K metro 0 – Roma – “Persone senza dimora. Le sfide di un sistema integrato”, è il dossier presentato dalla Caritas di Roma che attraverso una riflessione, una serie di analisi e delle proposte concrete, rimette al centro del dibattito il tema delle persone in povertà estrema, con riferimenti alla letteratura internazionale, l’approfondimento delle specificità
K metro 0 – Roma – “Persone senza dimora. Le sfide di un sistema integrato”, è il dossier presentato dalla Caritas di Roma che attraverso una riflessione, una serie di analisi e delle proposte concrete, rimette al centro del dibattito il tema delle persone in povertà estrema, con riferimenti alla letteratura internazionale, l’approfondimento delle specificità del contesto italiano e uno sguardo privilegiato sulla situazione romana. La pubblicazione viene presentata a trent’anni dalla nota ricerca “Essere barboni a Roma” promossa da don Luigi Di Liegro, storico direttore della Caritas capitolina, e realizzata dalla Fondazione Labos con la supervisione del professor Claudio Calvaruso. Un’opera nella quale i senza dimora venivano definiti “anoressici istituzionali” perché il rapporto con le istituzioni per loro era stato lacerante e non ne volevano più sapere di riprovare quel dolore.
Il lavoro realizzato dalla Caritas prende le mosse da alcune osservazioni di contesto e racconta la drammatica condizione delle persone senza dimora che si manifesta ancora oggi in molteplici forme di esclusione: l’impossibilità di far sentire la propria voce, di esprimere bisogni, desideri, aspettative e progetti per il futuro; il fenomeno delle violenze gratuite subite poiché considerate persone senza valore, scarti, vuoti a perdere; l’indifferenza generale che pare condannare i più esclusi all’invisibilità e al silenzio. A Roma, la condizione di sofferenza delle circa 14.000 persone in povertà estrema rappresenta un problema purtroppo in costante crescita, laddove l’assenza di una strategia di intervento che sappia affrontare il bisogno multidimensionale delle persone senza dimora non migliora il quadro di riferimento ma, al contrario, catalizza riduttivamente le risposte in azioni di emergenza durante alcune stagioni dell’anno, rischiando di produrre “oblio” attorno al fenomeno homelessness nei periodi considerati meno critici e di perpetuare – e con il tempo accentuare – problematiche, tensioni e conflitti nei territori, depotenziando anche alcuni fattori di coesione sociale. La criticità più evidente, emersa anche da questa analisi, è quindi non la mancanza di coordinamento funzionale tra le numerose risposte esistenti – comunque insufficienti – ma l’assenza di politiche che sappiano mettere al centro i differenti bisogni delle persone in povertà estrema, prevedendo, oltre interventi per i bisogni alloggiativi, anche azioni in ambito lavorativo, formativo, di riqualificazione professionale, di tutoraggio nella relazione con le istituzioni, di mediazione territoriale e di educativa di strada.
“Una proposta urgente perché riguarda persone che cercano di rimanere “in piedi”, al limite della dignità umana, in baracche, anfratti, sottopassaggi, sui marciapiedi, nelle piazze, nei parchi pubblici o che si trovano “bloccate” nelle strutture di accoglienza della città per la mancanza di risposte adeguate ai complessi percorsi di vita che le hanno condotte all’emarginazione. Una proposta operativa e di riflessione che riprende le fila del discorso per andare oltre, considerando la situazione attuale, il cambiamento del fenomeno delle povertà e della città tutta”, commenta don Benoni Ambarus, direttore della Caritas di Roma. La riflessione della Caritas romana invita, per questi motivi, a prendere coraggio per immaginare una visione di ampio respiro della persona senza dimora, suggerendo di guardarla nella sua globalità e multidimensionalità per costruire un disegno integrale e integrato di lungo periodo centrato sulla persona.
Questo tentativo di approfondimento umano, antropologico, culturale e finalmente politico, ha anche l’obiettivo di ricercare e riavviare il dialogo con Istituzioni, professionisti del settore, volontari, realtà associative, ecclesiali e civili, proprio a partire dalla proposta di una pianificazione sistemica di approccio al fenomeno delle persone senza dimora che possa indicare una strategia organica di interventi e misure, non ancora presente nel panorama nazionale e locale. Questa esigenza si confronta dialetticamente con un’altra criticità evidente, nello scenario attuale, e che trae origine dalla confusione tra poveri assoluti e poveri estremi, tra chi vive una condizione di “sopravvivenza” e chi addirittura si trascina a fatica al di sotto di “condizioni esistenziali inaccettabili e subumane”. Questa confusione si genera poiché nel grande bacino della povertà assoluta non vengono facilmente evidenziate le differenze tra chi è “solo” molto povero, la maggioranza, e chi invece si trova in fortissimo degrado. Le politiche attuali di contrasto alla povertà sono indirizzate indistintamente a tutti i poveri assoluti ma non si preoccupano di comprendere se misure e interventi previsti, siano accessibili anche da parte di chi vive una condizione di forte deprivazione materiale, relazionale e psicologica.
Tutto questo, dovrebbe stimolare non solo una redistribuzione più equa e mirata delle risorse economiche ma ancora di più suggerire un approccio olistico, con l’obiettivo di una comprensione finalmente piena non solo dei bisogni ma soprattutto di risorse e potenzialità di cui ogni persona senza dimora è portatrice. A questo proposito, per poter dare spazio a una rinnovata fiducia verso le risorse individuali delle persone senza dimora e al contempo tutelarne i diritti e garantire loro uno spazio dignitoso di ascolto e di accompagnamento, il tentativo ulteriore è stato quello di declinare il tema dei diritti sociali anche come partecipazione attiva della persona senza dimora. Un approccio che mette al centro la persona senza dimora – non più soggetti in de-grado ma persone in-grado di rappresentare un possibile cambiamento per sé stessi e per la società -, si dirama a cerchi concentrici verso tutta la città, mette insieme idee e prospettive, richiede il coinvolgimento attivo di ogni cittadino.
“La nostra città – sottolinea don Ambarus – deve essere in grado di intercettare da una parte le esigenze di chi sperimenta la deprivazione più dura e dall’altra di dissolvere le paure attraverso spazi di incontro, di condivisione quotidiana, di appartenenza, di comprensione nei confronti di un fenomeno complesso e mai riducibile a poche formule standardizzate. La conoscenza e l’incontro a partire dal riconoscimento di una comune umanità sono un argine alla “frantumazione” delle nostre vite, delle nostre comunità, della nostra città, del nostro sistema di servizi sociali. Una speranza per tutti”.
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