K metro 0 – Aia – La Corte penale internazionale ha sollecitato gli Stati membri e le autorità competenti a cooperare per l’arresto e la consegna di nove cittadini libici accusati di crimini di guerra e contro l’umanità dal 2011. Tra i ricercati figura Saif al Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, colpito
K metro 0 – Aia – La Corte penale internazionale ha sollecitato gli Stati membri e le autorità competenti a cooperare per l’arresto e la consegna di nove cittadini libici accusati di crimini di guerra e contro l’umanità dal 2011. Tra i ricercati figura Saif al Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader libico Muammar Gheddafi, colpito da un mandato d’arresto emesso il 27 giugno 2011 e tuttora pendente in fase pre-processuale. Nello stesso provvedimento – riporta Nova – erano inclusi l’allora capo dell’intelligence, Abdullah al Senussi – la cui causa è stata dichiarata irricevibile nell’ottobre 2013 – e lo stesso Gheddafi padre, per il quale il procedimento è stato chiuso nel novembre 2011 a seguito della sua morte.
Saif al Islam continua ancora oggi a essere una figura polarizzante in Libia, attirando sia il sostegno di nostalgici del regime passato sia il rifiuto di chi teme un ritorno a un’autorità autocratica. Nel novembre del 2021, Saif aveva presentato personalmente la sua candidatura alle elezioni presidenziali libiche (che poi non si sono più tenute) nella città di Sebha, nella regione meridionale del Fezzan. Si era trattato della prima apparizione in pubblico di Saif dal 2011. Secondo i sondaggi pubblicati allora, Saif aveva buone chance di arrivare al ballottaggio. Il figlio del defunto rais libico parla correntemente inglese e vanta un dottorato alla London School of Economics. Durante il regime del padre Muammar stava lavorando per avviare una liberalizzazione dell’economia libica e ha avuto stretti contatti con l’attuale primo ministro del Governo di unità nazionale, Abdulhamid Dabaiba. Prima della caduta del regime nel 2011, Saif era considerato il “volto moderno” della Libia. Nel 2015, il secondogenito del rais era stato condannato a morte dalla giustizia libica, salvo poi essere liberato nel 2017 a seguito di un’amnistia e da allora vive nascosto in una località sconosciuta.
Secondo quanto riferito dal quotidiano libico “Al Wasat”, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha ricordato anche i mandati ancora in vigore e le successive aggiunte. Tra queste il comandante della “katiba 50” delle forze speciali Saif Suleiman Sneidel, accusato di omicidi e torture tra il 2016 e il 2017; e, dal 2023, Abdulrahim Khalifa al Shaqaqi, detto al Kani, e Makhlouf Douma, ritenuti coinvolti nelle fosse comuni di Tarhuna, insieme a Nasser Dou, noto come “al Lahsa”, Mohammed al Salihin Salmi e Fathi al Zankal. Nel gennaio 2025 la Corte ha emesso un mandato contro Osama Najim Almasri, ex funzionario della polizia giudiziaria accusato di crimini commessi fra il 2015 e il 2024: arrestato in Italia, è stato poi rilasciato, mentre nel Regno Unito sono stati congelati suoi beni per 12 milioni di sterline in collaborazione con la National Crime Agency britannica.
A luglio 2025 è stato aggiunto Khaled al Heishri, detto “al Buti”, accusato di omicidi, torture e violenze sessuali fra il 2015 e il 2020, arrestato in Germania, dove il procedimento è in corso. La Corte ha inoltre ricordato che nel maggio scorso il Governo di unità nazionale libico ha accettato la giurisdizione della Cpi per i crimini commessi dal 2011 fino alla fine del 2027. Particolare attenzione è rivolta alle indagini sulle fosse comuni di Tarhuna e sui conflitti iniziati dal 2014. In questo contesto l’associazione delle famiglie delle vittime di Tarhuna ha ribadito l’appello a processare i responsabili, avvertendo sul rischio di impunità a fronte della sospensione delle operazioni di scavo e di identificazione dei dispersi.