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Musica e poesia: una fune verso l’Eternità

Musica e poesia: una fune verso l’Eternità

K metro 0 – Roma – E’ ben noto che molti amano realizzare componimenti in versi, ma che pochi riescono ad emergere come veri poeti, cioè persone in grado di comunicare univocamente agli altri – senza fraudolenti ermetismi – ciò che sentono, tramite un’espressione armonica percepibile come tale da tutti. Il poetare è, innanzi tutto,

K metro 0 – Roma – E’ ben noto che molti amano realizzare componimenti in versi, ma che pochi riescono ad emergere come veri poeti, cioè persone in grado di comunicare univocamente agli altri – senza fraudolenti ermetismi – ciò che sentono, tramite un’espressione armonica percepibile come tale da tutti.

Il poetare è, innanzi tutto, desiderio di scrutare nei recessi della propria anima, per farne emergere sentimenti universali come l’amore, la gioia, il dolore, la contemplazione, l’estasi, la serenità, l’ascesi spirituale …

Anche dalla disperazione può scaturire la poesia, ma nel momento stesso in cui l’interiore tormento si traduce in versi, essi leniscono l’anima e diventano strumenti di cosmica condivisione.

In un linguaggio ancor più universale si appalesa la musica, che trascende la parola e la pluralità degli idiomi, facendosi strumento di dialogo fra le genti di ogni dove e di ogni tempo, prendendo le mosse da stati d’animo ed a sua volta suscitandone, nella prospettiva di affratellare l’umanità e di elevarne lo spirito, senza indulgere verso sonorità “trasgressive”di consolidate armonie, per puro conformismo modaiolo.

S. Agostino esaltò la musica nel suo trattato omonimo, come strumento privilegiato per potere intuire la perfezione del Creatore.

Dante, di cui quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della nascita, colse nel canto delle anime elette, la forma esteriore delle celesti beatitudini proprie dell’appartenenza al Paradiso.

Risulta sempre attuale l’esortazione che Verdi era solito rivolgere ai compositori esordienti, invitandoli ad essere liberi se volevano affermarsi come veri artisti, senza preoccuparsi di scrivere secondo le tendenze del momento.

Le opere di questi giovani– osservava il Maestro- sono frutto della paura. Nessuno scrive con abbandono, e quando questi giovani si mettono a scrivere, il pensiero che li predomina si è di non urtare il pubblico e di entrare nelle buone grazie dei critici”.

L’antico legame tra musica e poesia, già presente nel mondo classico, si manifestò con maggiore intensità a partire dal Medioevo, con il fiorire di ballate, canzoni, sonetti, madrigali ….

Nella Firenze medicea la lirica popolare si innalzò a dignità artistica e con essa anche la musica, grazie a valenti compositori italiani e stranieri.

Nel Rinascimento, a seguito dell’affermazione dell’opera come rappresentazione musicale prevalentemente rivolta al certo aristocratico, si ebbe a Venezia una significativa innovazione, con l’accesso del popolo ai teatri.

Napoli si rivelò il centro principale dell’opera nel Settecento, generando una scuola di musicisti di respiro europeo come- per citarne alcuni- Alessandro Scarlatti, Giambattista Pergolesi, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa, Niccolò Piccinni..

L’Ottocento fu l’età aurea della musica classica, giunta al massimo della sua maturità espressiva con autori del livello di Verdi, Rossini, Bellini, Donizetti, Wagner, Beethoven, Schubert, Schumann, Mendelssohn, Paganini, Liszt, Chopin, Berlioz, Čajkovskij…

Il valore letterario dei libretti e delle trame che accompagnavano le note, andò tuttavia scemando con la conseguente divaricazione tra musica e poesia, che si fece più accentuata nel Novecento.

Oggi appare vieppiù necessario promuovere nei giovani l’amore per la musica e per la poesia, in quanto possono concorrere ad elevare l’animo umano verso le cose quae sunt spiritus, educandolo in tal modo alla ricerca di quell’equilibrio e di quella pace interiore che costituiscono la premessa indispensabile, a livello relazionale, per una solida e duratura pace tra le Nazioni.

In questo terzo millennio, altamente tecnologizzato, sempre più proteso a nuovi obiettivi di un progresso scientifico non sempre ancorato all’etica, si assiste alla vuota ed affannosa corsa verso inappaganti chimere di felicità, nel mentre torna ad avvertirsi una struggente nostalgia di un passato più attento ai valori dello spirito, il qual ultimo ci contraddistingue da tutti gli altri esseri viventi.

Si percepisce forte ed imperioso il desiderio del recupero di una perduta serenità interiore, scevra da affanni modaioli, come la prevalenza dell’apparire sull’essere, dell’avere sul dare, mentre è soltanto la condivisione solidale che può riscaldare ed appagare le menti ed i cuori- contro la povertà dell’egoismo utilitaristico- rivelando una sana e non sopita coscienza morale, che rivendica imperiosamente le sue ragioni.

Se il provvido tormento delle nostre anime non resterà sterilmente chiuso nel rimpianto del passato, ma ci condurrà sitibondi ad abbeverarci alle perenni fonti del Bello, del Vero e del Buono, ci ritroveremo più forti ed interiormente appagati nel trasmettere alle future generazioni un patrimonio incommensurabile di valori morali e civili, attraverso i quali si perpetuerà il nostro ricordo sub specie aeternitatis.

Avremo così lanciato “una fune verso l’infinito”, affidando a chi verrà dopo di noi un patrimonio morale che trascenderà la finitezza che il tempo ha assegnato ai nostri corpi mortali.

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