K metro 0 – New York – In un editoriale pubblicato il 10 luglio, Left.it denuncia il silenzio delle istituzioni italiane di fronte agli attacchi contro Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Secondo la testata, mentre gli Stati Uniti annunciano sanzioni personali e Israele finanzia pagine sponsorizzate su
K metro 0 – New York – In un editoriale pubblicato il 10 luglio, Left.it denuncia il silenzio delle istituzioni italiane di fronte agli attacchi contro Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Secondo la testata, mentre gli Stati Uniti annunciano sanzioni personali e Israele finanzia pagine sponsorizzate su Google per screditarla, il governo Meloni resta inerte.
Albanese – si legge su Left.it – non è un’attivista, ma una giurista di alto profilo scelta dalle Nazioni Unite. Il suo “errore”? Aver pubblicato un rapporto in cui denuncia le responsabilità di grandi aziende occidentali – tra cui Amazon, Alphabet e Palantir – nel trarre profitto dall’economia di guerra israeliana.
La campagna mediatica contro la funzionaria Onu, prosegue l’editoriale, comprende anche video realizzati con intelligenza artificiale, annunci su YouTube e link sponsorizzati che ne oscurano la visibilità online. Accuse infondate, rilanciate da canali istituzionali, con l’obiettivo di delegittimarla agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.
“Donna, italiana, troppo libera per essere controllata”, scrive la testata. Eppure, nessuna presa di posizione da parte del Parlamento o del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nessuna difesa ufficiale nei confronti di una cittadina italiana che rappresenta le Nazioni Unite in un incarico delicato. Un’assenza che Left.it definisce senza mezzi termini “silenzio, sottomissione, ignavia”.
La conclusione dell’editoriale è netta: Francesca Albanese sta pagando il prezzo per aver fatto ciò che la comunità internazionale dovrebbe fare da tempo – chiamare i crimini con il loro nome. Anche a costo dell’isolamento. Anche quando il proprio governo si volta dall’altra parte. Da notare che se si cerca su Google il nome di Francesca Albanese, giurista italiana e relatrice speciale dell’ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi, appunto, si nota subito qualcosa di strano. La sua pagina Wikipedia non è più tra i primi risultati. Anzi, al suo posto, in alto, compare un link sponsorizzato dal sito govextra.gov.il, un portale del governo israeliano. Il testo è evidente: Albanese avrebbe “violato i principi di imparzialità” nel suo incarico all’ONU e avrebbe avuto “rapporti con gruppi terroristici”, tra cui Hamas. Un’accusa gravissima, ma infondata, senza uno straccio di prova.
Non è un caso isolato, tuttavia. Da qualche settimana Israele ha intensificato una campagna di comunicazione online a pagamento, rivolta anche al pubblico italiano. L’obiettivo è chiaro: condizionare la percezione pubblica su alcune figure scomode, usando gli strumenti tipici della pubblicità digitale. Netanyahu lo sta facendo attraverso Agency, una società che lavora per il suo governo e che usa campagne a pagamento per pilotare i risultati delle ricerche online.
Ricordiamo che Francesca Albanese, avvocato e docente, dal 2022 è relatrice speciale delle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Un ruolo delicato, che richiede indipendenza e rigore, e che inevitabilmente la espone a pressioni politiche. Nei suoi report ha denunciato gravi violazioni da parte di Israele, parlando di uso eccessivo della forza, espropri illegali e discriminazioni sistematiche. In una parola sola, di genocidio.
Parole che hanno irritato Tel Aviv. Già in passato erano arrivate accuse di faziosità. Ma adesso si è passati a un livello diverso: quello della disinformazione pagata, confezionata sotto forma di inserzione pubblicitaria.
Il link sponsorizzato che appare su Google porta a una pagina che attacca direttamente Albanese. Le accuse, formulate senza alcuna prova documentata, si basano su dichiarazioni estrapolate dal contesto e su presunti contatti con soggetti legati ad Hamas. Il linguaggio è simile a quello delle campagne diffamatorie, ma con l’autorevolezza che può dare un sito governativo.
Il fatto che questo contenuto appaia come primo risultato su Google – prima di qualsiasi fonte indipendente – ha un effetto immediato: indirizza il lettore verso un giudizio negativo, ancor prima che possa informarsi da fonti terze. E non solo. Perché la nostra concittadina ormai vive nel terrore quotidiano, minacciata, intimidita, ormai a rischio della propria incolumità.
Agency è la stessa società specializzata in operazioni che ha curato in passato campagne simili, con annunci mirati su YouTube, Facebook e Instagram. Il metodo è sempre lo stesso: si pagano inserzioni per far arrivare un certo messaggio a un pubblico selezionato, spesso in momenti chiave.
Negli ultimi mesi, in Italia, appunto, si è registrato un aumento di questi contenuti sponsorizzati, con testi in italiano, grafiche accattivanti e link a fonti istituzionali israeliane. Tutto studiato per sembrare neutro, ma con un preciso obiettivo di orientamento dell’opinione pubblica.
Un caso emblematico quello dell’Albanese, perché mostra quanto la guerra dell’informazione con ingredienti etichettati come autorevoli comunicazioni di Stato, sia ormai una componente strutturale del conflitto israelo-palestinese. Da un lato ci sono i report ufficiali dell’ONU e delle ONG internazionali. Dall’altro, campagne digitali che mirano a screditare le voci critiche, usando strumenti di marketing e comunicazione.
Il tutto in un momento in cui il conflitto a Gaza ha riportato l’attenzione mondiale sulla questione palestinese. L’ultimo rapporto di Albanese, che parla apertamente di un sistema di apartheid, è stato respinto da Israele come “fazioso e antisemita”, ma ha ricevuto attenzione da diversi media internazionali.
