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Pechino-Buenos Aires: litio argentino e yuan come moneta di scambio

Pechino-Buenos Aires: litio argentino e yuan come moneta di scambio

K metro 0 – Nova – Buenos Aires – Investimenti in infrastrutture e litio, la disponibilità ad entrare nell’orbita dei Brics (il gruppo dei Paesi cosiddetti emergenti, Brasile, Russia, India, Cina, Russa e Sudafrica) e il via libera all’uso dello yuan come moneta per gli scambi commerciali. Sono i principali risultati che il ministro dell’Economia

K metro 0 – Nova – Buenos Aires – Investimenti in infrastrutture e litio, la disponibilità ad entrare nell’orbita dei Brics (il gruppo dei Paesi cosiddetti emergenti, Brasile, Russia, India, Cina, Russa e Sudafrica) e il via libera all’uso dello yuan come moneta per gli scambi commerciali. Sono i principali risultati che il ministro dell’Economia dell’Argentina, Sergio Massa, porterà a Buenos Aires, di ritorno da una missione lampo in Cina. Una visita divisa tra Shanghai e Pechino, che rende la Cina un attore sempre più strategico per aiutare Buenos Aires a trovare soluzioni alla complicata crisi economica in corso, con un’inflazione oltre il 100 per cento, un indebolimento delle riserve monetarie e la frenata imposta dalla siccità all’agricoltura, spina dorsale della produzione nazionale. Al seguito di Massa, come sottolineano tutti i media locali, viaggia anche Maximo Kirchner, figlio degli ex presidenti Nestor e Cristina, considerato nome autorevole esponente dell’ala sinistra del governo di Alberto Fernandez, e interlocutore “di fiducia” per Pechino. Il tutto a pochi mesi dalle elezioni generali, con la maggioranza di centrosinistra in grande difficoltà, ancora priva di un candidato certo per la presidenza.

Massa ha annunciato che a partire da venerdì entrerà in funzione un sistema di scambio commerciale che permetterà di utilizzare direttamente gli yuan, saltando i passaggi che vengono correntemente fatti su altre valute, dollaro in primis, causa di perdite per l’erario. Uno schema, segnalano fonti dell’Economia al quotidiano “Ambito”, che permetterà di evitare “frodi” come quella di una triangolazione scoperta di recente tra l’Uruguay e la Florida: prima di far arrivare i prodotti a Pechino, venivano realizzati cambi monetari giocando sulle migliori offerte disponibili nelle diverse piazze. Di fatto, conti alla mano, “la Cina esporta in Argentina meno di quanto l’Argentina registra come entrate commerciali”.

L’accordo, annunciato al termine di un incontro con i dirigenti della compagnia mineraria Tsingshan Holding Group, consolida di fatto la strategia di ridurre l’influenza del biglietto verde, a protezione delle riserve a disposizione della Banca centrale (Bcra) per manovrare su tasso di cambio e inflazione. Una mossa che unita alla possibilità di realizzare investimenti direttamente in valuta cinese, rende lo yuan centrale nella relazione commerciale e finanziaria, nella speranza di riequilibrare la bilancia commerciale e con la possibilità che Pechino divenga il primo partner di Buenos Aires, superando anche il Brasile. In attesa di divulgare i dettagli dell’intesa, venerdì, Massa ha annunciato la creazione di una camera di commercio argentina in Cina, richiesta a gran voce da una ventina di imprenditori del Paese sudamericano.

Il ministro dell’Economia aveva in precedenza sostenuto riunioni con compagnie minerarie per accordi centrati soprattutto sul litio. “Lavoriamo con società minerarie su progetti di investimento e produzione di litio in Argentina, che generano occupazione ed esportano lavoro nazionale con valore aggiunto”, ha spiegato Massa in un messaggio pubblicato sul proprio profilo Twitter. Investimenti che potranno aumentare grazie alle “condizioni” poste come Paese: “sviluppo dei fornitori locali, rispetto delle comunità autoctone e rispetto delle normative ambientali”. Investimenti che “ci permettono di smettere di essere un Paese che esporta prodotti primari per diventare un Paese che esporta con valore aggiunto attraverso l’estrazione mineraria che investe in modo responsabile”, ha detto Massa.

