanziato il restauro delle catacombe di Commodilla a Roma, “a dimostrazione dell’importanza che attribuiamo al patrimonio di tutte le religioni”. Per il futuro sono in preparazione diversi progetti. “Vorremmo che in Azerbaigian venisse aperta una rappresentanza permanente della Santa Sede. Questo faciliterebbe ulteriori iniziative: conferenze sul dialogo interreligioso, anche nel quadro dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite, ma anche un incontro sull’islamofobia, naturalmente con la partecipazione di rappresentanti di tutte le confessioni”, aggiunge Pashazade.

Il Gran muftì osserva come la stessa vivacità caratterizzi le relazioni tra l’Azerbaigian e l’Italia. “L’Italia è uno dei nostri più stretti amici, e ci ha molto aiutato a raccontare la nostra realtà in Occidente. Le relazioni economiche sono di altissimo livello: dall’Azerbaigian partono oleodotti e gasdotti che riforniscono l’Italia di energia, nonostante – sottolinea – qualche potenza abbia cercato in passato di opporsi a questa cooperazione”. Pashazade fa riferimento anche alle più recenti visite reciproche di alto livello. Quella del presidente azerbaigiano Ilham Aliyev a Roma, nel settembre del 2024, e soprattutto quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Baku, il mese scorso, a sette anni dalla prima. “Ho incontrato di persona Mattarella a Baku – rileva il religioso musulmano – e questo dimostra come i rapporti abbiano anche una dimensione morale e spirituale”.

Questo è tanto più importante in uno scenario internazionale segnato da crisi e conflitti. Pashazade, “da uomo di religione”, dice di sperare sempre nella pace, anche guardando alla situazione con la vicina Armenia. “Per trent’anni – afferma, facendo riferimento al Karabakh – i nostri territori sono stati sotto occupazione. Sono state completamente rase al suolo 65 moschee su 67, ma sono stati distrutti anche monumenti cristiani. Quando le forze armene si sono ritirate hanno lasciato in quell’area milioni di mine, che continuano a provocare ferimenti. Noi, però, vogliamo voltare pagina. Vogliamo la pace, e lo dimostriamo attraverso il rispetto e la tolleranza verso le altre religioni”. Il Gran muftì ricorda anche un episodio che lo vide protagonista durante la prima guerra del Karabakh, tra il gennaio del 1992 e il maggio del 1994. “Ci incontrammo in un hotel con il patriarca della Chiesa armena e con il capo della Chiesa ortodossa russa. Arrivammo a un accordo per la liberazione, simbolica, di due prigionieri per parte. Riuscì a convincere l’allora presidente Heydar Aliyev, e non fu facile. L’Azerbaigian procedette alla liberazione di due militari armeni. L’Armenia non lo fece mai. Aliyev – conclude Pashazade sorridendo – mi disse di non promettere mai più nulla”.

Lo scorso agosto, con la mediazione del presidente statunitense Donald Trump, i presidenti Ilham Aliyev, e Nikol Pashinyan hanno avviato un accordo di pace per risolvere un conflitto che durava da oltre trent’anni. Il Gran muftì esprime la speranza che l’intesa regga, ma evidenza la necessità che tutte le parti s’impegnino a fondo per la pace. Lo stesso vale per il Medio Oriente e il mondo arabo, con cui Pashazade ricorda i rapporti solidi, “di fratellanza” dell’Azerbaigian. “Noi siamo sempre stati parte del mondo islamico – puntualizza il Gran muftì – anche quando eravamo sotto l’Unione sovietica, la cui ideologia prevedeva il comunismo e l’ateismo. All’epoca, nonostante tutte le pressioni da parte delle autorità socialiste, l’Azerbaigian inviò una lettera per entrare a far parte dell’Organizzazione della cooperazione islamica. L’Urss collassò un anno dopo”. Un esempio, secondo Pashazade, che racconta ancora dell’atteggiamento di apertura del Paese e dei suoi secolari rapporti.

Intervista di Nizar Ramadan e Giammarco Volpe

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