K metro 0 – Bruxelles – L’Europa rischia di perdere definitivamente terreno in Libia. A Tripoli le istituzioni si sfaldano, Bengasi espone nuove armi avanzate in aperta violazione dell’embargo Onu, mentre Mosca consolida il proprio ruolo strategico sulla sponda sud della Nato. L’indiscrezione di “Agenzia Nova” secondo cui la Russia vorrebbe installare sistemi missilistici nella base aerea
K metro 0 – Bruxelles – L’Europa rischia di perdere definitivamente terreno in Libia. A Tripoli le istituzioni si sfaldano, Bengasi espone nuove armi avanzate in aperta violazione dell’embargo Onu, mentre Mosca consolida il proprio ruolo strategico sulla sponda sud della Nato.
L’indiscrezione di “Agenzia Nova” secondo cui la Russia vorrebbe installare sistemi missilistici nella base aerea di Tamanhint, a nord-est di Sebha, capitale del Fezzan sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, non è passata inosservata nelle cancellerie occidentali, suscitando nuove preoccupazioni sulla crescente proiezione strategica russa nel Mediterraneo meridionale.
“Seguiamo molto da vicino gli sviluppi in Libia – ha detto un portavoce dell’Ue ad ‘Agenzia Nova’ – La questione è stata discussa all’ultimo Consiglio Affari esteri e sarà ripresa anche nella prossima riunione di giugno”. Sebbene Bruxelles eviti di commentare notizie non confermate, la Commissione continua a interfacciarsi “con tutte le parti interessate, per tutelare gli interessi dell’Unione”. Secondo funzionari ed esperti intervenuti in un evento riservato organizzato da Ecfr, la crisi libica rappresenta oggi il sintomo avanzato di una fragilità multilivello – politica, energetica e di sicurezza – che l’Occidente non può più permettersi di ignorare.
La caduta del regime di Bashar al Assad a Damasco ha dimostrato quanto velocemente possa crollare un equilibrio solo apparente. In Libia, gli scontri armati esplosi di recente a Tripoli non sono che l’ennesima manifestazione di un sistema istituzionale in via di disgregazione e comunque figlio di un accordo politico vecchio di dieci anni. A confermarlo è anche il caso della compagnia petrolifera privata Akrenu, che ha rotto il monopolio della National Oil Corporation (Noc), vendendo greggio libico al di fuori dei circuiti ufficiali. “Cinque anni fa sarebbe stato inimmaginabile – ha spiegato un funzionario delle Nazioni Unite – oggi è la normalità”. Il potere delle istituzioni centrali, dalla Banca centrale alla Procura generale, è ridotto ai minimi storici, mentre attori non statali si rafforzano.
Nel frattempo, la Russia consolida la propria presenza, parte di una strategia più ampia di penetrazione nel continente africano e di pressione sul fianco sud della Nato. Mosca è ormai un attore ineludibile per qualunque soluzione diplomatica, anche solo per via del diritto di veto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Al contrario, la posizione statunitense è difficilmente inquadrabile. Il pensionamento dell’inviato speciale Richard Norland, non ancora sostituito, conferma l’impressione di un disimpegno: Washington sembra oggi concentrata principalmente sulla sicurezza, lasciando scoperti gli ambiti politico ed economico.
“La Russia ci dipinge come ex colonizzatori decadenti – ha affermato un diplomatico europeo – e questo messaggio attecchisce tra i giovani africani. Dobbiamo parlare la loro lingua, contrastare la disinformazione e formarli ai valori della verità, della trasparenza e della governance”. Ma il tempo stringe. La proposta di creare in Libia un nuovo governo di transizione con mandato limitato a 120 giorni per portare il Paese al voto appare rischiosa e paradossale: si rischierebbe di aggiungere un terzo esecutivo all’attuale frammentazione. Altrettanto ambiziosa, ma ancora priva di consenso, è l’idea di un’Assemblea costituente dotata di poteri sovrani, da cui far derivare ogni legittimità.
Senza un’iniziativa europea coesa e credibile – avvertono gli analisti – la Libia rischia di trasformarsi definitivamente, se non lo è già, in un laboratorio geopolitico dove si confrontano potenze rivali: dalla Russia alla Cina, fino agli attori del Golfo. Se Mosca avanza militarmente e strategicamente, Pechino si muove con una logica più economica e infrastrutturale. Dopo anni di investimenti “a debito” nelle grandi opere, la Cina sta ora orientando il suo approccio verso il controllo delle filiere dei minerali critici, l’accesso ai porti e la partecipazione a progetti energetici con ricadute anche per i mercati locali. “La Cina – ha osservato un dirigente occidentale del comparto energetico – sta trasformando alcune operazioni in opportunità economiche non solo per sé, ma anche per i Paesi africani, costruendo una rete d’influenza più silenziosa ma altrettanto efficace per posizionarsi in prima fila nel mercato africano del futuro”.
Questa penetrazione economica si salda con una narrativa anti-occidentale che, al pari di quella russa, presenta Pechino come partner “non giudicante” e rispettoso della sovranità, in contrapposizione a un’Europa spesso vista come paternalista. Anche per questo, secondo diversi interlocutori, l’Ue dovrebbe costruire una presenza più pragmatica e strutturata, capace di offrire soluzioni win-win credibili, non solo nel breve termine ma anche sul piano dello sviluppo sostenibile e dell’integrazione regionale. Il Piano Mattei promosso dall’Italia rappresenta un primo passo utile, ma non sufficiente. “Serve un blocco europeo – ha ammonito un accademico africano – o le criticità della Libia (e dell’Africa, ndr) diventeranno un problema irrisolvibile per l’Europa stessa”.