K metro 0 – Londra – Il mercato del lavoro britannico sta rallentando, ma senza crolli. Negli ultimi mesi le offerte di lavoro sono diminuite e i lavoratori a busta paga sono leggermente calati, segnale che molte aziende stanno tenendo i conti sotto controllo. Secondo l’Office for National Statistics (ONS), tra maggio e luglio le
K metro 0 – Londra – Il mercato del lavoro britannico sta rallentando, ma senza crolli. Negli ultimi mesi le offerte di lavoro sono diminuite e i lavoratori a busta paga sono leggermente calati, segnale che molte aziende stanno tenendo i conti sotto controllo.
Secondo l’Office for National Statistics (ONS), tra maggio e luglio le offerte sono scese del 5,8%, fermandosi a 718 mila. È il numero più basso dai tre mesi successivi alla pandemia. E se si esclude il periodo Covid, bisogna risalire ai primi mesi del 2015 per trovare dati simili. Il calo è diffuso in quasi tutti i settori, ma colpisce soprattutto ristorazione e commercio al dettaglio, dove diverse imprese hanno bloccato le assunzioni o evitano di sostituire chi lascia il posto.
Nonostante il raffreddamento, il quadro resta più solido di quanto si temeva. I salari medi continuano a crescere a un ritmo del 5%, la disoccupazione è ferma al 4,7% e a luglio il numero di dipendenti a libro paga è stato appena 8 mila in meno rispetto a giugno. Per Andrew Sentence, ex dirigente della Banca d’Inghilterra, si tratta di un “raffreddamento molto graduale” e in un contesto di oltre 30 milioni di persone occupate “non è un segnale drammatico”.
Ad aprile, il salario minimo nazionale – il National Living Wage – è aumentato da 11,44 a 12,21 sterline l’ora. Allo stesso tempo, il contributo per l’assicurazione nazionale a carico dei datori di lavoro è salito dal 13,5% al 15%, mentre la soglia salariale per il pagamento è stata abbassata da 9.100 a 5.000 sterline annue. Secondo Ashley Webb, economista di Capital Economics, queste misure avevano inizialmente creato qualche freno, ma gli effetti si stanno già attenuando.
La direttrice delle statistiche economiche dell’ONS, Liz McKeown, ha fatto notare che “il numero di dipendenti a libro paga è sceso in 10 degli ultimi 12 mesi, con i cali più forti nei settori dell’ospitalità e del retail”. Nonostante questo, Webb sottolinea che non si è visto un aumento della disoccupazione, segno che il mercato del lavoro riesce ancora ad assorbire i cambiamenti. Anche il numero di licenziamenti a luglio è rimasto basso, segnale che le aziende preferiscono trattenere il personale piuttosto che ridurlo.
Sul piano politico, il ministro dell’Occupazione Alison McGovern ha ribadito la volontà del governo di “vedere la disoccupazione scendere” puntando su un mix di politiche per il lavoro, la salute e la formazione. L’idea è quella di trasformare i Job Centre in luoghi dove le persone non trovano solo offerte di impiego, ma anche un vero supporto per acquisire competenze e migliorare il proprio profilo professionale.
Dal fronte opposto, Helen Whately, segretaria ombra per il Lavoro e le Pensioni, non ha risparmiato critiche al Labour, parlando di un “triste ma prevedibile risultato della guerra del partito alle imprese”, con tasse “a livelli record” e un eccesso di burocrazia che “soffoca la capacità di assumere”.
Per Monica George Michail, economista associato del National Institute of Economic and Social Research, il calo delle offerte di lavoro potrebbe frenare la crescita dei salari nei prossimi mesi. È un elemento che la Banca d’Inghilterra seguirà da vicino, perché può influenzare l’andamento dell’inflazione. L’obiettivo ufficiale resta il 2%, ma negli ultimi mesi i prezzi hanno ripreso a correre, soprattutto per via dei costi alimentari e dell’energia.
Secondo Michail, ci sono buone probabilità che la Banca intervenga con un ulteriore taglio dei tassi entro la fine dell’anno. Le previsioni parlano di un possibile abbassamento dal 4% al 3,75% già a novembre, nella speranza di dare una spinta alla crescita senza alimentare nuove pressioni sui prezzi.
di Sandro Loria