K metro 0 – Bruxelles – La crisi a Gaza e la pressione diplomatica su Israele stanno spaccando l’Unione Europea. Con l’aggravarsi della situazione umanitaria, alcuni governi europei stanno valutando mosse politiche forti, tra cui l’invio di aiuti aerei alla popolazione palestinese e la sospensione della partecipazione israeliana al programma europeo Horizon. Torna in circolazione,
K metro 0 – Bruxelles – La crisi a Gaza e la pressione diplomatica su Israele stanno spaccando l’Unione Europea. Con l’aggravarsi della situazione umanitaria, alcuni governi europei stanno valutando mosse politiche forti, tra cui l’invio di aiuti aerei alla popolazione palestinese e la sospensione della partecipazione israeliana al programma europeo Horizon.
Torna in circolazione, anche sulla stampa israeliana, l’espressione “tsunami diplomatico”, usata anni fa per indicare le possibili reazioni internazionali a certe scelte di Tel Aviv. E oggi quella previsione sembra prendere forma.
Al centro del dibattito europeo, un tema delicato e divisivo: l’eventuale riconoscimento dello Stato di Palestina. La Francia e l’Arabia Saudita spingono per un’iniziativa condivisa, con l’idea di presentarla all’Assemblea Generale dell’ONU a settembre. Si tratterebbe di un riconoscimento più politico che operativo, ma comunque carico di valore simbolico.
Alcuni Paesi – come Spagna, Irlanda, Slovenia e Norvegia – hanno già compiuto questo importante passo. Più di recente si sono aggiunti Regno Unito, Malta e Finlandia. Ma l’unità, in Europa, resta lontana, riferisce Euractiv.
In Finlandia, ad esempio, il partito di governo ha dovuto fare marcia indietro dopo le obiezioni dei suoi alleati. In Belgio, la questione sta creando frizioni tra i partiti francofoni e fiamminghi. In Portogallo, il premier Montenegro prende tempo, frenato dalle pressioni del partito Chega. Mentre Parigi insiste: il riconoscimento potrebbe riattivare il processo verso due Stati, ma pone come condizione il disarmo di Hamas e la rinuncia al controllo di Gaza. Una prospettiva che il movimento Hamas rifiuta, ribadendo che depositerà le armi solo in caso di creazione di uno Stato palestinese riconosciuto.
Israele e Stati Uniti, dal canto loro, ritengono che un riconoscimento possa rafforzare Hamas e allontanare ogni possibilità di negoziato. Sul campo, intanto, la guerra continua.
Benjamin Netanyahu ha dichiarato di voler intensificare l’offensiva su Gaza, citando due nuovi video che mostrerebbero gli ostaggi Rom Braslavski ed Evyatar David. Ha promesso che li libererà con la forza, affermando che 20 ostaggi sarebbero ancora vivi.
Netanyahu è sostenuto da una coalizione dominata dalla destra più radicale, che minaccia la crisi di governo in caso di tregua. Tuttavia, cresce anche la fronda interna: numerosi ex vertici dell’esercito e della sicurezza hanno firmato un appello per il cessate il fuoco, finora ignorato.
La commissaria belga agli aiuti umanitari, Hadja Lahbib, ha esortato Israele a consentire l’ingresso degli operatori e dei soccorsi. “Bisogna smettere di ostacolare l’accesso umanitario”, ha detto.
Estonia, Lettonia e Lituania, insieme a Germania, Italia, Austria e Repubblica Ceca, non intendono riconoscere la Palestina. Il deputato estone Marko Mihkelson ha dichiarato: “Con la violenza di Hamas, oggi è impossibile parlare di riconoscimento”.
In vista della riunione dell’ONU a settembre, il dibattito promette di scaldarsi ancora. Netanyahu, nel frattempo, non cede e può contare sull’appoggio di Donald Trump, mentre gli ostaggi restano nelle mani di Hamas e il conflitto si trascina.
Il ministro degli Esteri Johann Wadephul, rientrato da una visita in Israele e nei territori palestinesi, ha dichiarato che gli aiuti a Gaza restano “insufficienti”. La posizione di Berlino sulle possibili sanzioni a Israele potrebbe dipendere da sviluppi concreti nei prossimi giorni. Mentre la Francia ha sospeso temporaneamente le evacuazioni da Gaza dopo il caso di una studentessa palestinese accusata di aver diffuso contenuti antisemiti online. Il ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot ha annunciato nuovi controlli sui profili dei rifugiati accolti.
di Sandro Doria