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Rapporto ONU sul clima: umanità a rischio entro i prossimi trent’anni

Rapporto ONU sul clima: umanità a rischio entro i prossimi trent’anni

K metro 0 – New York – Estinzione di migliaia di specie, malattie più diffuse, caldo invivibile, collasso dell’ecosistema, città minacciate dall’innalzamento dei mari. Un futuro minaccioso quello prospettato, entro i prossimi trent’anni, nella bozza choc dell’IPCC (Intergovermental Panel on Climate Change), il principale organismo dell’ONU per la valutazione dei cambiamenti climatici. “Il peggio deve

K metro 0 – New York – Estinzione di migliaia di specie, malattie più diffuse, caldo invivibile, collasso dell’ecosistema, città minacciate dall’innalzamento dei mari.

Un futuro minaccioso quello prospettato, entro i prossimi trent’anni, nella bozza choc dell’IPCC (Intergovermental Panel on Climate Change), il principale organismo dell’ONU per la valutazione dei cambiamenti climatici.

Il peggio deve ancora venire” e inciderà “sulla vita dei nostri figli e dei nostri nipoti molto più della nostra“, afferma il rapporto: un atto d’accusa di 4.000 pagine sulla gestione del pianeta da parte dell’umanità.

Progettato per influenzare le decisioni politiche critiche, il rapporto non sarà pubblicato prima del febbraio 2022: troppo tardi per i vertici delle Nazioni Unite di quest’anno su clima, biodiversità e sistemi alimentari, sostengono alcuni scienziati.

Da alleati a nemici

Quando emettiamo quantità record di gas serra nell’atmosfera, stiamo minando la capacità delle foreste e degli oceani di assorbirli, trasformando in nemici i nostri più grandi alleati naturali nella lotta contro il surriscaldamento globale.

Il rapporto arriva in un momento di “risveglio ecologico” globale e funge da termine di paragone della realtà contro tante promesse di emissioni zero da parte di governi di tutto il mondo.

Le sue conclusioni sono ancora più allarmanti sulle “conseguenze irreversibili” di un aumento del riscaldamento del pianeta.

Un riscaldamento globale al di sopra della soglia fissata dall’accordo di Parigi sul clima avrebbe “impatti irreversibili” sui sistemi umani: se si raggiungeranno i +2 gradi centigradi anziché i +1,5, circa 420 milioni di persone in più sulla terra dovranno affrontare ondate di caldo estremo e fino a 80 milioni di persone in più nel mondo potrebbero essere minacciate dalla fame.

Carenza d’acqua, esodi, malnutrizione estinzione delle specie: la vita sulla terra sarà inevitabilmente trasformata dal cambiamento climatico quando i bambini nati nel 2021 avranno trent’anni o anche prima.

Ma qualunque sia il tasso di riduzione delle emissioni di gas serra le conseguenze devastanti del riscaldamento globale sulla natura e sull’umanità che da esso dipende accelereranno.

Entro il 2080 centinaia di milioni di abitanti delle città dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale e sudorientale potrebbero dover affrontare più di 30 giorni di caldo estremo ogni anno. In Africa le inondazioni potrebbero costringere milioni di persone a trasferirsi altrove.

Anche in Europa il numero di persone ad alto rischio di mortalità triplicherà se si dovessero raggiungere i +3 gradi centigradi di riscaldamento rispetto a +1,5gradi.

“Conseguenze irreversibili”

Ci sono almeno quattro indicazioni principali nel rapporto.

La prima è che con l’attuale livello di riscaldamento di +1,1 gradi centigradi il clima sta già cambiando.

Dieci anni fa, gli scienziati credevano che limitare il riscaldamento globale a +2 gradi centigradi sopra i livelli della metà del XIX secolo sarebbe stato sufficiente per salvaguardare il nostro futuro.

Con le tendenze attuali, ci stiamo dirigendo verso i +3 tre gradi centigradi, nella migliore delle ipotesi.

I modelli precedenti prevedevano che non avremmo assistito a cambiamenti climatici in grado di alterare il pianeta prima del 2100. Ma secondo le proiezioni dell’IPCC il riscaldamento prolungato anche oltre 1,5 gradi Celsius potrebbe produrre “conseguenze sempre più gravi, per secoli e, in alcuni casi, irreversibili”. Per alcune piante e specie animali potrebbe essere troppo tardi. La capacità di adattamento di molti organismi potrebbe essere irrimediabilmente compromessa.

Le barriere coralline, ecosistemi da cui dipendono mezzo miliardo di persone, ne sono un esempio.

Le popolazioni indigene dell’Artico affrontano l’estinzione culturale poiché l’ambiente da cui hanno tratto i loro mezzi di sussistenza si scioglie sotto i loro piedi.

Il riscaldamento globale ha anche allungato le stagioni degli incendi, raddoppiato le potenziali aree infiammabili e contribuito alla distruzione dei sistemi alimentari.

Prepararsi per tempo

Una seconda importante indicazione del rapporto è che il mondo deve prepararsi ad affrontare questa realtà. “Gli attuali livelli di adattamento saranno inadeguati per rispondere ai futuri rischi climatici”.

Decine di milioni di persone in più rischiano la fame cronica entro il 2050 e 130 milioni in più potrebbero sperimentare la povertà estrema entro un decennio se le disuguaglianze aumenteranno.

Nel 2050, le città costiere più colpite dalla crisi climatica saranno travolte da inondazioni e mareggiate sempre più frequenti per l’innalzamento dei mari.

Punto di non ritorno

La terza previsione del rapporto è il pericolo di conseguenze concatenate e a cascata.

Recenti ricerche hanno dimostrato che un aumento delle temperature di due gradi Celsius potrebbe provocare lo scioglimento delle calotte glaciali in cima alla Groenlandia e all’Antartico occidentale, producendo masse di acqua ghiacciata capaci di sollevare gli oceani di 13 metri: oltre un punto di non ritorno.

La foresta amazzonica potrebbe trasformarsi in savana e in un futuro più immediato, alcune regioni – Brasile orientale, Sud-est asiatico, Mediterraneo, Cina centrale – e le coste quasi ovunque potrebbero essere colpite da più calamità climatiche contemporaneamente: siccità, ondate di calore, cicloni, incendi, inondazioni.

Occorrono cambiamenti radicali

La quarta indicazione del Rapporto è che, nonostante tutto, si può fare molto per evitare gli scenari peggiori e prepararsi a conseguenze ormai irreversibili.

La conservazione e il ripristino dei cosiddetti ecosistemi del carbonio blu – come ad esempio foreste di alghe kelp e mangrovie – migliorano gli stock di carbonio e proteggono dalle mareggiate, oltre a fornire habitat naturali, rafforzare le economie costiere e garantire la sicurezza alimentare.

Il passaggio a diete più vegetariane potrebbe anche ridurre le emissioni legate al cibo fino al 70% entro il 2050.

Ma passare semplicemente da un’auto a benzina ad una elettrica o piantare miliardi di alberi per compensare i tradizionali sistemi di produzione non sarà decisivo.

“Servono cambiamenti radicali che incidano su processi e comportamenti a tutti i livelli: individuo, comunità, imprese, istituzioni e governi. Dobbiamo ridefinire il nostro modo di vivere e di consumare”.

(AFP)

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