La visita si era aperta con l’annuncio di un arrivo di quasi un miliardo di dollari nelle casse pubbliche, parte dei progetti di investimenti ed esborsi realizzati dalle compagnie cinesi che partecipano allo sviluppo in Argentina della Nuova via della seta. Si parla, in primo luogo di 524 milioni di dollari che il gruppo Ghezouba mette a disposizione per terminare i lavori della diga Jorge Cepernic, nella provincia di Santa Cruz. La stessa impresa stanzia 70 milioni di dollari per impianti di depurazione del concessionario statale delle acque Aysa nella provincia di Buenos Aires. Dalla Stae Grid arrivano 330 milioni di dollari per la costruzione del Amba1, struttura destinata a fornire energia nella zona metropolitana della capitale: un meccanismo che dovrebbe dare a circa otto milioni di argentini la sicurezza di non soffrire più dei troppi black-out registrati negli ultimi tempi.

Sullo sfondo, proseguono le trattative per innovare e intensificare la relazione tra l’Argentina e i Brics. Un percorso che vede protagonista il Brasile di Luiz Inacio Lula da Silva, e che potrebbe ulteriormente definirsi con il vertice della Nuova banca di sviluppo (Ndb), il “braccio finanziario” del gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), tenuto in settimana a Shanghai. Il consiglio direttivo della Ndb esamina infatti tra le altre cose l’attivazione di un meccanismo finanziario proposto da Lula, che potrebbe rivelarsi di grande aiuto per l’Argentina, Paese esterno al blocco ed ostaggio di una crisi economica che morde le finanze pubbliche a pochi mesi dalle elezioni presidenziali.

Per soccorrere l’Argentina, il Brasile propone alla Ndb di concedere a un Paese del gruppo Brics crediti a tassi molto agevolati per programmi utili ad approfondire le relazioni commerciali con un Paese terzo. Nello specifico, sarebbe lo stesso Brasile a ricevere i fondi – a costi più che sostenibili – e usarli per garantire programmi di sostegno all’esportazione o agli investimenti in Argentina. Buenos Aires ha bisogno di importare beni, soprattutto strumentali, ma il governo mette grossi freni all’uscita del dollaro, per preservare le scarse riserve utili a manovrare sull’inflazione, in una situazione economica già penalizzata dalla siccità che ha piegato l’agricoltura. Brasilia, che non vuole perdere un mercato di destinazione cruciale, potrebbe anticipare agli esportatori gli incassi sulle vendite. Una manovra che realizzandosi direttamente in real, finirebbe inoltre per togliere protagonismo al dollaro.

Si tratta di un meccanismo complesso, soprattutto perché comporterà un cambio nello statuto dell’organismo. Il che, in ultima istanza, significa avere il via libera di tutti gli azionisti del gruppo: se il presidente della Cina, Xi Jinping, ha fatto sapere di essere disponibile, dai presidenti di Russia, India e Sudafrica – rispettivamente Vladimir Putin, Narendra Modi e Cyril Ramaphosa – non sono arrivati ancora pronunciamenti concreti. Per sostenere la proposta, grazie all’invito di Rousseff, a Shanghai si è presentato Sergio Massa, l’attivissimo ministro dell’Economia, impegnato a ricorrere il mondo per cercare soluzioni alla asfissiante crisi del debito nazionale. Un’agenda che gli ha permesso di avere contatti stretti anche con gli altri ministri economici del Brics. È possibile che chiuso il vertice, Massa e l’omologo brasiliano, Fernando Haddad, si trovino per fare il punto e valutare quali passi operare.

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