SOS Artico: la geoingegneria non è un’alternativa alla riduzione delle emissioni

SOS Artico: la geoingegneria non è un’alternativa alla riduzione delle emissioni

K metro 0 – Londra – Anzi, è rischiosa e potrebbe causare “gravi danni ambientali”, avvertono gli scienziati, come riporta Mark Poynting, giornalista scientifico ed esperto di climatologia di BBC News. Non solo, ma i piani per combattere il cambiamento climatico che minaccia le calotte polari manipolando l’ambiente artico e antartico potrebbero distogliere l’attenzione dalla

K metro 0 – Londra – Anzi, è rischiosa e potrebbe causare “gravi danni ambientali”, avvertono gli scienziati, come riporta Mark Poynting, giornalista scientifico ed esperto di climatologia di BBC News.

Non solo, ma i piani per combattere il cambiamento climatico che minaccia le calotte polari manipolando l’ambiente artico e antartico potrebbero distogliere l’attenzione dalla necessità di abbandonare i combustibili fossili.

Queste tecniche di “geoingegneria” polare mirano a raffreddare il pianeta in modi non convenzionali, come l’ispessimento artificiale del ghiaccio marino o il rilascio di minuscole particelle riflettenti nell’atmosfera. E si dividono essenzialmente in due categorie: la rimozione dell’anidride carbonica nell’atmosfera e la riduzione delle temperature globali aumentando la riflessione della luce solare nello spazio. Con tecniche ancora  teoriche, quali iniezioni di aerosol ovvero il rilascio di particelle nella stratosfera per aumentare la riflettività della Terra o per aumentare la riflessione delle nubi marine creando uno strato di nuvole più luminoso. E ancora: riduzione del calore intrappolato dalle nubi alte assottigliando quelle cirriformi (composte principalmente da cristalli di ghiaccio). Creazione di specchi spaziali: dispositivi in orbita per deviare i raggi solari.

Tutte tecniche che hanno attirato l’attenzione come potenziali strumenti futuri per combattere il riscaldamento globale, oltre a ridurre le emissioni di carbonio.

Ma molti ricercatori sostengono che potrebbero causare “gravi danni ambientali” e hanno esortato i paesi a concentrarsi semplicemente sul raggiungimento dell’obiettivo “Net Zero” (emissioni zero) l’unico modo accertato per limitare il riscaldamento globale. Il che significa bilanciare la quantità di gas serra, che riscaldano il pianeta, prodotti dalle attività umane, con la quantità che viene attivamente rimossa dall’atmosfera.

Ma alcune tecniche di geoingegneria più radicali, come la riflessione della luce solare, “agiscono sui sintomi del cambiamento climatico piuttosto che sulle cause”, secondo Martin Siegert, professore di geoscienze all’Università di Exeter nella contea del Devon (nel sudovest dell’Inghilterra).

Per i sostenitori della geoingegneria vale la pena esplorare tecniche che potrebbero aiutare a contenere il rapido aumento delle temperature, che sta già avendo gravi ripercussioni sulle persone e sugli ecosistemi di tutto il mondo.

Per i critici, invece, i rischi sono semplicemente troppo grandi, in particolare per le fragili regioni polari, ancora molto sconosciute. Secondo uno studio degli scienziati che hanno esaminato le prove a supporto di cinque tecniche di geoingegneria polare più discusse, pubblicato sulla rivista “Frontiers in Science”, nessuna di queste soddisfa i criteri di base per la loro fattibilità e i potenziali rischi ambientali.  

E spesso hanno favorito il diffondersi online di teorie del complotto che affermano, falsamente,  che le scie di condensazione nel cielo – il vapore acqueo creato dai motori degli aerei – siano la prova di una sinistra geoingegneria su larga scala oggi in atto.

Molti scienziati nutrono tuttavia preoccupazioni più legittime: per lo sconvolgimento, ad esempio, dei modelli meteorologici in tutto il mondo.

E in previsione di questi potenziali effetti a catena, si solleva anche la questione di chi decide di utilizzare la geoingegneria soprattutto nell’Artico e in Antartide, dove la situazione è difficile da gestire. Poiché, se un paese dovesse applicare tecniche di geoingegneria contro la volontà degli altri, ciò potrebbe “aumentare le tensioni geopolitiche nelle regioni polari”, avverte un’autorevole scienziata come Valerie Masson-Delmotte   dell’Université Paris Saclay.

Un altro timore è che, sebbene alcune tecniche siano teoricamente applicabili, gli enormi costi e i tempi di attivazione su larga scala rendono estremamente improbabile che facciano la differenza.

BBC News ha esaminato recentemente un piano per pompare acqua di mare sulla superficie del ghiaccio marino artico in inverno per addensarlo, dando al ghiaccio maggiori possibilità di sopravvivere all’estate.

Ma si è stimato che per coprire il 10% dell’Artico potrebbero essere necessarie circa 10 milioni di pompe per l’acqua di mare!

Una preoccupazione fondamentale è che questo tipo di progetti potrebbe creare l’illusione di un’alternativa alla riduzione delle emissioni di gas serra da parte dell’umanità. Col rischio di apparire come “una soluzione alla crisi climatica che non richiede la decarbonizzazione” ovvero la riduzione delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane, ha spiegato il Prof. Siegert. “Certo che non sarebbe vero. Ma è proprio per questo che pensiamo che possano essere potenzialmente dannosi.”

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