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Stop animal testing. L’appello contro le sperimentazioni entro il 2023

Stop animal testing. L’appello contro le sperimentazioni entro il 2023

K metro 0 – Bruxelles – Nell’Unione Europea il divieto di produzione e vendita di cosmetici testati sugli animali è stato discusso per la prima volta nel 1993 ed entrato in vigore nel 2013, ma nell’80% dei paesi del mondo sono ancora consentite; è per questo che gli eurodeputati hanno lanciato un appello globale, si

K metro 0 – Bruxelles – Nell’Unione Europea il divieto di produzione e vendita di cosmetici testati sugli animali è stato discusso per la prima volta nel 1993 ed entrato in vigore nel 2013, ma nell’80% dei paesi del mondo sono ancora consentite; è per questo che gli eurodeputati hanno lanciato un appello globale, si informa in una nota del 3 maggio 2018, chiedendo ai leader dell’Ue di utilizzare ogni mezzo diplomatico per avviare una convenzione internazionale all’interno del quadro delle Nazioni Unite. E se si teme che tali restrizioni possano danneggiare il settore, assicurano: l’industria cosmetica in Europa è in crescita e dà lavoro a circa 2 milioni di persone. La decisione non vincolante è stata approvata con 620 voti favorevoli, 14 contrari e 18 astenuti.

Un risoluto invito alla “sensibilizzazione” reso necessario, affermano, dalla mancanza di dati affidabili sui prodotti importati e da diverse lacune legislative che non impediscono il commercio di alcuni cosmetici testati sugli animali fuori dall’Ue prima di essere sottoposti a nuove valutazioni. Precursore il Regno Unito, dove i test per “prodotti di vanità” (vanity products) sono aboliti dal 1998, nel resto del mondo la normativa che regola la sperimentazione animale si esprime in diversi modi. Secondo quanto riportato dall’UAR (Understanding Animal Research), ad esempio, negli Stati Uniti i test sugli animali non sono vietati, ma dal 1997 è stato costituito un comitato di coordinamento sulla convalida di metodi alternativi (ICCVAM) e il settore è regolato dal Food, Drug & Cosmetics Act che impone al fabbricante di dimostrare la sicurezza del prodotto attraverso tutti gli studi clinici, compresi quelli animali. In Giappone un certo numero di prodotti che nell’Ue sono considerati cosmetici ricadono nella categoria dei farmaci (tinture per capelli e decoloranti, anitraspiranti, pomate antiacne, shampoo antiforfora ecc.) e come tali devono essere sottoposti a test tossicologici per i quali è prevista la sperimentazione animale in assenza di metodi alternativi. In Cina infine i cosmetici finiti richiedono una licenza igienica o un certificato di registrazione dal Dipartimento amministrativo sanitario del Consiglio di Stato che può essere ottenuto solo mediante la presentazione di dati sugli animali.

Il tema del benessere degli animali riscuote un grande interesse pubblico. Secondo l’indagine speciale “Eurobarometer” n. 442 del marzo 2016 (Attitudes of Europeans towards Animal Welfare), l’89% dei cittadini dell’Unione ritiene che l’Europa debba fare di più per promuovere una maggiore consapevolezza e standard elevati.

L’attuale quadro normativo al riguardo è fornito dal regolamento (CE) n. 1223 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 (regolamento sui cosmetici), oltre che dalla direttiva 2010/63/UE del 22 settembre 2010 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. Fanno eccezione i casi contenuti nel regolamento REACH relativo alla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche, laddove non sia possibile trovare alternative valide per la verifica di tutti gli effetti tossicologici: la Commissione, si legge in una nota dello European Parliamentary Service Blog rilasciata il 2 maggio 2018, promuove l’uso di alternative, tuttavia «non è attualmente in grado di vietare tutti gli esperimenti sugli animali garantendo prodotti sicuri». Gli obiettivi principali di quest’ampia gamma di legislazione sul tema sono migliorare il benessere degli animali utilizzati nelle procedure scientifiche, garantire condizioni di parità per l’industria e migliorare la qualità della ricerca per ridurre progressivamente il ricorso a questi test.

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