Londra resta in bilico sull’accesso ai fondi UE per la difesa

Londra resta in bilico sull’accesso ai fondi UE per la difesa

K metro 0 – Bruxelles – Londra vorrebbe tanto sedersi al tavolo dei grandi e dare alle sue aziende della difesa una fetta della gigantesca torta da 150 miliardi di euro messa sul piatto dall’Unione Europea per rafforzare il settore, ma per ora è ancora tutto fermo. Niente negoziati ufficiali, nessuna proposta formale da Bruxelles,

K metro 0 – Bruxelles – Londra vorrebbe tanto sedersi al tavolo dei grandi e dare alle sue aziende della difesa una fetta della gigantesca torta da 150 miliardi di euro messa sul piatto dall’Unione Europea per rafforzare il settore, ma per ora è ancora tutto fermo. Niente negoziati ufficiali, nessuna proposta formale da Bruxelles, e il tempo inizia a scarseggiare.

Il Regno Unito ha firmato a maggio un accordo di partenariato per la sicurezza e la difesa con l’UE – una mossa che doveva aprire la strada all’accesso ai contratti del programma SAFE. Ma da allora, complice anche la pausa estiva, tutto è rimasto in sospeso. E mentre 18 Paesi UE hanno già presentato la loro candidatura per accedere ai fondi, Londra è ancora in attesa di un invito a entrare nella stanza dei bottoni.

E dire che a maggio il ministro degli Esteri David Lammy parlava con ottimismo di “un accordo nelle prossime settimane”. Ma a fine luglio, è ormai evidente che prima di settembre non succederà nulla. E settembre, in questo caso, vuol dire avere meno di due mesi per chiudere tutto, prima della scadenza di novembre, quando le capitali dovranno dire nero su bianco come intendono spendere i soldi.

Uno dei problemi principali è che qualsiasi accordo tra Bruxelles e Londra dovrà rispettare la regola del “giusto equilibrio”, ovvero un bilancio equo tra quanto il Regno Unito contribuisce – economicamente e industrialmente – al fondo, e quanto può ottenere in cambio. Ma questo “equilibrio” è vago, nessuno ha davvero chiarito cosa significhi concretamente. E la cosa, ovviamente, complica tutto.

Francia e Germania, per esempio, la vedono in modo molto diverso. Parigi non vuole che Londra abbia troppa libertà di manovra: per i francesi, i soldi europei devono andare prima di tutto alle aziende europee. Berlino e i Paesi Bassi, invece, spingono per aprire, anche perché in molti casi le industrie britanniche lavorano a stretto contatto con quelle continentali – o addirittura ospitano impianti di gruppi UE come Rheinmetall.

In teoria, le aziende del Regno Unito potrebbero già partecipare fino al 35% del valore di un progetto SAFE. Ma serve un’intesa chiara sui criteri di ammissibilità, su chi può partecipare, quali fornitori sono inclusi, e soprattutto: quanto deve versare Londra nel fondo? Domande che – politicamente – non sono affatto leggere.

Anche volendo, la strada è lunga e piena di ostacoli. Per far partire i negoziati servirebbe un mandato da parte della Commissione, approvato dai governi UE. E qui si apre un altro capitolo: sebbene basti una maggioranza qualificata, su dossier delicati come la difesa si cerca sempre il consenso totale. Tradotto: tutti i 27 devono essere d’accordo, altrimenti si blocca tutto.

E non è finita. Anche il Parlamento europeo dovrà dire la sua e approvare il testo finale. E solo dopo si potrà tornare al Consiglio per un’ultima votazione – che con ogni probabilità dovrà essere all’unanimità. Insomma, una maratona diplomatica in piena regola.

Un documento interno della Commissione, visionato da Euractiv, spiega che ogni passo sarà monitorato dagli Stati membri, che avranno ampio margine di intervento. Questo vuol dire che ogni Paese può influenzare – o frenare – la partecipazione del Regno Unito, proprio come accaduto con altri Paesi terzi, dal Canada alla Turchia.

Mentre Londra aspetta, gli altri vanno avanti. La Commissione ha fatto sapere che 18 Paesi UE hanno già presentato richiesta per accedere ai fondi SAFE: tra questi ci sono anche Italia, Francia, Spagna, Germania, Polonia, Ungheria, Romania, e diversi Stati baltici.

In totale, sono già stati richiesti 127 miliardi su 150 disponibili. Mancano all’appello solo 23 miliardi, che potrebbero andare a chi presenta progetti più avanti, oppure essere riassegnati l’anno prossimo.

La Commissione temeva che molte capitali lasciassero inutilizzati i fondi. Per questo, a inizio luglio, i commissari Andrius Kubilius (difesa) e Valdis Dombrovskis (finanze) avevano scritto una lettera per spronare i governi a fare richiesta. E, almeno in parte, il pressing ha funzionato: a poche ore dalla scadenza iniziale di martedì scorso, erano arrivate solo 9 richieste. Poi, in extremis, altri 9 Paesi si sono fatti avanti.

Anche Roma ha così risposto all’appello. Secondo quanto riferito dalla Commissione e riportato dall’Ansa, l’Italia ha chiesto accesso ai prestiti SAFE per investire in settori cruciali come i droni, la difesa missilistica e la tecnologia strategica.

 

di Sandro Doria

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