Siria, la disperata ricerca dei superstiti nelle prigioni di Assad

Siria, la disperata ricerca dei superstiti nelle prigioni di Assad

K metro 0 – Damasco – Tutti a Saydnaya. Sono arrivati a decine di migliaia. Da tutta la Siria. A cercare tracce di persone care scomparse da anni, se non decenni,  nella grande prigione segreta poco fuori Damasco. “Un luogo non solo per privare i presunti colpevoli della loro libertà, ma uno spazio senza legge

K metro 0 – Damasco – Tutti a Saydnaya. Sono arrivati a decine di migliaia. Da tutta la Siria. A cercare tracce di persone care scomparse da anni, se non decenni,  nella grande prigione segreta poco fuori Damasco.

“Un luogo non solo per privare i presunti colpevoli della loro libertà, ma uno spazio senza legge dove spezzare l’anima e schiacciare la dignità del nemico che aveva osato pensare diversamente dal potere”, per riprendere le toccanti parole di Francesca Luci (v. “Il Manifesto”, I corpi spezzati riemersi dal carcere di Sednaya, 11/12/2024).

Qui, secondo Amnesty International, tra il 2011 e il 2015 sono state impiccate migliaia di persone. Molti detenuti sono stati riabbracciati da familiari in lacrime, che spesso non immaginavano nemmeno che fossero ancora vivi, ma credevano che  fossero stati giustiziati. Alcuni faticavano a comprendere che Assad se n’era andato e qualcuno, lasciato a marcire per anni in gattabuia, non sapeva nemmeno che Hafez al-Assad,  il padre di Bashar (il tiranno appena messo in Fuga) fosse morto già nel 2000…

In una drammatica foto pubblicata dall’Associated Press (AP) lunedì 9 dicembre si vede un uomo che  rompe la serratura di una cella nella famigerata prigione militare di Saydnaya. Ma la speranza ha subito lasciato il posto alla disperazione. Dietro le pesanti porte di ferro lungo i corridoi del carcere, le celle erano vuote. Con mazze, pale e trapani, gli uomini hanno fatto buchi nei pavimenti e nei muri, alla ricerca di ciò che credevano fossero segrete o inseguendo suoni che pensavano di aver sentito dal sottosuolo. Non hanno trovato nulla, racconta Sarah El Deeb giornalista investigativa di AP.

Domenica, quando Damasco è caduta, gli insorti hanno liberato decine di persone dalla prigione militare di Saydnaya. Da allora, non è stato trovato quasi nessuno. “Dove sono tutti?” ha detto Ghada Assad, scoppiando a piangere. Era corsa dalla sua casa di Damasco alla prigione, sperando di trovare suo fratello. Fu arrestato nel 2011, l’anno in cui scoppiarono le prime proteste contro l’ex presidente. Non sapeva perché fosse stato arrestato.

“Per 13 anni, ho continuato a cercarlo”, ha detto. Quando la scorsa settimana gli insorti hanno preso Aleppo, la sua città natale, “ho pregato che raggiungessero Damasco solo per poter aprire questa prigione”, ha detto.

I funzionari della difesa civile che aiutavano nella ricerca erano confusi quanto le famiglie sul perché non venissero trovati altri detenuti. Ma pochi si arrendevano. Il senso di perdita per gli scomparsi, e l’improvvisa speranza che potessero essere trovati, hanno creato un clima di unità tra i siriani di tutto il paese.

Durante il governo di Bashar Assad e in particolare dopo l’inizio delle proteste del 2011, qualsiasi accenno di dissenso poteva far finire qualcuno a Saydnaya, dove pochi sono riemersi.

Nel 2017, Amnesty International ha stimato che all’epoca vi fossero trattenute 10.000-20.000 persone “d’ogni ceto sociale”, che di fatto erano destinate allo “sterminio”. Migliaia sono state uccise in frequenti esecuzioni di massa, ha riferito Amnesty. I prigionieri  hanno subito torture, percosse e stupri. Quasi ogni giorno, le guardie facevano il giro delle celle per raccogliere i corpi dei detenuti morti durante la notte per ferite, malattie o fame. Alcuni impazzivano o si lasciavano morire di fame.

