Giappone, per la prima volta una donna diventa capo del governo

Giappone, per la prima volta una donna diventa capo del governo

K metro 0 – Tokyo – Sanae Takaichi entra nella storia politica del Giappone diventando la prima donna a ricoprire la carica di primo ministro. La sua elezione segna una cesura simbolica con un sistema che, dalla riforma Meiji, ha visto susseguirsi esclusivamente uomini in cima al governo. Ma più che di una rottura di

K metro 0 – Tokyo – Sanae Takaichi entra nella storia politica del Giappone diventando la prima donna a ricoprire la carica di primo ministro. La sua elezione segna una cesura simbolica con un sistema che, dalla riforma Meiji, ha visto susseguirsi esclusivamente uomini in cima al governo. Ma più che di una rottura di genere, molti osservatori parlano di una svolta ideologica: Takaichi porta con sé posizioni marcatamente conservatrici e un’agenda di rafforzamento della difesa che potrebbe accelerare la deriva a destra della politica nipponica.

Il voto parlamentare che l’ha incoronata è stato netto: centinaia di deputati e senatori le hanno accordato la fiducia, alimentando una fase di transizione che dovrà fare i conti con una maggioranza fragile e con l’ingresso nel governo di alleati dal profilo nazionalista. Nonostante il traguardo storico, il suo gabinetto iniziale include solo poche donne, un paradosso che ha già suscitato critiche interne ed esterne.

Sul piano della politica estera e della difesa, Takaichi non nasconde le sue priorità: intende consolidare il rapporto con Washington e accelerare l’aumento della spesa militare, con l’obiettivo di superare la soglia del 2% del Pil fissata nei piani strategici recenti — un passo che comporterebbe nuove entrate fiscali e scelte dure sul bilancio. La sua linea è stata definita senza mezzi termini: un Giappone più armato e più sincronizzato con gli Stati Uniti per fronteggiare le sfide regionali, soprattutto l’ascesa militare cinese.

A breve distanza dalla sua nomina, la nuova premier si troverà davanti a due appuntamenti di peso: la partecipazione a un vertice regionale dell’ASEAN e la visita ufficiale del presidente statunitense Donald Trump, fissata nelle prossime settimane. Questi incontri saranno il banco di prova per la capacità di Takaichi di manovrare la diplomazia in un momento di crescenti tensioni in Asia orientale.

Il mondo guarda con attenzione, e non senza preoccupazione. Pechino ha già invitato Tokyo a mantenere impegni e responsabilità su temi sensibili come la memoria storica e la questione di Taiwan, sottolineando come la leadership giapponese abbia un peso che travalica il confine nazionale. Le parole del ministero degli Esteri cinese hanno un chiaro tono di avvertimento: dialogo sì, ma nel rispetto di “linee rosse” storiche e geopolitiche.

La biografia personale di Takaichi contribuisce a costruire un profilo pubblico tanto insolito quanto comunicativo. Nata nella prefettura di Nara, ha dovuto lavorare per mantenersi agli studi e ha coltivato passioni poco ortodosse per una parlamentare conservatrice: da giovane suonava la batteria in una band heavy metal, praticava immersioni subacquee e ha sempre mostrato un interesse marcato per le auto sportive — la sua storica Toyota Supra è diventata quasi un simbolo e oggi suscita curiosità anche nei musei locali. Questi dettagli, che smussano il ritratto della “dura”, la rendono allo stesso tempo più popolare e meno prevedibile.

Sul piano ideologico, Takaichi si muove su terreni familiari al mondo conservatore giapponese: patriottismo, revisione della narrazione storica e rigore sull’immigrazione. Ha richiamato in più occasioni la figura di Margaret Thatcher come modello di leadership, ed è percepita come erede politica di Shinzo Abe per alcune scelte strategiche e narrative. Questa combinazione — femminilità simbolica e programmi di destra — ha alimentato il paragone con leader europee dalle posizioni nazionaliste, motivo per cui alcuni commentatori occidentali l’hanno battezzata “la Meloni del Sol Levante”.

La sfida che attende il nuovo esecutivo è duplice. All’interno, dovrà trovare una stabilità politica sufficiente a far passare riforme economiche e fiscali in un Parlamento frammentato; all’esterno, dovrà bilanciare l’alleanza con Washington con la necessità di non provocare uno scontro aperto con Pechino e Seul. Il vero test sarà se la sua figura, simbolo di rottura formale ma portatrice di un’agenda marcatamente conservatrice, saprà conciliare istanze nazionali e responsabilità regionali senza innescare ulteriori destabilizzazioni.

In ogni caso, la nomina di Sanae Takaichi segna un capitolo nuovo nella storia politica giapponese: un paese che si affaccia al futuro con la prima donna al governo, mentre tratta con le ombre del passato e le pressioni di un presente geopolitico sempre più complicato. Resta da vedere se la sua “mano ferma” saprà trasformarsi in governance efficace o se, al contrario, il Paese pagherà il conto di una leadership forse più simbolica che maggiormente radicata.

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