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Londra. Per uscire dall’impasse sulla Brexit,la May fa “acrobazie costituzionali”, non escludendo un altro referendum 

Londra. Per uscire dall’impasse sulla Brexit,la May fa “acrobazie costituzionali”, non escludendo un altro referendum 

K metro 0 – Londra – Il tabù è caduto. Pur di uscire dall’impasse di una Brexit sempre più complicata da attuare, Theresa May non ha esitato a proporre lei stessa al Parlamento britannico ciò che molti – tra i laburisti e gli stessi tories, nei partiti minori europeisti e, soprattutto, nella società civile –

K metro 0 – Londra – Il tabù è caduto. Pur di uscire dall’impasse di una Brexit sempre più complicata da attuare, Theresa May non ha esitato a proporre lei stessa al Parlamento britannico ciò che molti – tra i laburisti e gli stessi tories, nei partiti minori europeisti e, soprattutto, nella società civile – chiedevano: cioè un secondo referendum popolare sull’ uscita dalla UE, per vagliare la consistenza dei ripensamenti intervenuti nei cittadini del Regno dal 2016 ad oggi. Ma l’ipotesi di questo nuovo referendum è subordinata a condizioni poste dalla stessa May.

La Premier, infatti, ha presentato alle Camere un altro disegno di legge sulla Brexit, esattamente una “Legge attuativa” che, in sostanza, è una versione corretta dell’accordo che il Parlamento, da gennaio in poi, aveva già respinto 3 volte. Per avere l’ok delle Camere all’ accordo con Bruxelles sull‘uscita, sono 10 le modifiche apportate al testo, dando più voce in capitolo ai deputati. Gli obbiettivi negoziali, e i possibili trattati futuri regolanti i rapporti con l’UE dovranno essere tutti approvati dai parlamentari, prevede il disegno di legge, uniformandosi a un principio tipico, da più di un secolo, di quasi tutti i sistemi di governo costituzionale: e sarà sempre il Parlamento a votare un compromesso su una possibile Unione doganale con la UE dopo la Brexit.

Andando incontro alle richieste formulate dall’ opposizione laburista – che è per la Brexit ma non vuole tagliare del tutto i ponti con Bruxelles – la Gran Bretagna, ha promesso la May, cercherà di mantenere rapporti commerciali più stretti possibile con la UE (la Premier ha ben presenti i danni gravi, con la messa in rischio di 25.000 posti di lavoro, che l’industria inglese dell’ acciaio, prodotto peraltro da anni in crisi un po’ in tutto il mondo,  sta già subendo con la prospettiva della Brexit); pur restando fuori dal mercato comune e interrompendo la libera circolazione delle persone. Continuerà quindi ad osservare le regole UE sui prodotti agricoli e alimentari, per facilitare gli scambi ed evitare blocchi alle frontiere. Con un ulteriore concessione ai laburisti, la legge assicurerà che, in tema di diritti dei lavoratori e protezione dell’ambiente, le forme di tutela saranno quantomeno equivalenti a quelle della UE. E anche sulla tormentata questione del confine tra le due Irlande, il Governo promette il massimo impegno per giungere, entro dicembre 2020, ad “accordi alternativi” che evitino il ripristino di un confine “hard” tra Ulster ed Eire e il ritorno della tensione.

Ma il possibile secondo referendum nazionale sulla Brexit, che ruolo avrebbe in tutto questo? È qui che si delinea ciò che. – almeno a quanto è dato sapere sinora – sembra essere veramente un pasticcio giuridico-costituzionale. Mentre infatti la Premier May, da un lato, ha avvertito i deputati che una quarta bocciatura dell’ accordo sulla Brexit, nella votazione decisiva dei primi di giugno, rappresenterebbe la fine di ogni speranza di una “soft Brexit”, dall’altra ha annunciato l’inserimento, nella “legge attuativa” , di una clausola che, nonostante il governo rimanga contrario a una revisione del voto del 2016 sull’uscita dall’Ue, prevede la possibilità, per la Camera dei Comuni, di votare per un nuovo referendum.

Quindi – ha aggiunto la Premier con un’”acrobazia costituzionale” quantomeno singolare – per tutti i membri del Parlamento che vogliono un secondo referendum: dovete votare un nuovo accordo per avere un nuovo referendum”. Molti, a Westminster e nell’opinione pubblica, hanno letto questo passaggio come un tentativo della Premier di forzare i deputati ad accettare il testo dell’accordo per la Brexit in cambio del “contentino” sulla possibilità di un nuovo referendum.

La Premier ha esortato i parlamentari a “leggere attentamente”, senza prevenzioni, il nuovo disegno di legge. Ma l’accoglienza di Westminster al nuovo piano sinora è stata abbastanza freddina: in particolare, per il leader laburista Jeremy Corbyn le offerte della May sulla Brexit sono «una rimasticatura di quanto già discusso”. Contrario è anche Ian Backford, importante parlamentare del Partito nazionale scozzese (notoriamente contrario alla Brexit): che, come riferisce l’AP, ha definito la nuova proposta della May “troppo piccola, e troppo in ritardo, da parte di un Premier che sinora ha guidato la via della Brexit”. Ma i contrari al nuovo piano governativo – perché accaniti “Brexiteers” o, invece, fautori di un’uscita morbida, o semplicemente perché perplessi sulle acrobazie tentate dall’esecutivo – abbondano anche tra le file dei tories: dove non è un mistero che diversi pensino addirittura a una crisi di governo, per sostituire la May col più “morbido” Boris Johnson.

Sostanzialmente per un altro referendum, da indire però senza artifizi, sono i gruppi centristi e i liberaldemocratici già guidati dal carismatico Nick Clegg. Mentre decisamente ostili alla Brexit restano i membri del nuovo gruppo, nato l’inverno scorso per iniziativa di vari transfughi sia dai Tories che dai laburisti, “Change UK”.

I sostenitori del Brexit Party, il nuovo partito creato dal “Padre” (non il solo) della Brexit” Nigel Farage, aspettano ansiosamente le elezioni europee del 23- 26 maggio: viste, soprattutto, proprio come un “referendum sostanziale” sull’ uscita dalla UE. Parlando a un migliaio di sostenitori, riuniti per un rally a Frimley Green, villaggio a 30 miglia a sudovest di Londra, il contestato Farage, ha detto chiaramente che “Milioni di persone si stanno ponendo una domanda: che tipo di Paese siamo, se voltiamo le spalle a un risultato democratico referendario già avuto tre anni fa?”.

Dopo il discorso del Primo ministro, comunque, la sterlina è schizzata a 1,2816 dollari, in forte rialzo dai 1,2724 del 20 maggio. Il cambio sterlina/dollaro ha poi frenato a 1,2755, mantenendosi in forte rialzo dopo una serie record di sedute negative che proseguivano da inizio maggio.

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