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Germania e Inghilterra, con scelte diverse, verso il completo superamento delle fonti di energia inquinanti

Germania e Inghilterra, con scelte diverse, verso il completo superamento delle fonti di energia inquinanti

K metro 0 – Berlino – La Commissione tedesca per il carbone, organismo governativo che si occupa delle principali scelte di politica energetica nazionale, ha chiuso il suo ultimo rapporto – molto atteso dall’opinione pubblica tedesca e dalle autorità dell’Unione Europea – raccomandando un’uscita del Paese da carbone e lignite entro il 2035, massimo il

K metro 0 – Berlino – La Commissione tedesca per il carbone, organismo governativo che si occupa delle principali scelte di politica energetica nazionale, ha chiuso il suo ultimo rapporto – molto atteso dall’opinione pubblica tedesca e dalle autorità dell’Unione Europea – raccomandando un’uscita del Paese da carbone e lignite entro il 2035, massimo il 2038. È molto probabile che il governo Merkel – che pochi anni fa decise l’uscita completa della Germania dal nucleare – segua le indicazioni di questo rapporto.

La politica energetica tedesca, infatti (come del resto, per altri Paesi dell’Europa centrosettentrionale), è ancora fortemente dominata dal carbone, che continua a fornire un terzo dell’energia elettrica necessaria. Per fronteggiare i pesanti oneri della riconversione, Lusazia, Renania del Nord- Westfalia, Brandeburgo, Sassonia, Sassonia- Anhalt e le altre aree dove si scava ancora riceveranno fondi per 80 milioni di euro nei prossimi 20 anni. Presentando ufficialmente il rapporto insieme alla docente universitaria Barbara Praetorius, anche lei nel Direttivo della Commissione, l’ex ministro cristianodemocratico Ronald Pofalla, a capo dell’organismo, ha parlato di un “risultato storico”.

I pareri di ambientalisti, istituti di ricerca e industrie “rinnovabili”

Le associazioni ambientaliste, però, non sono soddisfatte del lavoro della Commissione, ricordando che l’impegno non tiene conto delle più recenti raccomandazioni dell’IPPC (il gruppo intergovernativo internazionale di esperti sui cambiamenti climatici): che invita i Paesi più industrializzati a tagliare il consumo di carbone entro il 2030, per limitare ad 1,5 gradi il surriscaldamento del pianeta, col conseguente “effetto serra”.

“La Germania ha finalmente deciso di accelerare e unirsi alla maggior parte degli Stati europei, fissando una data di uscita dal carbone, assicurando supporto ai lavoratori, e merita un plauso per questo”, ha commentato a sua volta Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International. “Ma l’aver fissato questo passo al 2038 non permetterà alla stessa Germania o ad altri Stati di mettersi al riparo dai pericolosi impatti dei cambiamenti climatici, né di rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015”. Accordo che, in sintesi, fissa, per i 195 Stati, membri dell’ONU, che l’hanno firmato entro novembre 2018, l’impegno a mantenere l’aumento medio della temperatura terrestre, per il 2020, ad 1,5 gradi massimo, a “de carbonizzare” l’economia mondiale, col massimo sviluppo delle energie rinnovabili, e a riferire costantemente all’opinione pubblica i progressi compiuti.

Per un Paese che pochi anni fa, e come l’Italia nel 1987- ’88, ha deciso una completa fuoriuscita dal nucleare, archiviando definitivamente anche le prospettive di sviluppi del nucleare pulito, a fusione, e dopo un dibattito non troppo approfondito e sull’onda più dell’emotività che del ragionamento, la strada da percorrere è lunga e non facile. Però, proprio nel 2018 le fonti energetiche rinnovabili hanno contribuito, con una percentuale di poco superiore al 40%, al fabbisogno elettrico tedesco più della lignite (il “parente povero”, e un po’ meno inquinante, del carbone). Dato – ricorda l’
Istituto tedesco di statistica Zsw – particolarmente significativo considerando sia che si tratta della percentuale più alta registrata sinora in un Paese industrializzato, sia che meno di 10 anni fa, nel 2010, la stessa percentuale era appena il 19,1%. Questo risultato, inoltre, è stato raggiunto in un anno segnato, in tutta Europa, dalla forte siccità estiva, che ha ridotto del 16% la produzione di energia idroelettrica.

