K metro 0 – Khartoum – Il quotidiano statunitense “Wall Street Journal” ha pubblicato un articolo a firma del presidente del Consiglio sovrano del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, nel quale il leader sudanese individua le radici della guerra in corso nel Paese e punta il dito contro la responsabilità delle milizie arabe Janjaweed – che
K metro 0 – Khartoum – Il quotidiano statunitense “Wall Street Journal” ha pubblicato un articolo a firma del presidente del Consiglio sovrano del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, nel quale il leader sudanese individua le radici della guerra in corso nel Paese e punta il dito contro la responsabilità delle milizie arabe Janjaweed – che compongono in buona parte le attuali Forze di supporto rapido (Rsf) – nell’averla innescata e intensificata.
Nel suo articolo Al Burhan scrive che la guerra è scoppiata, nell’aprile 2023, quando le Rsf si sono ribellate all’esercito attaccando lo Stato di Khartum, e sottolinea che quello in atto “non è un conflitto tra un’autorità militare e una forza che cerca la democrazia, ma piuttosto uno scontro imposto da una milizia armata al di fuori della legge e sostenuta da parti esterne” (con chiaro riferimento agli Emirati Arabi Uniti). Al Burhan accusa inoltre le Rsf di aver commesso abusi diffusi contro i civili e di aver fatto ricorso sistematicamente alla violenza nelle città, diventando una minaccia diretta all’unità e alla stabilità del Paese. Secondo il capo delle Forze armate sudanesi (Saf), consentire la permanenza di una “milizia parallela” all’esercito comprometterebbe qualsiasi autentica transizione civile, e qualsiasi soluzione politica deve pertanto basarsi sullo scioglimento delle Rsf, sul loro disarmo e sul reinserimento di coloro che possono esserlo secondo standard professionali. Questo, sostiene Al Burhan, sarebbe l’unica via “verso uno Stato stabile e un solido percorso democratico che garantisca lo stato di diritto e preservi l’unità del Sudan”.
Nel suo articolo Al Burhan ripercorre le origini del conflitto in Sudan e ai suoi tentativi, vani, di irregimentare le Rsf nelle Forze armate sudanesi. “Da tempo sapevo che le Rsf erano una polveriera. Le Rsf, precedentemente note come Janjaweed, sono emerse all’inizio degli anni 2000 come milizia ausiliaria in Darfur e si sono poi evolute in una potente forza con un comando indipendente. Al momento della transizione politica del 2019 (con la caduta del presidente di lungo corso Omar al Bashir) si erano trasformate in una formazione paramilitare irresponsabile, pesantemente armata e sempre più autonoma, che operava al di fuori della catena di comando dello Stato. Questa struttura, unita alle sue fonti di finanziamento indipendenti e ai suoi presunti abusi, rappresentava una minaccia diretta alla stabilità del Sudan e all’unità delle nostre istituzioni nazionali. Per questo motivo, nel dicembre 2022, il governo sudanese ha iniziato a perseguire un percorso per integrare responsabilmente le Rsf nell’esercito sudanese.
Il nostro obiettivo – afferma Al Burhan – era prevenire i conflitti, preservare la coesione nazionale e riunire tutte le formazioni armate sotto un unico comando legittimo. La nostra intenzione non è mai stata lo scontro, ma la riforma; mai l’escalation, ma l’unificazione ordinata delle forze che difendono il Sudan. Nell’aprile 2023 le Rsf si sono rivolte contro l’esercito nazionale a cui avevano promesso di unirsi: mobilitando segretamente le forze intorno a Khartum e in altre importanti città, conquistando posizioni strategiche e attaccando siti governativi e militari. Il tradimento ha fatto precipitare il Sudan nella guerra”, prosegue l’articolo, citato da Nova.
Al Burhan accusa quindi apertamente le forze guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti” di non agire da sole. “Noi e altri, inclusa l’amministrazione Trump, crediamo che la milizia goda di generosi aiuti materiali e di altro tipo da parte di sostenitori stranieri, i quali credono erroneamente che dare potere a un gruppo accusato dagli Stati Uniti di genocidio e pulizia etnica favorirà i propri interessi. Il popolo sudanese lo vede chiaramente. Comprende il costo di diventare un campo di battaglia per le ambizioni di qualcun altro. Quel campo di battaglia non rimarrà confinato ai nostri confini. La guerra minaccia la stabilità del Mar Rosso a est e il fragile Sahel a ovest, e rappresenta un pericolo diretto per gli interessi statunitensi. Le Rsf hanno reso inequivocabile la loro ostilità verso l’America. All’inizio della guerra, la ‘Nbc’ ha riportato un apparente attacco da parte di combattenti legati alle Rsf contro un convoglio diplomatico statunitense. Ancora nel settembre 2024, una guardia dell’ambasciata americana è morta sotto la custodia delle Rsf, secondo l’Ufficio per gli Affari africani degli Stati Uniti. Queste non sono le azioni di una forza che cerca la pace o rispetta le norme internazionali”, prosegue l’articolo.
Il leader del Consiglio sovrano ha quindi accolto con favore le “dichiarazioni positive” del presidente Usa, Donald Trump, in seguito ai suoi incontri con il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, definendole incoraggianti. “Accogliamo con favore i sinceri sforzi degli Stati Uniti e del Regno dell’Arabia Saudita per garantire una pace giusta ed equa in Sudan e apprezziamo la loro continua preoccupazione e il loro impegno per porre fine allo spargimento di sangue. Riaffermiamo la nostra disponibilità a collaborare seriamente con loro per raggiungere la pace che il popolo sudanese attende da tempo. Tuttavia, per qualsiasi soluzione che garantisca una pace duratura nella regione, la milizia Rsf e i suoi mercenari devono essere smantellati. Né loro né i loro collaboratori hanno alcun posto nella sicurezza o nel futuro politico del Sudan. L’unica finestra che potrebbe rimanere aperta ai membri delle Rsf è la possibilità di integrare elementi della milizia nell’esercito nazionale, ma rigorosamente secondo criteri professionali e solo per coloro che sono esenti da illeciti penali”, ha affermato Al Burhan, auspicando la prosecuzione della collaborazione con gli Usa per porre fine alla guerra. “Il consenso tra i sudanesi è che Trump sia un leader che parla direttamente e agisce con decisione. Molti credono che abbia la determinazione necessaria per affrontare gli attori stranieri che prolungano le nostre sofferenze”, ha proseguito il leader sudanese, ribadendo che il Sudan vuole essere un partner forte per gli Stati Uniti. “Vogliamo contribuire a proteggere la stabilità regionale, combattere il terrorismo e ricostruire le nostre città e i nostri paesi distrutti. Le aziende americane avranno un ruolo importante da svolgere nella ricostruzione, negli investimenti e nello sviluppo a lungo termine”, ha aggiunto, ricordando che il Sudan ha compiuto un passo storico nel 2021 aderendo agli Accordi di Abramo. “Crediamo che la pace e la cooperazione siano l’unica via per un Medio Oriente e un Corno d’Africa stabili. Questa visione ci guida ancora oggi”, ha concluso, confermando infine che le Forze armate sudanesi “rimangono impegnate nella transizione verso un governo civile”.













