K metro 0 – Parigi – “Liberiamoci dalla plastica, non impariamo a conviverci”. È il messaggio che 723 organizzazioni francofone hanno deciso di far arrivare forte e chiaro a Ginevra, dove oggi 13 agosto entra nel vivo il quinto round di negoziati (INC-5.2) per il primo trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica. Dopo il flop
K metro 0 – Parigi – “Liberiamoci dalla plastica, non impariamo a conviverci”. È il messaggio che 723 organizzazioni francofone hanno deciso di far arrivare forte e chiaro a Ginevra, dove oggi 13 agosto entra nel vivo il quinto round di negoziati (INC-5.2) per il primo trattato mondiale contro l’inquinamento da plastica.
Dopo il flop dell’ultima tornata, le associazioni – tra cui l’ONG francese Objectif Zéro Plastique – hanno diffuso una lettera aperta: “Non vogliamo ripetere gli errori di altri grandi accordi ambientali, pieni di belle parole ma senza obblighi veri, che lasciano ogni Stato libero di fare come gli pare”.
Il contesto non aiuta. A fine 2024, a Busan in Corea del Sud, i colloqui si erano chiusi senza risultati. E oggi, con le tensioni geopolitiche e commerciali in aumento, l’aria è tutt’altro che serena. Dal 5 agosto, sotto l’egida dell’ONU, quasi 180 Paesi stanno cercando un’intesa su un testo che si discute dal 2022 e che, per i firmatari, deve essere “giuridicamente vincolante” non solo nei piani ma nei risultati, fissando obiettivi concreti e misurabili per ridurre la produzione.
Il ministro francese per la Transizione ecologica, Agnès Pannier-Runacher, ha spiegato a RTL che i negoziati “sono particolarmente difficili” per l’opposizione di alcuni produttori di petrolio, materia prima della plastica: “È molto difficile fare passi avanti”.
Eppure la posta in gioco è enorme. L’OCSE avverte che, senza un accordo, il consumo mondiale di plastica rischia di triplicare entro il 2060. Oggi se ne producono 460 milioni di tonnellate l’anno, metà monouso, e meno del 10% viene riciclato. Le micro e nanoplastiche che derivano dalla degradazione finiscono negli ecosistemi, nel sangue e perfino negli organi umani.
Alcuni Paesi francofoni hanno già firmato dichiarazioni forti, come la “sveglia di Nizza” lanciata a giugno durante la Conferenza ONU sugli oceani. Le ONG chiedono però ai governi più determinati di “parlare chiaro e non farsi frenare da una minoranza che non vuole cambiare”.
A Nizza, infatti, un gruppo di 96 Paesi – dai piccoli Stati insulari allo Zimbabwe, passando per i 27 dell’UE, il Messico e il Senegal – ha chiesto un trattato che limiti la produzione e il consumo di polimeri plastici primari a livelli sostenibili. La Francia è tra i più attivi promotori e mette in guardia da chi punta tutto su raccolta e riciclo. “È una menzogna che non vogliamo avallare”, ha calcato la mano Pannier-Runacher.
Sul fronte opposto, Matthew Kastner, portavoce dell’American Chemical Industry Council, difende la plastica e il suo ruolo “vitale per la salute pubblica”, citando dispositivi medici sterili, mascherine, tubature e imballaggi che garantiscono igiene e sicurezza alimentare.
Per Marie-France Dignac, direttrice della ricerca all’INRAE, bisogna affrontare il problema alla radice: “Tutti i dati scientifici, compresi quelli dell’OCSE, dimostrano che più produciamo, più inquiniamo”. E Henri Bourgeois-Costa, della Tara Ocean Foundation, aggiunge che “il riciclo non può essere la soluzione unica”.
Il nodo più duro da sciogliere è l’inserimento di un tetto alla produzione di nuove materie plastiche, che Arabia Saudita, Iran e Russia rifiutano. Altro punto critico è la definizione di una lista di sostanze chimiche pericolose, come PFAS, interferenti endocrini, ftalati e bisfenoli.
Nonostante tutto, qualche spiraglio di ottimismo c’è. “Dopo Busan c’è stata molta diplomazia”, ha detto all’AFP Inger Andersen, direttrice dell’UNEP, convinta che molti Paesi siano arrivati a Ginevra con la volontà di trovare un’intesa. Luis Vayas Valdivieso, sui social, parla di “aria carica di impegno”.
Intanto, un rapporto pubblicato su The Lancet avverte che la plastica provoca malattie e morti dalla nascita alla vecchiaia e costa alla salute globale oltre 1.500 miliardi di dollari l’anno. Una crisi mondiale che, secondo gli autori, resta “un pericolo serio, crescente e ancora sottovalutato”.
di Sandro Doria