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Srebrenica, il genocidio, una ferita ancora aperta

Srebrenica, il genocidio, una ferita ancora aperta

K metro 0 – Sarajevo – La Commissione europea ricorderà oggi, con una video conferenza, il 25° anniversario del genocidio di Srebrenica, le cui celebrazioni avverranno ufficialmente l’11 luglio. L’istituzione Ue ha affermato che “le voci della società civile e dei giovani si rifletteranno con testimoni e sopravvissuti su una delle pagine più buie della

K metro 0 – Sarajevo – La Commissione europea ricorderà oggi, con una video conferenza, il 25° anniversario del genocidio di Srebrenica, le cui celebrazioni avverranno ufficialmente l’11 luglio. L’istituzione Ue ha affermato che “le voci della società civile e dei giovani si rifletteranno con testimoni e sopravvissuti su una delle pagine più buie della storia europea moderna […] discuteranno dei modi per costruire un futuro di verità e giustizia per le generazioni attuali e future”.

Il 6 luglio del 1995, nello scenario della guerra nella ex Jugoslavia, prendeva avvio un’orrenda operazione militare che si sarebbe conclusa con l’ultimo massacro della storia europea, la strage di Srebrenica e di alcune zone limitrofe; territori situati nel lembo orientale della Bosnia Erzegovina, che al tempo erano stati dichiarati dall’ONU come zona protetta, sotto tutela di un contingente olandese dell’UNPROFOR (Forza di Protezione delle Nazioni Unite).

La carneficina fu attuata da gruppi armati dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sotto la guida del Criminale Ratko Mladić e con il supporto di gruppi paramilitare: oltre 8000 vittime – rappresentate quasi del tutto da poveri civili – ignobilmente identificate dagli autori del massacro come “potenziali combattenti”; fosse comuni, come a far riemergere agghiaccianti flash back del secondo conflitto mondiale e della Shoah. Ma si trattava degli anni Novanta e, a Srebrenica, la comunità internazionale rimase impassibile ad osservare: ONU e NATO non intervennero.

Furono le truppe accompagnate dal generale Ratko Mladic e dal colonnello Ljubisa Beara, quelle che nel luglio del 1995, guidarono le operazioni finali di quella riorganizzazione etnica – allora definita in modo pragmatico e cinico come “pulizia” – che doveva delineare il nuovo ordine dell’area balcanica, sulle ceneri dell’allora multietnica Jugoslavia socialista. Si trattò di uno sterminio pianificato, nei minimi dettagli, dalla classe politica dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina.

Da parte serba, l’obiettivo era quello di svincolare una parte della Bosnia dalla popolazione di religione musulmana, con cui aveva coabitato fino a quel momento, mostrando così alla comunità internazionale un territorio “etnicamente omogeneo”.

Due furono allora e sono tutt’oggi gli istituti giudiziari ad indagare sugli atroci crimini commessi: la Corte internazionale di giustizia e il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia (ICTY). Quest’ultimo ha il compito di accertare responsabilità di singoli individui, mentre la Corte Internazionale dell’Aia dirime eventuali controversie fra Stati membri dell’ONU che ne hanno riconosciuto la giurisdizione.

Entrambi gli istituti giudiziari giunsero alle medesime conclusioni: il massacro di Srebrenica e Zepa, essendo stati compiuti con lo specifico intento di distruggere il gruppo etnico musulmano dei bosgnacchi, costituisce un “genocidio”. Ma le diverse sentenze che si sono susseguite negli anni – a partire dal 2007 – convergono sul fatto che la Serbia non fu responsabile in toto del genocidio, in quanto “non vi sono prove di un ordine inviato esplicitamente da Belgrado”, né tantomeno connivenza e “intenzione di commettere atto di genocidio che fosse stato portato all’attenzione delle autorità di Belgrado”. Tutto ciò nonostante la Corte Internazionale dell’Aia – principale organo giudiziario delle Nazioni Unite – riconobbe che Radovan Karadžić – Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dal 1992 al 1996 – e il generale Ratko Mladić dipendessero direttamente da Belgrado, la quale garantiva assistenza finanziaria e militare.

La Corte rilevava inoltre – in una delle sue sentenze sui crimini compiuti – che “vi era un serio rischio di massacro”, ma che la Serbia non fece nulla per rispettare i suoi obblighi di prevenire e punire il genocidio, mancando altresì di completa cooperazione con il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. In particolare – e ciò rappresenta ad oggi l’aspetto più grave e oscuro dell’ancora aperta ferita – la Serbia è accusata di non aver supportato il Tribunale per l’ex Jugoslavia (ICTY) ad arrestare quanti sono tutt’ora ritenuti colpevoli del fatto, e di ospitarne anzi alcuni in stato di latitanza.

Finora, il Tribunale dell’Aia e i Tribunali dei Balcani hanno condannato un totale di 47 persone a più di 700 anni di prigione, oltre a quattro ergastoli, per crimini di Srebrenica. Tuttavia, nonostante la questione sia ancora aperta, nessun nuovo verdetto sulla strage Srebrenica e Zepa è stato emesso dal Tribunale statale bosniaco dall’ultimo anniversario del luglio 2019.

Per celebrare i 25 anni dai massacri degli oltre 8000 bosniaci di Srebrenica da parte delle forze serbe bosniache, era stata pianificata una versione più imponente della consueta marcia annuale della pace – che si ripete ormai da molti anni – e un plateale evento funebre in concomitanza dell’11 luglio. Il tutto è stato naturalmente ridimensionato a causa del recente aumento delle infezioni da coronavirus in Bosnia e Erzegovina.

“Avevamo programmato di avere almeno 10.000 partecipanti alla marcia della pace e 100.000 persone che partecipavano al funerale”, ha dichiarato all’organizzazione BIRN Munir Habibovic, presidente del sottocomitato della marcia della pace del 2020. Si terranno tuttavia i funerali simbolici di otto vittime di Srebrenica che sono state identificate nell’ultimo anno, ha dichiarato Habibovic l’Istituto bosniaco delle vittime scomparse.

A gennaio 2020 erano inoltre stati invitati molti capi di stato e ai primi ministri: trattasi di tutti i paesi che riconoscono ad oggi i massacri di Srebrenica come genocidio, in linea con le sentenze dei tribunali internazionali, ma non è chiaro quanti presenzieranno fisicamente alle cerimonie ristrette. Alcuni potrebbero – con molta probabilità – far sentire la loro vicinanza con un videomessaggio.

Ad oggi, quella di Srebrenica resta una dolorosa e ancora sanguinante ferita aperta, e la ricerca dei colpevoli non si è mai del tutto completata: un nuovo processo è stato avviato presso il tribunale statale bosniaco, nel caso contro Milomir Savcic, il capo dell’organizzazione che rappresenta i veterani militari serbo-bosniaci, accusato di aver contribuito alla commissione del genocidio nel luglio 1995. Savcic non ha comunque dichiarato la sua colpevolezza.

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Daniele Sireus
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