Pornografia e minori: un clic di troppo. E gli algoritmi fanno il resto

Pornografia e minori: un clic di troppo. E gli algoritmi fanno il resto

K metro 0 – Parigi – Oggi, per un ragazzino, è più facile trovare un video pornografico che un cartone animato degli anni ’90. Non servono competenze particolari né chissà quali strumenti: basta uno smartphone, una connessione e una parola sbagliata digitata su Google. Il tutto mentre la scuola e le famiglie si interrogano –

K metro 0 – Parigi – Oggi, per un ragazzino, è più facile trovare un video pornografico che un cartone animato degli anni ’90. Non servono competenze particolari né chissà quali strumenti: basta uno smartphone, una connessione e una parola sbagliata digitata su Google. Il tutto mentre la scuola e le famiglie si interrogano – spesso in ritardo – su come affrontare la questione.

Odile Calvet, infermiera scolastica in Corrèze, non si stupisce più: “Nelle scuole medie, alcuni ragazzi fanno domande così specifiche che è evidente che abbiano già visto pornografia. Anche nelle primarie, purtroppo”. La pornografia è diventata un’esperienza precoce e spesso non voluta. “Stiamo solo grattando la superficie”, dice.

I numeri parlano chiaro. Nel 2022, il 28% dei minori francesi ha visitato siti pornografici almeno una volta al mese, e oltre la metà dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni è entrata in contatto con questi contenuti. Lo rivela Arcom, l’autorità francese per la comunicazione digitale.

Per contrastare il fenomeno, la Francia ha introdotto l’obbligo per i principali siti porno di verificare l’età degli utenti. Il gruppo Aylo – che controlla Pornhub, YouPorn e altri – ha risposto bloccando l’accesso al pubblico francese. Ma bastano pochi clic per superare il blocco: “Installare una VPN è semplice anche per un dodicenne”, avverte Ludi Demol Defe, esperta dell’Università Paris 8.

Il problema però non sono solo i siti espliciti. La pornografia si nasconde ovunque: nei banner dei siti di streaming, nei videogiochi scaricati illegalmente, nei social network. E spesso il primo contatto avviene per caso. “Nel 40-70% dei casi l’esposizione iniziale è involontaria”, spiega la psicologa María Hernández-Mora, fondatrice del Cefraap. “Dopo quella prima volta, il ragazzino può cercare attivamente quei contenuti, anche senza capire bene cosa ha visto.”

Anche un tablet di famiglia può diventare un rischio. “Se un adulto ha visitato siti porno, il browser memorizza i suggerimenti e può proporli anche a un minore che digita poche lettere”, racconta Samuel Comblez, vice-direttore dell’associazione e-Enfance/3018. Basta poco.

I social, che formalmente vietano l’iscrizione ai minori di 13 anni, sono in realtà pieni di under 12. “Nel 2022, il 58% dei ragazzi di 11-12 anni era su almeno una piattaforma social”, rivela una ricerca di Génération Numérique. E da lì, tutto può succedere.

Alcune piattaforme – come X (ex Twitter) – permettono esplicitamente la pubblicazione di contenuti pornografici. Basta indicare una data di nascita falsa per accedere. “Una volta dentro, si percepisce subito la forza degli algoritmi”, dice Thomas Rohmer, fondatore dell’Observatoire de la parentalité numérique. “L’utente mette un like a un contenuto un po’ ambiguo e, nel giro di poco, riceve suggerimenti sempre più spinti.”

Ma non sono solo i video a preoccupare. I ragazzi ricevono messaggi privati con link espliciti o richieste strane. Alcuni arrivano da bot automatici, altri da adulti con secondi fini. “Ci sono predatori che usano questi strumenti per manipolare e disinibire i più giovani”, avverte Eglantine Cami dell’associazione Caméléon, che si occupa di abusi sui minori.

Un altro canale, molto difficile da controllare, è quello della condivisione tra pari. Ragazzi che si scambiano video, immagini, link. “Capita spesso anche con contenuti creati da loro stessi, come foto intime”, spiega Comblez. A volte per scherzo, a volte per provocazione, spesso per noia.

“Molti adolescenti si sentono obbligati a guardare quei contenuti per non essere esclusi dal gruppo”, dice Estelle, infermiera scolastica nelle Yvelines. “Usano un linguaggio sessualizzato anche fuori contesto, a volte per imitare quello che vedono online.” Il problema è culturale, prima ancora che tecnologico.

Negli ultimi anni si è fatta sempre più sottile la linea che separa i social dalla pornografia vera e propria. Alcuni influencer spingono i propri follower – spesso giovanissimi – verso piattaforme a pagamento come OnlyFans o Mym, dove vendono contenuti espliciti. “È un modello tossico, che normalizza l’idea che il corpo si possa monetizzare in cambio di like o soldi”, dice ancora Rohmer.

Il caso del creator AD Laurent è emblematico: milioni di follower, contenuti fortemente sessualizzati, provocazioni continue. Dopo le denunce del governo francese, TikTok ha chiuso il suo account. Ma il messaggio era già passato.

La Francia ha adottato la legge Sren per bloccare l’accesso ai siti porno che non verificano l’età, ma le piattaforme social restano fuori da questa regolamentazione. E qui sta il vero nodo. “Non è possibile obbligare X o Instagram a controllare l’età degli iscritti”, denuncia Cami. “I ragazzi lo sanno e mentono. Lo fanno tutti.”

Per le associazioni, solo l’Europa può costringere le grandi piattaforme a cambiare rotta. Il Digital Services Act potrebbe introdurre nuovi obblighi, ma serve volontà politica. Intanto, i minori restano esposti. E troppo spesso soli.

Oltre a leggi e filtri, c’è una via più concreta: il dialogo. “I genitori devono creare uno spazio dove i figli possano parlare, anche quando si tratta di temi delicati”, dice Hernández-Mora. “Non servono punizioni. Serve ascolto. E serve spiegare cos’è la pornografia, perché non è educazione sessuale e quali rischi comporta.”

Rohmer è netto: “Bisogna contrastare l’idea che il porno sia un tutorial. I ragazzi hanno bisogno di una visione diversa, più rispettosa, più reale.” Perché se non gliela offriamo noi, la troveranno altrove. E non sarà quella giusta.

di Sandro Doria

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