Palestina riconosciuta, ma non realizzata: la distanza tra simbolo e realtà

Palestina riconosciuta, ma non realizzata: la distanza tra simbolo e realtà

K metro 0 – New York – Cresce il numero di Paesi che riconoscono lo Stato palestinese, ma la prospettiva di una soluzione a due Stati appare sempre più lontana dal realizzarsi. Intanto l’esercito israeliano continua la sua avanzata verso Gaza, bombardando l’enclave con le armi degli stessi Paesi che hanno riconosciuto la Palestina. La conferenza

K metro 0 – New York – Cresce il numero di Paesi che riconoscono lo Stato palestinese, ma la prospettiva di una soluzione a due Stati appare sempre più lontana dal realizzarsi. Intanto l’esercito israeliano continua la sua avanzata verso Gaza, bombardando l’enclave con le armi degli stessi Paesi che hanno riconosciuto la Palestina.

La conferenza delle Nazioni Unite sulla Palestina ha già segnato una svolta storica: una decina di Paesi, guidati dalla Francia di Emmanuel Macron, hanno annunciato il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese, tra applausi e tensioni diplomatiche. La mossa, sostenuta anche da Arabia Saudita, Gran Bretagna, Canada e Australia, ha innescato lo scontro con Stati Uniti e Israele, sempre più isolati al Palazzo di Vetro, soprattutto dopo l’attacco israeliano a Doha. Rivolgendosi a Donald Trump e alla sua convinzione di meritare il Nobel per la Pace, il capo dell’Eliseo ha dichiarato: “È possibile solo se ferma la guerra in Medio Oriente”. Macron pentito ha parlato di “tempo di fermare la guerra e il massacro”, ribadendo che “nulla giustifica il conflitto in corso a Gaza”.

Dal palco di New York, Meloni ha descritto un mondo “sospeso tra guerra e pace”, ricordando che oggi si contano “56 conflitti armati, il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale”. La premier italiana, ha riconosciuto che “Israele ha superato il limite con una guerra su larga scala che sta coinvolgendo oltre misura la popolazione civile palestinese”. La premier ha chiarito che l’Italia continuerà a sostenere la prospettiva dei due Stati, ma con dei paletti: “Il riconoscimento della Palestina deve avere due precondizioni irrinunciabili: il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani e la rinuncia da parte di Hamas ad avere qualsiasi ruolo nel governo della Palestina”. Per Meloni, “Israele non ha il diritto di impedire che domani nasca uno Stato palestinese, né di costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania al fine di impedirlo”.

Dopo decenni di sostegno esplicito o di silenzio strategico, la maggior parte delle nazioni arabe ha ora decisamente preso posizione in sintonia con due attori importanti, Francia e Regno Unito. Questa mossa suggerisce che gli stati arabi stiano ora dando priorità alla stabilità regionale e ai propri interessi nazionali rispetto alla solidarietà ideologica. La questione israelo-palestinese rimane uno dei conflitti più complessi, irrisolti e polarizzanti della geopolitica contemporanea. Nonostante oltre tre quarti degli Stati membri dell’ONU – 151 su 193 – abbiano ufficialmente riconosciuto lo Stato di Palestina, la sua esistenza concreta resta al momento più un simbolo diplomatico che una realtà tangibile.

Tra i Paesi che non riconoscono la Palestina figurano ancora Stati Uniti, e una parte degli Stati dell’Unione Europea. Tuttavia, negli ultimi mesi, alcuni governi europei – come Spagna, Irlanda e Norvegia – hanno formalizzato il riconoscimento, intensificando l’isolamento politico del governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu, uomo ricercato, alla pari di alcuni suoi ministri, dal Tribunale Penale Internazionale.

Ma proprio da Israele arriva il messaggio più netto: “Non ci sarà uno Stato palestinese a ovest del Giordano”, ha dichiarato di recente Netanyahu. Una presa di posizione che conferma come, nonostante anni di negoziati e pressioni internazionali, l’obiettivo della soluzione a due Stati sia, nei fatti, ancora lontano.

A rendere impraticabile la nascita di uno Stato palestinese non è solo la volontà politica di Israele, ma anche una strategia di fatto: l’occupazione militare, l’espansione degli insediamenti israeliani e la frammentazione dei territori palestinesi.

Dei tre territori riconosciuti dalla comunità internazionale come appartenenti alla futura Palestina, tutti sono oggi in situazioni critiche:

La Striscia di Gaza è devastata da quasi due anni di guerra. Le operazioni militari israeliane hanno raggiunto anche la città di Gaza, epicentro urbano e simbolico del territorio, facendo temere un’occupazione di lungo periodo.

Gerusalemme Est, occupata da Israele dal 1967, è oggi teatro di una coabitazione forzata tra palestinesi e coloni israeliani, in numeri ormai quasi equivalenti.

La Cisgiordania, invece, è oggetto di un’accelerazione nell’espansione delle colonie israeliane. L’approvazione della colonia E1 – giudicata illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia – rischia di dividere il territorio in due, minando in modo definitivo la continuità territoriale di un eventuale Stato palestinese.

La situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi è a dir poco preoccupante. Alle violazioni compiute dalle forze di occupazione israeliane (detenzioni amministrative, espropri arbitrari, demolizioni di case, casi di tortura, ampliamento delle colonie ebraiche a Gerusalemme Est e in Cisgiordania), si aggiungono quelle perpetrate dagli uomini della sicurezza palestinesi: arresti arbitrari, violazioni della libertà di espressione, tortura, eliminazione di palestinesi accusati di collaborazionismo, e, infine, applicazione della pena di morte.

“Seppellire l’idea di uno Stato palestinese”: così il ministro israeliano delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha definito l’obiettivo della colonia E1. Non è un caso isolato: secondo dati recenti, oltre 700mila coloni israeliani vivono oggi in Cisgiordania.

Sul versante palestinese, la situazione non appare più stabile. L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che gode di riconoscimento internazionale ma controlla solo parte della Cisgiordania, è da anni in crisi di credibilità, afflitta da inefficienze e corruzione. Il suo ruolo effettivo come interlocutore politico è sempre più debole.

Dall’altra parte, Hamas, che governa de facto Gaza dal 2007, è ritenuto da Israele e da molti Paesi occidentali un’organizzazione terroristica, e completamente escluso da ogni processo negoziale internazionale.

Le profonde divisioni interne al fronte palestinese, unite all’assenza di una guida politica condivisa e legittimata, sono uno degli ostacoli maggiori alla concretizzazione dello Stato.

Il riconoscimento di uno Stato è un atto politico e discrezionale. Secondo la Convenzione di Montevideo del 1933, i requisiti fondamentali per uno Stato sono quattro: popolazione permanente, territorio definito, governo funzionante e capacità di intrattenere relazioni diplomatiche. La Palestina non rientra pienamente in questi criteri, ma il riconoscimento si basa sul principio del diritto all’autodeterminazione.

A oggi, 151 Paesi membri dell’ONU riconoscono la Palestina. Questo riconoscimento permette di stabilire relazioni diplomatiche, aprire consolati e avviare accordi bilaterali. Tuttavia, non garantisce l’effettiva creazione di uno Stato, né modifica la realtà sul campo.

Diversi analisti e attivisti hanno espresso scetticismo verso il valore effettivo dei riconoscimenti diplomatici, definendoli «l’illusione di un’azione»: simboli che non cambiano la realtà né migliorano la condizione dei palestinesi.

Le iniziative concrete, infatti, sono rare. Gli aiuti umanitari lanciati via aerea sull’enclave di Gaza, ad esempio, sono stati simbolici e insufficienti. Anche le evacuazioni per motivi sanitari sono state pochissime, mentre la malnutrizione cresce.

Un caso a parte è la Spagna, che ha adottato una linea più netta: ha annunciato il divieto di commercio di armi con Israele, la chiusura di porti e aeroporti alle forniture legate alla guerra e lo stop all’importazione di prodotti dalle colonie in Cisgiordania.

La Russia da parte sua rivendica di aver riconosciuto la Palestina da tempo, senza attendere l’attuale crisi. A ribadirlo è stato il vice ministro degli Esteri Sergei Vershinin, durante una conferenza Onu a New York: «La Russia, come la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo, ha da tempo riconosciuto i legittimi diritti dei palestinesi al ritorno e all’autodeterminazione. Non abbiamo atteso la catastrofe che ha già causato oltre 65mila vittime», ha dichiarato.

Di recente la Commissione Europea ha proposto di applicare sanzioni contro Israele, tra cui la sospensione di un trattato commerciale che dal 2000 annulla i dazi su parte delle merci scambiate con i paesi dell’Unione: sarà però molto difficile farle approvare, a causa dell’opposizione di vari stati tra cui Austria, Italia e Germania.

Tuttavia, senza un coordinamento europeo o internazionale, queste misure rischiano di restare isolate e avere un impatto limitato.

In conclusione la Palestina resta uno Stato riconosciuto, ma non realizzato. A livello politico i paesi che decidono di riconoscere la Palestina hanno come interlocutore l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), l’entità parastatale che governa in modo semiautonomo alcune parti della Cisgiordania (ma non della Striscia di Gaza, che dal 2007 è sotto il controllo di Hamas). L’ANP è riconosciuta da gran parte della comunità internazionale come il governo legittimo del popolo palestinese, ma è anche inefficiente, impopolare e accusata di corruzione da tempo: ci sono molti dubbi sul fatto che possa governare in modo efficace i territori palestinesi dopo la fine della guerra a Gaza.

Il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di numerosi governi occidentali rappresenta un segnale politico importante, ma non cambia i fatti sul terreno. Senza un cambiamento sostanziale nella politica israeliana, nella leadership palestinese e nella volontà internazionale di intervenire con ferma decisione, la prospettiva di una Palestina indipendente e sovrana resta ancora un’ipotesi lontana.

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Nizar Ramadan
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