“Non c’è una casa, non c’è una donna in Siria che non abbia perso un fratello, un figlio o un marito”, ha affermato Khairiya Ismail, 54 anni. Due dei suoi figli sono stati arrestati nei primi giorni delle proteste contro Assad, uno dei quali è andato a trovarla dopo che lei stessa era stata arrestata on l’accusa di aver aiutato suo figlio a eludere il servizio militare, e  ha trascorso otto mesi nella prigione di Adra, a nord-est di Damasco.

Si stima che dal 2011 in Siria siano state arrestate o scomparse circa 150.000 persone, e che decine  migliaia siano passate per Saydnaya.

“La gente si aspettava che ce ne fossero molti di più qui… Si aggrappano al più piccolo barlume di speranza”, ha detto Ghayath Abu al-Dahab, portavoce dei Caschi Bianchi, il gruppo di ricerca e soccorso che ha operato nelle aree controllate dai ribelli durante la guerra.

Cinque squadre dei Caschi Bianchi sono arrivate a Saydnaya con due unità cinofile

per aiutare nella ricerca. Ma finora non ci sono state risposte, ha detto Abu al-Dahab, precisando che la difesa civile aveva documenti che mostravano che più di 3.500 persone si trovavano a Saydnaya fino a tre mesi prima della caduta di Damasco. Ma il numero potrebbe essere stato inferiore al momento dell’assalto alla prigione, ha aggiunto.

Ci sono però altri luoghi di detenzione. “Il regime ha trasformato l’intera Siria in una grande prigione”. I detenuti erano trattenuti in agenzie di sicurezza, strutture militari, uffici governativi e persino università, ha spiegato.

Firas al-Halabi, uno dei prigionieri liberati quando gli insorti hanno fatto irruzione per la prima volta a Saydnaya, è tornato lunedì in visita.

Al-Halabi, che era stato un coscritto dell’esercito quando è stato arrestato, ha detto di aver trascorso quattro anni in una cella con altre 20 persone. Il suo unico cibo era un quarto di pagnotta e un po’ di burghul (“grano spezzato”, o grano duro integrale germogliato). Soffriva di tubercolosi a causa delle condizioni della cella. È stato torturato con scariche elettriche e sottoposto a continue percosse.

“Ci picchiavano durante l’ora d’aria in cortile.. quando andavamo in bagno, se ci sedevamo sul pavimento… Una volta è stato gettato in isolamento semplicemente per aver pregato nella sua cella. “Tutto è considerato una violazione”, ha detto. “La tua vita è una grande violazione per loro”.

Nel suo primo anno in prigione le guardie chiamavano centinaia di nomi nel corso dei giorni. Un agente gli ha detto che era per le esecuzioni. Quando è stato liberato domenica, ha creduto di sognare. “Pensavamo che saremmo stati giustiziati, uno per uno”.

Noha Qweidar e suo cugino erano seduti nel cortile lunedì, prendendosi una pausa dalle ricerche. I loro mariti sono stati arrestati nel 2013 e nel 2015. Qweidar ha detto di aver ricevuto notizie da altri detenuti che suo marito era stato ucciso in un’esecuzione sommaria in prigione.

Ma non poteva esserne certa. I prigionieri dichiarati morti in passato sono stati ritrovati vivi. “Ho sentito che (è stato giustiziato) ma spero ancora che sia vivo”.

Poco prima del tramonto di lunedì, le squadre di soccorso hanno portato un escavatore per scavare più a fondo. Ma a tarda notte, i Caschi Bianchi hanno annunciato la fine delle loro ricerche, affermando in una dichiarazione di non aver trovato aree nascoste nella struttura.

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