K metro 0 – Madrid – In Spagna si torna a parlare di immigrazione, tra proteste di piazza, scontri politici e numeri in calo solo apparente. Le rivolte anti-migranti scoppiate a Torre Pacheco, in Murcia, dopo l’aggressione a un anziano, hanno scatenato cinque notti di tensione, alimentate da fake news e mobilitazioni dell’estrema destra. Secondo
K metro 0 – Madrid – In Spagna si torna a parlare di immigrazione, tra proteste di piazza, scontri politici e numeri in calo solo apparente. Le rivolte anti-migranti scoppiate a Torre Pacheco, in Murcia, dopo l’aggressione a un anziano, hanno scatenato cinque notti di tensione, alimentate da fake news e mobilitazioni dell’estrema destra.
Secondo un sondaggio Sigma Dos per El Mundo, il 70% degli spagnoli è favorevole ai rimpatri. Persino il 57% degli elettori del PSOE di Pedro Sánchez sarebbe d’accordo. Ma il premier, almeno per ora, non cambia rotta. Resta tra i pochi leader europei a non piegarsi alla linea dura di Bruxelles.
Al Consiglio UE degli Affari Interni, il ministro dell’Interno Grande-Marlaska ha ribadito il “no” di Madrid alla creazione di centri di rimpatrio nei Paesi terzi. Piuttosto, ha rivendicato i risultati ottenuti con la cooperazione bilaterale con Senegal, Mali e Mauritania: -42% di sbarchi alle Canarie nel primo semestre 2025, secondo dati ufficiali, a fronte di un calo medio del 20% nell’intera UE.
Ma non tutti ci credono. Per l’analista Xavier Aragall dell’IEMed, i numeri sono temporanei: “I controlli nei Paesi di transito stanno solo creando colli di bottiglia. I flussi riprenderanno, forse con più forza”, ha dichiarato a Euractiv.
Nel frattempo, Sánchez è stretto tra spinte opposte all’interno della sua maggioranza. A sinistra, Sumar e altri alleati spingono per regolarizzare 500.000 migranti senza documenti e si oppongono ai rimpatri forzati. Dall’altra parte, forze come Junts e il PNV chiedono più controlli e più rigore. È caos anche sulla redistribuzione di 3.000 minori non accompagnati: sei regioni, tra cui Madrid e Valencia, hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale. E fa discutere l’esclusione dal piano di Catalogna e Paesi Baschi, roccaforti del governo.
In tutto questo, però, resta fuori fuoco un tema cruciale: lo sfruttamento. Come ha scritto Salvador Bernal su Aceprensa, “senza immigrati la Spagna non potrebbe funzionare”. Dagli ospedali ai trasporti, dai campi alle case, sono loro a tenere in piedi molti servizi.
Eppure, il bersaglio sono quasi sempre loro. Mentre le vere mafie che si arricchiscono sulla pelle dei migranti continuano a fare affari. Bernal cita il caso di Prato, in Toscana: 5.000 imprese tessili gestite da cinesi, dove lavorano connazionali irregolari in condizioni disumane, 12 ore al giorno, 7 giorni su 7.
Ma l’attenzione pubblica, in Spagna come altrove, si concentra su chi arriva, non su chi sfrutta. “Servirebbe più lucidità e una cultura democratica capace di distinguere le vittime dai carnefici”, scrive Bernal.
Intanto, mentre in Europa si alzano muri, Sánchez resta quasi solo a difendere una linea più umana. Ma per quanto ancora?