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Ayodhya  città sacra dell’India, contesa dagli estremisti indù

Ayodhya  città sacra dell’India, contesa dagli estremisti indù

K metro 0 – New Delhi – Ayodhya non è un posto qualsiasi: la  tradizione  racconta che qui nacque il dio Rama, settima reincarnazione di Visnù. E che anticamente, il tempio a lui dedicato fosse proprio sul terreno dove sorse poi la Babri Masjid, la grande moschea costruita nel XVI  secolo da Babar, il fondatore

K metro 0 – New Delhi – Ayodhya non è un posto qualsiasi: la  tradizione  racconta che qui nacque il dio Rama, settima reincarnazione di Visnù. E che anticamente, il tempio a lui dedicato fosse proprio sul terreno dove sorse poi la Babri Masjid, la grande moschea costruita nel XVI  secolo da Babar, il fondatore della dinastia Mogul.

Trent’anni fa, il 6 dicembre 1992, militanti del Sangh Parivar  (un fronte comune di partiti nazionalisti indù) si scagliarono contro la moschea, al grido di “Jai Shri Ram” (Vittoria al divino Rama) abbattendo le tre cupole in meno di tre ore  senza che la polizia intervenisse. E nella notte, sulla macerie della moschea, venne costruito un piccolo tempio indù.

Circa 2.000 persone furono uccise negli scontri che seguirono fra indù e musulmani. E nel giorno in cui fu distrutta Babri Masjid, molti quartieri musulmani furono attaccati a Bombay, Bhopal, Nuova Delhi e Hyderabad.

Con la crescita del fondamentalismo indù, la Babri Masjid era diventata un terreno di scontro fra due comunità religiose. Come poi accertò molti anni dopo (nel 2014) il Cobrapost (un importante sito di giornalismo investigativo indipendente indiano) la demolizione della moschea fu pianificata dai capi del Bharatiya Janata Party  (Bjp, partito nazionalista indù) L.K. Advani e Murli Manohar Joshi, col tacito assenso  dell’allora primo ministro  dell’Uttar Pradesh, Kalyan Singh. I suoi esponenti sapevano che la loro forza elettorale poteva crescere grazie a questi atti, che rinfocolavano  secolari conflitti religiosi.

Ayodhya, a mezza via tra Lucknow (la capitale dell’Uttar pradesh)  e Benares (Varanasi: la città sacra per gli induisti, in riva al Gange), è stata, in questi ultimi trent’anni, al centro di lotte politiche, accese discussioni, sporadici attentati e ricorrenti violenze. E resta  motivo di tensioni in tutto il subcontinente indiano, dove la convivenza pacifica fra indù e musulmani è sempre più complessa.

Una piccola città in un grande  paese di oltre 1,4 miliardi di persone che sta per diventare il più popolato del mondo. E deve affrontare una delle sue maggiori sfide: salvaguardare le libertà per la sua minoranza musulmana (200 milioni di persone, il più grande gruppo minoritario del paese) in un momento in cui una crescente ondata di nazionalismo indù sta erodendo le basi secolari del paese.

I musulmani, sparsi quasi ovunque in India, sono spesso vittime di una furia sistemica da quando il primo ministro Narendra Modi ha assunto il potere per la prima volta nel 2014.

Da allora, Ayodhya è diventata un microcosmo religioso dell’India, dove un passato diverso e multiculturale è stato gradualmente eclissato dalla rottura dei rapporti tra indù e musulmani.

La  campagna trentennale dei nazionalisti indù per la ricostruzione del tempio di Rama al posto della moschea di Babri Masjid ha visto successive ondate di violenze religiose e un’aspra battaglia legale sul sito di cui gli indù sono rientrati in possesso nel 2019.

In seguito, ai musulmani è stata assegnata un’area alternativa alla periferia della città per costruire una nuova moschea. E un anno dopo, il premier indiano Modi ha partecipato  alla cerimonia inaugurale del tempio indù sulle rovine di Babri Masjid.

“I cuori dei musulmani sono spezzati”, ha detto Syed Mohammad Munir Abidi, a Sheik Saaliq, dell’Associated Press, che ha condotto recentemente  un’inchiesta su Ayohhya. “Nessun musulmano si oppone alla costruzione del tempio di Rama, ma questi cambiamenti unilaterali stanno avendo un forte  impatto culturale” perché l’ex moschea era essenziale per l’identità islamica della città, che ha già subito grandi cambiamenti.

Per decenni  ha fatto parte del distretto di Faizabad. Ma nel 2018, le autorità hanno cambiato il nome dell’intero distretto da Faizabad ad Ayodhya: un’iniziativa che rispecchiava la propensione del governo di Nerendra Modi a sostituire importanti nomi geografici musulmani con nomi indù, per “cancellare tutto ciò che lontanamente riflette la cultura musulmana”.

Oggi ad Ayodhya è in corso   una frenetica costruzione di hotel (che attirano decine di migliaia di pellegrini indù) e di superstrade più ampie, per rilanciare l’economia della città. Ma a quale prezzo?

“Dei rapporti che indù e musulmani avevano pazientemente intessuto stanno quasi scomparendo le tracce” lamenta Abidi.

Le divisioni religiose dell’India si sono acuite sotto il governo di Modi. Molti musulmani sono stati linciati da folle indù che li  accusano di consumare  carne bovina o di contrabbandare mucche, animali sacri per gli indù. Imprese musulmane sono state boicottate, le loro sedi   rase al suolo e i luoghi di culto incendiati. A volte sono stati lanciati appelli al genocidio dei musulmani, fra il pesante silenzio di Modi.

I musulmani sono stati inoltre accusati di voler fare più figli per stabilire un  predominio. Ma  le statistiche ufficiali dimostrano il contrario: la composizione religiosa dell’India è rimasta sostanzialmente stabile dal 1947 e il tasso di fertilità dei musulmani è sceso da 4,4 nel 1992 a 2,3 nel 2020.

I musulmani hanno anche il livello di alfabetizzazione più basso tra tutte le principali comunità religiose indiane. Hanno subito discriminazioni in materia di occupazione e alloggio e detengono poco meno del 5% dei seggi in parlamento, la quota più bassa di sempre. (vedi “India: i musulmani vittime di un sistema di caste che li esclude e li ostacola”, kmetro0.it, 24 dicembre 2021).  

Per Abidi, tutto questo prefigura  un cupo futuro, in cui il carattere laico dell’India vivrà solo nei ricordi delle persone.

Quest’anno i musulmani di Ayodhya hanno dovuto rinunciare alla vendita e al consumo di carne durante un’altra festa indù che ha coinciso con l’inizio del Ramadan.

In un’atmosfera del genere, dice Abidi, solo la tolleranza religiosa può fermare il peggioramento delle fratture comunitarie dell’India.

“L’India sopravviverà solo se ripareremo i cuori e non li spezzeremo”.

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