K metro 0 – Bruxelles – Tempi duri per i “gatekeepers”, le grandi aziende tecnologiche che gestiscono servizi di piattaforma di base (motori di ricerca, social network, app store etc.) e detengono una posizione dominante nel mercato che può limitare la concorrenza e portare a pratiche commerciali sleali. Sono i custodi dell’accesso a un vasto
K metro 0 – Bruxelles – Tempi duri per i “gatekeepers”, le grandi aziende tecnologiche che gestiscono servizi di piattaforma di base (motori di ricerca, social network, app store etc.) e detengono una posizione dominante nel mercato che può limitare la concorrenza e portare a pratiche commerciali sleali.
Sono i custodi dell’accesso a un vasto pubblico e controllano le infrastrutture digitali agendo da intermediari o filtri. Come Google, nei cui confronti le autorità di regolamentazione dell’Unione Europea hanno avviato un’indagine per verificare se abbia violato gli obblighi imposti dal Digital Markets act (DMA) la nuova normativa dell’UE (entrata in vigore nel 2024),proprio per impedire che qualcuno abusi della propria posizione dominante in un dato servizio social o informatico.
“Siamo preoccupati che le politiche di Google non consentano agli editori di notizie di essere trattati in modo equo, ragionevole e non discriminatorio nei suoi risultati di ricerca”, ha dichiarato Teresa Ribera,vicepresidente esecutiva della Commissione.
Secondo le indicazioni ricevute dalla Commissione, Google sta declassando alcuni risultati di ricerca in base a quella che ritiene una rigorosa politica antispam. Allo scopo di proteggere gli utenti europei da “contenuti ingannevoli e di bassa qualità, truffe e tattiche losche” utilizzate per promuoverli in modo che compaiano nei risultati di ricerca.
“Indagheremo per garantire che gli editori di notizie non perdano entrate importanti in un momento difficile per il settore e per garantire che Google rispetti il Digital Markets Act”, ha aggiunto Ribera, riferendosi al vasto regolamento dell’Unione, progettato per impedire alle aziende tecnologiche di monopolizzare i mercati digitali.
La Commissione sottolinea che l’indagine non riguarda la copertura giornalistica o l’indicizzazione di articoli di cronaca, ma solo i contenuti commerciali prodotti in collaborazione con sponsor, pratica ormai consolidata nel mondo dell’editoria digitale.
In altre parole, la Commissione europea sospetta che Google abbia relegato ai margini – se non completamente nascosto – nei risultati di ricerca alcuni contenuti commerciali pubblicati da testate giornalistiche europee.
Negli ultimi anni molti quotidiani europei hanno sviluppato sezioni dedicate a offerte, recensioni o guide agli acquisti in collaborazione con aziende terze – un modello che replica le tradizionali partnership editoriali presenti da decenni sulla carta stampata.
Secondo Bruxelles, però, tali contenuti sarebbero stati “declassati” da Google a causa di una rigorosa politica anti-spam. L’UE chiederà dunque agli editori europei di inviare dati e prove su eventuali cali di traffico o ricavi.
Le segnalazioni raccolte da Bruxelles negli ultimi mesi mostrano che intere sezioni dei siti editoriali dedicate a partnership con sponsor o inserzionisti sarebbero diventate difficilmente rintracciabili dagli utenti. Una diminuzione di visibilità che, per gli editori, si tradurrebbe in un mancato afflusso di traffico e quindi di ricavi pubblicitari.
Pandu Nayak, responsabile scientifico di Google Search, ha obiettato che “l’indagine annunciata sui nostri sforzi anti-spam è del tutto fuorviante e rischia di danneggiare milioni di utenti europei”.
L’azienda starebbe cercando in effetti di impedire agli spammer di abusare dei risultati di ricerca acquistando contenuti a pagamento sul sito web di un editore per indurre i lettori a cliccare su contenuti di bassa qualità.
“Se permettessimo ai siti di utilizzare tattiche losche per migliorare il loro posizionamento, invece di investire nella creazione di contenuti di alta qualità – consentiremmo ai malintenzionati di sostituire i siti che non utilizzano queste tattiche spam” e ciò degraderebbe la ricerca per tutti.
La politica adottata da Google, tuttavia, danneggerebbe, secondo la Commissione europea, “un modo comune e legittimo per gli editori di monetizzare i propri siti web e contenuti” e potrebbe violare le regole del DMA che impongono ai gatekeeper digitali come Google di trattare le altre aziende in modo equo.
Bruxelles ha fatto passi avanti nonostante il rischio di incorrere nell’ira del presidente Donald Trump, che si è scagliato contro le normative digitali dell’Unione a 27 nazioni e ha promesso di reagire se le aziende tecnologiche americane saranno penalizzate.
L’indagine potrebbe comportare l’ultima multa multimiliardaria per il gigante digitale statunitense da parte della Commissione Europea. L’UE aveva già suscitato l’indignazione di Trump a settembre, quando ha multato Google per 2,95 miliardi di euro (3,5 miliardi di dollari) per aver violato le regole sulla concorrenza del blocco dei 27 paesi dell’Unione favorendo i propri servizi di pubblicità digitale.
È stata la quarta volta che Bruxelles ha sanzionato Google con una multa multimiliardaria in un caso antitrust, in una più ampia battaglia tra l’UE e le Big Tech che risale al 2017.
La nuova indagine dell’UE deve concludersi entro 12 mesi. Potrebbe multare Alphabet, la società madre di Google, per il 10% o più del fatturato globale annuo. La Commissione ha affermato che potrebbe persino smantellare e vendere parti della sua attività.













