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La “guerra sporca”: conflitti militari e distruzione dell’ambiente

La “guerra sporca”: conflitti militari e distruzione dell’ambiente

K metro 0 – Roma – Dalla “drôle de guerre”, la guerra farsa o “sitzkrieg” (“guerra seduta”, l’opposto di “Blitzkrieg”) per indicare la stasi delle operazioni (dalla fine della campagna di Polonia all’inizio dell’invasione della Francia nel  maggio 1940) alla “guerra sporca”. La guerra inquina. Gli eserciti producono ogni anno circa il 5% delle emissioni planetarie

K metro 0 – Roma – Dalla “drôle de guerre”, la guerra farsa o “sitzkrieg” (“guerra seduta”, l’opposto di “Blitzkrieg”) per indicare la stasi delle operazioni (dalla fine della campagna di Polonia all’inizio dell’invasione della Francia nel  maggio 1940) alla “guerra sporca”.

La guerra inquina. Gli eserciti producono ogni anno circa il 5% delle emissioni planetarie di CO2. Quello americano, con quasi 800 basi in 80 Paesi, è il principale inquinatore: consuma più energia di qualsiasi altra istituzione al mondo. “Se le forze armate del pianeta fossero un paese, avrebbero la quarta più grande impronta ecologica al mondo”, scrive Alice Pistolesi,  redattrice dall’”Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo”. L’inquinamento causato dalle guerre attive oggi nel mondo (31 conflitti, 23 situazioni di crisi,  due macroaree di tensione, secondo l’XIesima edizione dell’”Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo”) e da tutte quelle che le hanno precedute, è massiccio: le emissioni causate dai conflitti sono infinitamente più di quelle che pensiamo.

Emissioni e non solo

Spostamento di truppe, mezzi di trasporto, armi ed equipaggiamento,  emissioni causate dalle esplosioni, dalle armi incendiarie e dalla strategia militare di distruzione dei raccolti per forzare le popolazioni locali alla resa e via elencando… Altra pratica altamente inquinante è quella del gas flaring, l’incendio dei combustibili fossili, attraverso cui gli eserciti si assicurano che le risorse siano inutilizzabili affinché i gruppi nemici non possano beneficiare della loro vendita.

La guerra in Ucraina, oltre alle emissioni (150 milioni di tonnellate di CO2 nei primi 18 mesi del conflitto) ha causato danni enormi a uno degli ecosistemi più ricchi d’Europa. La terra e l’acqua sono state inquinate. Foreste in fumo, esplosioni e incendi, bombardamenti, transito di veicoli, contaminazioni da residui tossici, hanno alterato il paesaggio e ridotto la biodiversità. Dopo l’esplosione della diga di Kakhovka, nel sud del paese, lo scorso giugno, la procura generale dell’Ucraina ha aperto un’indagine per “reato di ecocidio”, finora non riconosciuto dal diritto internazionale. Nel dicembre 2022 gli Stati dell’Assemblea generale delle Nazioni unite hanno adottato 27 principi giuridici per migliorare la protezione dell’ambiente durante tutto il ciclo dei conflitti armati. Ma alcuni obblighi  non sono vincolanti…

Guerre e criminalità ambientale

Il 27  febbraio 2024, il parlamento europeo di Strasburgo ha approvato la nuova direttiva contro la criminalità ambientale, la quarta attività criminale più grande al mondo, che prevede fino a 10 anni di carcere per l’”ecocidio”. Ma spesso si sottovaluta l’impatto ambientale dei conflitti. Anche l’ambiente è vittima delle guerre. Con conseguenze distruttive di lunga durata  su acqua, aria e suolo e con gravi ripercussioni sulla salute umana e sulle specie animali e vegetali. Ampi territori vengono deforestati intenzionalmente per favorire operazioni di guerra. L’impatto degli esplosivi genera crateri con effetti sulla conformazione del territorio e sull’erosione del suolo.  Gli ordigni inesplosi rendono impraticabili i terreni e causano danni ai civili per anni  rilasciando residui tossici nell’acqua, nel suolo e lungo le catene alimentari.

In fatto di impatto ambientale, i media hanno da sempre puntato il dito esclusivamente contro la produzione industriale e agricola, il settore dei trasporti e, in generale, le conseguenze ecologiche del comparto civile globale. Di rado ad essere incriminato è stato invece il settore militare, il quale non è mai stato considerato nemmeno dai protocolli o dalle conferenze internazionali. Era il 5 novembre 2001 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dichiarava il 6 novembre la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in guerra e nel conflitto armato. Sono passati 23 anni e di questa giornata si sa poco o niente. I conflitti aumentano sempre di più, provocando inquinamento e deforestazione.

I militari fanno la guerra anche all’ambiente

Dall’Afghanistan al Myanmar, dalla Palestina al Medio Oriente e al sudest asiatico, i militari fanno la guerra anche all’ambiente. Secondo un rapporto del Global Conflict Tracker ,  nel Golfo del Bengala, che comprende paesi come  l’India, la Thailandia, il Bangladesh e Myanmar, le giunte militari al potere sono responsabili degli sfollamenti di interi gruppi di popolazione. Primi fra tutti, i musulmani Rohingya, perseguitati militarmente dal governo birmano.  Un milione di profughi ha abbandonato lo stato del Rakhine per riparare sulle alture circostanti a Cox’s Bazar, una cittadina in territorio bengalese. Questa catastrofe umanitaria ha avuto forti impatti sulla situazione forestale dentro e fuori il confine. Infatti secondo il giornalista Sumon Corraya di Asia News “le famiglie Rohingya che risiedono nei campi profughi di Ukhia e Teknaf bruciano ogni giorno circa 2.250 tonnellate di legna solo per cucinare”. La deforestazione, che ad oggi ha visto scomparire 7mila ettari di foresta, contribuisce grandemente ad allagamenti e disastri.

Sempre più danni ai terreni agricoli sta causando il conflitto israelo-palestinese. Nella parte nord della regione di Beit Hanoun,  nella Striscia di Gaza, frutteti, campi e serre sono stati rasi al suolo.  L’esercito israeliano ha dichiarato nelle ultime settimane di aver condotto operazioni militari in questa zona per eliminare tunnel e altri obiettivi militari, ha rivelato Human Right Watch. Circa il 15% delle terre coltivabili, nella Striscia, è significativamente degradato. Dopo la reazione militare israeliana all’attacco dei miliziani di Hamas in territorio d’Israele, la superficie di queste aree agricole si è continuamente ridotta, distruggendo i mezzi di sussistenza dei gazawi.

Le guerre, in conclusione, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico, che è, a sua volta, alla base di nuovi conflitti   o contribuisce a quelli già in corso. Un bel circolo vizioso. Come si spezza? Hic Rhodus, hic salta.

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