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Grecia: Crisi? Quale crisi parakalò?

Grecia: Crisi? Quale crisi parakalò?

K metro 0 – Atene – PIGS (Maiali): questo era il soprannome, poco lusinghiero, per i paesi colpiti dalla crisi nell’Euro-zona quasi dieci anni fa, indicando Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (Cipro si è unito al gruppo più tardi). Oggi, solo la Grecia rimane ancora nella parte oscura del tunnel che porterebbe alla normalità, e

K metro 0 – Atene – PIGS (Maiali): questo era il soprannome, poco lusinghiero, per i paesi colpiti dalla crisi nell’Euro-zona quasi dieci anni fa, indicando Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (Cipro si è unito al gruppo più tardi). Oggi, solo la Grecia rimane ancora nella parte oscura del tunnel che porterebbe alla normalità, e quindi ancora sotto un severo programma di austerità fortemente monitorato dai partner europei che hanno contribuito al suo salvataggio, alle loro condizioni. Indipendentemente dalla retorica, pochissime persone in Grecia (e probabilmente anche altrove) sono ottimiste, almeno per il prossimo futuro, a meno che non si verifichi una serie indeterminata di cambiamenti. Tale pessimismo, condivisibile, non è originato dell’inadeguatezza o meno del programma attuato, ma piuttosto della prevalente cultura politica, dove la responsabilità è sempre altrove, il nepotismo e la corruzione dominano la sfera pubblica, una società spende di più di quanto produce, l’imprenditorialità è “L’uomo nero” (“Boogieman”), e il lavoro dei sogni è un impiego pubblico, ben remunerato da ogni governo.

Sotto questo aspetto, la crisi è stata vista da molti come una benedizione sotto mentite spoglie, come un’opportunità per la società in generale per sbarazzarsi delle proprie insidie, introdurre le riforme tanto necessarie, discutere del proprio futuro e reinventare sé stessa, dopo un lungo e tormentato viaggio. I segnali iniziali erano promettenti: rabbia e condanna dell’élite politica e dei gruppi responsabili della peggiore crisi economica e finanziaria che la Grecia abbia vissuto dalla Seconda guerra mondiale, manifestazioni, proteste e la nostra versione locale degli Indignati (Indignados), quindi i segni di un vivace società civile. Ciò si è manifestato anche nella rivitalizzazione di molte iniziative e gruppi di sostegno e solidarietà, di natura filantropica, attivista, di auto-aiuto e di cooperazione, inclusa la Chiesa. I risultati delle elezioni si manifestarono per la prima volta (dopo una breve esperienza nei primi anni ’90, quale risultato di un peculiare sistema elettorale) la necessità di governi di coalizione e, gradualmente, l’ascesa alla ribalta di un radicale partito di sinistra, Syriza. Tuttavia, la terribile realtà era di natura diversa. I gruppi di base ed i possibili movimenti si dimostrarono di breve durata o deboli, in molti casi solo una copertura per i principali partiti politici, e quelli che sopravvissero dovettero scendere a compromessi, o spostare la loro attenzione al servizio dei bisogni e delle priorità sociali. Soprattutto il populismo prevalse, così come il radicalismo di entrambe le fazioni più estreme, espresso anche elettoralmente nella forma della neonata Alba Dorata neofascisti, che ha ottenuto e mantenuto (secondo i successivi sondaggi di opinione) un 7-8% degli elettori. Il referendum organizzato in modo irrazionale e frettoloso nel luglio 2015 ha messo in luce questa realtà, così come quella di un europeismo superficiale “à la carte”, in assenza di dialogo e dibattito politico.

D’altro canto, il programma di salvataggio economico attuato è stato introdotto in assenza di qualsiasi alternativa possibile da discutere, ed è stato imposto senza previa consultazione, e comunicazione al pubblico greco, alle forze produttive e politiche rilevanti. Perciò è stato gradualmente imposto con metodi duri e con brutalità, assicurandosi le imprecazioni della stragrande maggioranza, adottato infine (contrariamente all’agenda preelettorale) dalla coalizione populista della sinistra radicale, Syriza, e dal partner di estrema destra Anel. Il risultato è una graduale pesante super-tassazione, la diminuzione dei salari del settore pubblico e privato, ed una significativa difesa dei benefici e dei servizi sociali – quindi un ancora maggiore appesantimento del costo della vita, specialmente quello del ceto medio. Eppure, l’incapacità di introdurre le necessarie (e condivise) riforme, i risultati immediati (alta disoccupazione, improvvisazione e senso di alienazione e rabbia) sono stati sostenuti dall’assenza di potenziali futuri. In realtà, i guadagni che sono stati garantiti fino al 2015 erano spariti durante il primo periodo in carica, con la conseguente necessità di nuovi memorandum di salvataggio: quindi, una grande e continua fuga di cervelli e migrazione esterna. Indubbiamente i problemi e le dimensioni del debito sono immensi. Tuttavia, il problema principale è politico ed etico. Dopo dieci anni, il sistema politico continua ad essere stagnante, e l’ascesa di questi nuovi partiti politici non solo non è riuscita ad offrire idee nuove e innovative, (al contrario sembrano bloccati a metà del Ventesimo secolo), ma in realtà stanno riproducendo, con un velo populista, gli stessi comportamenti e approcci che hanno ridotto la Grecia in queste condizioni. Tuttavia, il più peggiore pericolo è il loro approccio esclusivista alla politica (“noi buoni contro voi cattivi”), che mette in pericolo tensioni e revanscismo, escludendo quindi funzionari competenti e di spicco da posizioni di responsabilità.

Il fattore cruciale è l’incapacità del sistema politico di unire la società in generale nel contesto di una visione comune del proprio futuro, scolpita come risultato di un discorso inclusivo e di un autentico dialogo tra attori sociali e politici. La debolezza della società greca è evidente in parte anche a causa del ruolo dominante dei partiti politici, e quindi risulta incapace di offrire un processo alternativo dal basso che possa condurre all’elaborazione di una visione percorribile e di un nuovo contratto sociale.

C’è ancora speranza? Per quanto il panorama possa apparire cupo, esistono segnali di potenziale ottimismo: l’emergere di nuove forme di organizzazioni della società civile, compreso il proliferare di imprese sociali, di start-up, e di imprenditori legati alla realtà europea e mondiale e di un cambiamento di atteggiamento (e di mentalità) in lenta crescita in diversi settori  incluso il settore privato (prassi di responsabilità sociale di impresa oltre l’approccio commerciale) e in particolare il disincanto dei giovani verso il settore pubblico come opzione di lavoro, quindi meno inclini al clientelismo ed orientati verso scelte più produttive ed innovative – purché non fuggano via dalla loro madre terra! Infine, curiosamente, va rilevata una maggiore consapevolezza della prospettiva europea come ambiente naturale, che sebbene sia sotto pressione, o magari proprio per questo, offre approcci meno complessi, più cooperativi ed innovativi, ed un coinvolgimento più attivo.

Dr. Stefanos Vallianatos

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