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Iran, politica estera: cosa aspettarsi dal nuovo presidente

Iran, politica estera: cosa aspettarsi dal nuovo presidente

K metro 0 – Teheran – Non aveva molte chance di farcela, Masoud Pezeshkian, ex ministro della Sanità e membro del Parlamento: era difatti il più moderato dei candidati in lizza per la presidenza dopo l’improvvisa morte dell’ex presidente Ibrahim Raisi in un incidente in elicottero a maggio. Eppure il candidato jolly è stato eletto

K metro 0 – Teheran – Non aveva molte chance di farcela, Masoud Pezeshkian, ex ministro della Sanità e membro del Parlamento: era difatti il più moderato dei candidati in lizza per la presidenza dopo l’improvvisa morte dell’ex presidente Ibrahim Raisi in un incidente in elicottero a maggio.

Eppure il candidato jolly è stato eletto presidente lo scorso 5 luglio sbaragliando il rivale della linea dura Saeed Jalili.

Pezeshkian si distingue perché è “un riformista”. Ma non è liberale e amante della democrazia nel senso universale del termine. In Iran, infatti, i “riformisti” sono una fazione ideologica dell’élite al potere della Repubblica islamica.

Dagli anni Novanta, l’Iran ha conosciuto numerose ondate di dissenso e oppressione. Gli stessi riformisti han dovuto affrontare severe repressioni politiche, con diverse figure di alto profilo che hanno trascorso gli ultimi due decenni in carcere. Sebbene siano membri dell’establishment, è riconosciuto che non hanno influenza sui centri di potere cruciali, come l’Ufficio della Guida Suprema, il Consiglio dei Guardiani, il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) e il Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale.

Nel preparare la sua campagna presidenziale, Pezeshkian ha scelto una strategia simile a quella di Hassan Rouhani nel 2013: concentrarsi sulle difficoltà economiche che il Paese sta affrontando da anni per le sanzioni occidentali e incolpare i rivali conservatori di aver causato questa situazione con le loro posizioni “radicali” anti-occidentali. Pezeshkian ha dichiarato che la sua politica estera non sarà “né anti-occidentale, né anti-orientale”. Ha poi criticato le politiche dell’ex presidente Raisi, che hanno avvicinato il Paese alla Russia e alla Cina, e ha insistito sul fatto che l’unico modo per risolvere la crisi economica è negoziare con l’Occidente per porre fine allo stallo nucleare e alleggerire le sanzioni.

Tuttavia, durante la campagna elettorale, la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha definito “illusi” coloro che credono di raggiungere la prosperità attraverso relazioni più amichevoli con gli Stati Uniti, sottolineando il fatto che sono stati gli Stati Uniti, e non l’Iran, a ritirarsi dall’accordo nucleare.

Secondo la Costituzione iraniana, il principale organo decisionale è proprio Khamenei, un chierico sciita di 85 anni che è stato rivoluzionario nel 1979 e diventato capo di Stato nel 1989. È noto per il suo astio ideologico nei confronti di Israele e degli Stati Uniti, per la sua totale sfiducia nei confronti dell’Occidente e, negli ultimi due decenni, per il suo sostegno attivo a una dottrina chiamata “guardare a Oriente”, ovvero propendere per la Cina e la Russia sulla scena globale.

Pertanto, quando Pezeshkian parla di una politica estera diversa, con un approccio più amichevole nei confronti dell’Occidente, le possibilità di cambiamenti nelle attività dell’Iran in Paesi come il Libano, la Siria e lo Yemen sono scarse. Tuttavia, il presidente è il diplomatico iraniano di più alto rango e il ministero degli Esteri può ancora contribuire alla definizione e all’attuazione della politica. Hanno così l’opportunità di spingere la loro visione attraverso un’azione di lobbying politico dietro le porte, come è accaduto nel 2015 quando l’allora presidente centrista Hassan Rouhani ha convinto gli integralisti, tra cui lo stesso Khamenei, ad accettare l’accordo.

Queste sfumature sono l’unica speranza dei riformisti di fare ciò che hanno promesso e di abbattere quelli che Pezeshkian ha definito i “muri che sono stati costruiti intorno al Paese dagli integralisti” rivela la Bbc.

Sina Toossi, senior fellow non residente presso il Center for International Policy, ha dichiarato alla CNBC: “Il risultato è stato sorprendente e segna un notevole cambiamento nel panorama politico iraniano”. La sua vittoria alle urne è stata tanto più sorprendente se si considera che l’ultraconservatore Consiglio dei Guardiani iraniano decide innanzitutto chi può candidarsi alle elezioni, favorendo fortemente i candidati conservatori.

Quanto può cambiare davvero, in realtà, il neo presidente? Per Behnam Ben Taleblu, senior fellow presso la Foundation for Defense of Democracies, think tank con sede a Washington, l’elezione di Pezeshkian non è altro che un cambiamento di facciata. C’è un altro aspetto importante da considerare: e se Trump vincesse le prossime presidenziali? Se Trump manterrà la sua posizione di fermo impegno a imporre sanzioni all’Iran e abbandonare l’accordo sul nucleare, gli obiettivi di Pezeshkian saranno inutili.  Il risultato delle elezioni iraniane presenta un “potenziale di apertura verso l’Occidente, ma arriva nel momento sbagliato, dato che siamo alla (potenziale) fine della presidenza Biden, e probabilmente una presidenza Trump e i falchi del GOP non avranno alcun interesse a impegnarsi con l’Iran”, ha dichiarato Tim Ash, senior emerging markets strategist di RBC BlueBay Asset Management, in una nota inviata via e-mail.

 

di Sandro Doria

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