K metro 0 – Vienna – L’Austria ieri, ha espulso e rimpatriato un criminale siriano affidandolo alla giustizia del suo Paese. Di fatto è il primo Paese dell’UE a farlo ufficialmente negli ultimi quindici anni. “L’espulsione effettuata oggi fa parte di una politica di asilo rigorosa e quindi equa”, ha precisato ieri il ministro dell’Interno
K metro 0 – Vienna – L’Austria ieri, ha espulso e rimpatriato un criminale siriano affidandolo alla giustizia del suo Paese. Di fatto è il primo Paese dell’UE a farlo ufficialmente negli ultimi quindici anni. “L’espulsione effettuata oggi fa parte di una politica di asilo rigorosa e quindi equa”, ha precisato ieri il ministro dell’Interno Gerhard Karner in una dichiarazione inviata all’AFP.
Da dicembre scorso, dalla cacciata del dittatore Bashar al-Assad, l’Austria esercita una notevole pressione per poter rimpatriare i siriani in Siria. Il Paese europeo ospita circa 100.000 siriani, che costituiscono una delle più grandi diaspore nel Vecchio Continente.
Karner, del Partito Popolare conservatore al governo dell’Austria, si era recato in Siria con la sua omologa tedesca Nancy Faeser ad aprile per discutere, tra l’altro, dei rimpatri. Oggi ha promesso di “continuare questo percorso scelto con duro lavoro e determinazione”.
L’Austria mantiene dunque il pugno duro: è stata tra le nazioni dell’Unione Europea ad aver sospeso tutte le richieste di asilo siriane dopo la cacciata di Assad. Ha anche interrotto i ricongiungimenti familiari.
Sempre sulla Siria, venerdì 27 giugno, in occasione della Giornata internazionale per le vittime della tortura, Amnesty International ha acceso i riflettori su una ferita che, anche per l’indifferenza del mondo resta ancora aperta: quella di migliaia di siriani sopravvissuti agli abusi nei centri di detenzione, primo fra tutti l’orrore della prigione militare di Saydnaya.
La caduta del regime di al-Assad, ha segnato una svolta politica. Ma chi ha vissuto l’inferno delle torture non può voltare pagina così in fretta. Le cicatrici — fisiche e interiori — restano. E senza cure adeguate, senza sostegno psicologico, senza un serio impegno per la giustizia, il rischio è che la sofferenza diventi cronica, invisibile, dimenticata.
Amnesty lancia così un appello chiaro: i governi non possono restare alla finestra. Serve finanziare programmi di assistenza per chi ha subito torture, in particolare quelli che riguardano la salute mentale. È un dovere legale per le autorità siriane, certo, ma è anche una responsabilità morale per la comunità internazionale.
C’è, sulla carta, qualche segnale. Nella recente Dichiarazione costituzionale, il governo siriano ha messo nero su bianco il divieto di tortura, ha cancellato i limiti di prescrizione per le indagini e ha istituito una Commissione per la giustizia di transizione. Un passo importante nella giusta direzione.
Anche il ministro dell’Interno, nel corso di un incontro con Amnesty lo scorso maggio, ha promesso che i centri simbolo degli abusi — come Saydnaya e la famigerata sezione Palestina — non verranno più usati per la detenzione. Quel giorno, l’organizzazione ha incontrato anche i sopravvissuti e le associazioni che li rappresentano, così come i gruppi che si battono per ritrovare i desaparecidos siriani. Tutti, senza eccezione, hanno ribadito una cosa: giustizia e riparazione non possono prescindere dal coinvolgimento diretto di chi ha subito in prima persona.
Intanto, le conseguenze delle torture restano scritte nei corpi: tubercolosi, problemi alla vista, ossa rotte mai curate, articolazioni compromesse, denti persi. Ma c’è anche qualcosa di più difficile da diagnosticare, e forse ancora più doloroso: quel trauma collettivo che avvolge un’intera generazione di sopravvissuti, e che rischia di diventare una ferita silenziosa se non gli si dà voce.
Mentre la situazione in Siria è in evoluzione, molto fluida, in effettivo miglioramento sul piano economico e sociale specie dopo la revoca delle sanzioni. La vuole cambiamenti effettivi a partire dalla macchina della giustizia. Intanto Washington da parte sua risponde che non intende revocare le sanzioni contro l’ex tiranno siriano Bashar Assad e i suoi associati.