Ma è accettabile che un governo usi la pubblicità per influenzare la visibilità di contenuti su una piattaforma globale come Google? E le grandi aziende digitali come si pongono rispetto a campagne istituzionali che possono confondere l’utente? C’è un indifferibile problema di etica in primo piano che sta sfuggendo all’opinione pubblica internazionale, oltre che al governo italiano, il cui ministro degli Esteri Tajani non ha preso alcuna posizione.
Urge ricordare l’attacco al contingente militare italiano in Libano dello scorso ottobre, quando i nostri soldati furono attaccati dall’Idf, le forze armate israeliane. Che misero in serio pericolo le loro vite, finendo però col colpire loro colleghi asiatici. Come riporta Ansa, solo l’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, prese posizione contro Israele. “Esprimiamo piena solidarietà ai militari dell’Unifil, ai due feriti indonesiani, al contingente militare italiano in Libano. L’attacco deliberato delle forze armate israeliane contro la postazione Unifil in Libano non è solo una pesante violazione del diritto internazionale e della inviolabilità delle missioni di pace Onu. È anche un gravissimo, manifesto e incomprensibile atto di ostilità verso il nostro Paese. Chiediamo con forza al governo italiano l’esplicita e incondizionata condanna dell’attacco; ci aspettiamo una conseguente azione concreta, e cioè l’immediata cessazione di qualsiasi fornitura bellica fornita, a qualsiasi titolo, a Israele”.
Intanto il Segretario di Stato Usa, Marco Rubio, come già anticipato, annuncia sanzioni contro Francesca Albanese: “La sua campagna vergognosa non sarà più tollerata” ha affermato il senatore statunitense che vuole imporre sanzioni contro la nostra connazionale. La quale, a suo dire, avrebbe cercato di “incoraggiare azioni giudiziarie” contro funzionari e aziende americane e israeliane presso la Corte Penale Internazionale. Pensiamo quanto il Segretario di Stato del Paese più potente del mondo possa sentirsi disturbato dalla nostra concittadina funzionaria Onu….
A essere sotto accusa, nel caso della giurista italiana, non sono solo le sue parole. Il vero nodo è il contenuto del suo ultimo rapporto presentato all’ONU il 30 giugno, in cui punta il dito contro alcune grandi multinazionali tecnologiche occidentali – soprattutto statunitensi – per il loro coinvolgimento indiretto nelle operazioni militari a Gaza. Nel documento, Albanese parla esplicitamente di “genocidio” e descrive un sistema economico globale che trae profitto dalla guerra, fornendo tecnologia, infrastrutture e supporto logistico all’apparato militare israeliano. Una denuncia durissima, che ha riacceso i riflettori internazionali sul legame tra aziende private e operazioni armate nei Territori palestinesi.
Non sorprende, quindi, che da più fronti si stia tentando di minare la credibilità della Signora Francesca Albanese. Le sanzioni annunciate da Rubio – pur non ancora operative – vanno lette anche in questa chiave: punire una figura istituzionale che sta mettendo in discussione non solo Israele, ma anche interessi economici occidentali.
Di fatto, dal 7 ottobre 2023, il governo israeliano ha lanciato una vasta campagna di comunicazione online per influenzare l’opinione pubblica internazionale. Come ha ricostruito Fanpage.it, appunto, Israeli Government Advertising Agency, struttura che lavora per diversi enti pubblici israeliani, punta a veicolare messaggi favorevoli a Israele e screditare voci critiche, come l’UNRWA o la relatrice ONU Francesca Albanese. In alcuni casi, le sponsorizzazioni sono apparse accanto ai video di influencer italiani come Caleel, che ha raccontato di aver ricevuto centinaia di segnalazioni da follower infastiditi dagli spot, visibili anche fuori dall’Italia.
Tra gli strumenti usati, appunto, annunci testuali sponsorizzati su Google: cercando ad esempio “UNRWA”, il primo risultato è una pubblicità israeliana che accusa l’agenzia ONU di collusioni con Hamas, senza però portare prove concrete. Wired US conferma che questi annunci affiancano quelli ufficiali delle Nazioni Unite, generando confusione tra gli utenti.
La campagna ha toccato anche il mondo dello spettacolo. Durante l’Eurovision 2025, lo Stato israeliano ha promosso sui social la candidatura della propria artista Yuval Raphael, acquistando annunci per invitare al voto. Il caso ha sollevato decise preoccupazioni in Europa: l’emittente olandese AVROTROS ha parlato apertamente di “interferenza”, mentre la norvegese NRK ha denunciato il rischio che venga compromessa la fiducia nel concorso.
Nonostante il Digital Services Act imponga la rimozione di contenuti fuorvianti o manipolatori, la campagna israeliana prosegue. Secondo Fanpage, Google, infatti, avrebbe esitato a bloccare gli annunci per non compromettere i rapporti commerciali con Israele. Intanto, video e messaggi sponsorizzati continuano a occupare spazi strategici sulle principali piattaforme online.
Insomma, un momento davvero particolare e dlicato per Francesca Albanese. È difatti passata in solo giorno dalla candidatura al Nobel per la Pace, su proposta dell’eurodeputato socialdemocratico sloveno Matjaž Nemec, alle annunciate sanzioni del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, come ha scritto su X il segretario Marco Rubio.
La procedura per la candidatura al premio Nobel sottolinea il ruolo di “prima voce degli orrori contro il popolo palestinese, che soffre terrore e disumanizzazione di proporzioni inimmaginabili a Gaza e in Cisgiordania da un anno e mezzo” riferisce Rainews.it.
di Sandro Doria