“Nel 2018 abbiamo fatto segnare un record”, ha dichiarato il presidente dell’Associazione tedesca delle industrie rinnovabili, Stefan Kapferer: “ma l’attuale ritmo di costruzione di nuovi impianti non sarà sufficiente per raggiungere la quota del 65% attesa per il 2030”. Intanto, comunque, per l’anno in corso, Bruno Burger, importante ricercatore dell’altro Istituto di ricerche “Fraunhofer”, si è detto convinto che quantomeno la quota di energia elettrica ottenuta dalle fonti pulite non scenderà sotto il 40%, grazie anche all’entrata in funzione di nuovi impianti.

L’ esempio del Regno Unito: energie rinnovabili e nucleare al posto di quelle fossili

Un esempio significativo per la Germania potrebbe venire dal Regno Unito: che sta marciando a passi da gigante verso il traguardo delle energie a zero emissioni di CO2. Nel terzo trimestre del 2018, la capacità complessiva di eolico, solare, biomasse e idro ha superato per la prima volta quella delle energie fossili; le rinnovabili hanno raggiunto i 41,9 gigawatt di capacità energetica, contro i 41,2 degli impianti a carbone, gas e olio combustibile (dati diffusi ultimamente dall’Imperial College di Londra).

Non va dimenticato, però, che la Gran Bretagna – pur essendo l’unico Paese europeo che vorrebbe autorizzare ricerche per scoprire giacimenti di Shale gas nel suo sottosuolo – per chiudere, in futuro, gli impianti responsabili delle emissioni di CO2 punta fortemente non solo sulle energie rinnovabili, ma anche sul nucleare. Le energie pulite oggi coprono il 28% del totale dell’energia realmente prodotta, mentre le fonti tradizionali ancora il 43 per cento: rinnovabili e nucleari insieme, allora, assicurano ormai la maggioranza dell’energia, pari al 57%.

E in Germania chiude, nella storica Ruhr, l’ultima miniera di carbone

Intanto, sempre in Germania, alla presenza del Presidente della repubblica, Frank Walter Steinmeier, è stata ufficialmente chiusa la miniera di carbone di Priosper- Haniel, nella Ruhr (dove lavoravano ancora 3.000 minatori). Al Capo dello Stato, visibilmente commosso, un minatore ha porto l’ultimo pezzo di carbone estratto. “Finisce un’epoca”, ha commentato il Presidente uscente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, venuto da Bruxelles ad onorare i “Kumpel”, i compagni delle miniere, nel loro ultimo viaggio. Alla platea commossa, Steinmeier ha ricordato che il giorno della chiusura è stato “anche un giorno di lutto”. A causa dell’incertezza sul futuro che attanaglia la Ruhr sin dalla fine degli anni ’50: quando, lasciati ormai alle spalle gli anni delle 2 guerre mondiali (delle quali il controllo della Ruhr era stato uno dei fattori scatenanti), e della successiva immigrazione di massa di operai italiani, turchi e greci, con l’Europa della CECA, ormai autorità sovranazionale di controllo su carbone e acciaio, iniziò una lunga e faticosa riconversione economica dell’intera regione.

“Spero – ha concluso Steinmeier rivolgendosi alle famiglie dei minatori – che non ogni giorno sia un giorno di lutto per voi, spero manteniate il vostro senso di comunità e di solidarietà. E spero resti il vostro coraggioso sguardo in avanti”.

 

di Fabrizio Federici

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