Migranti nella Manica: scontro in mare tra polizia e disperazione

Migranti nella Manica: scontro in mare tra polizia e disperazione

K metro 0 – Gravelines – È ancora buio quando, poco prima dell’alba del 13 giugno, una trentina di migranti emerge dalle dune sabbiose nei pressi di Gravelines, a pochi chilometri da Dunkerque, in Francia. Tra loro, almeno cinque bambini, due in tenerissima età, camminano in silenzio verso il mare. Alcuni adulti portano con sé

K metro 0 – Gravelines – È ancora buio quando, poco prima dell’alba del 13 giugno, una trentina di migranti emerge dalle dune sabbiose nei pressi di Gravelines, a pochi chilometri da Dunkerque, in Francia. Tra loro, almeno cinque bambini, due in tenerissima età, camminano in silenzio verso il mare. Alcuni adulti portano con sé piccoli zaini e giubbotti di salvataggio. Altri no. Si preparano a imbarcarsi su un gommone diretto verso la costa inglese, come ormai accade ogni giorno su questo tratto di costa.

Ma stavolta, sulla riva, li attendono agenti in tenuta antisommossa: elmetti, scudi, spray al peperoncino. Un dispositivo inusuale, persino per chi conosce bene il teatro quotidiano di questi tentativi disperati di attraversamento. A raccontarlo, con foto e metadati a supporto, è il fotografo britannico Dan Kitwood, che si trovava sul posto sin dalle 4 del mattino. “Ho visto uomini, donne e bambini camminare verso l’acqua. Poi tutto è precipitato: urla, caos, pianti”.

In una scena che ha il sapore di un incubo surreale, gli agenti entrano in acqua fino alla vita. Uno di loro spruzza spray urticante su un piccolo gruppo. Alcuni migranti reagiscono lanciando schizzi, uno cerca di proteggere un bambino col proprio corpo. Un poliziotto, con scudo pesante, vacilla nella corrente. Un altro estrae lo spray per fermare quelli che appaiono più minacciosi. Alla fine, nonostante lo spiegamento, metà del gruppo riesce comunque a salpare.

“Non avevo mai visto nulla del genere. È stato pericoloso per tutti, agenti e migranti”, dice Kitwood. E aggiunge: “Non c’è stata brutalità gratuita, ma un esperimento mal riuscito, un’operazione improvvisata e rischiosa”.

Dal 2018, con l’aumento esponenziale delle traversate verso il Regno Unito, le forze francesi hanno intensificato i controlli lungo i 150 chilometri di costa tra Dunkerque e Le Touquet. Secondo il ministro dell’Interno Bruno Retailleau, ogni giorno 1.200 agenti sono mobilitati, 730 dei quali finanziati direttamente da Londra in base al trattato di Sandhurst del 2018.

Ma se fino ad ora gli interventi si limitavano a intercettazioni a terra o al sabotaggio dei gommoni, ciò che è accaduto a Gravelines apre una nuova, inquietante prospettiva: quella dell’intervento diretto in acqua, con attrezzature pesanti e metodi finora inediti.

Charlotte Kwantes, portavoce dell’associazione umanitaria Utopia56, che opera con i migranti sulla costa, non ha dubbi: “Non possiamo ignorare il collegamento con le recenti pressioni del governo britannico. Vogliono che la Francia fermi le partenze direttamente in mare, anche nelle acque basse. E il ministro Retailleau, a febbraio, aveva già invocato una nuova ‘dottrina’, che consenta alle forze dell’ordine di intervenire fino a 300 metri dalla costa”.

Il rischio, secondo molti osservatori, è che una simile escalation produca solo più violenza e incidenti. “Siamo sull’orlo della tragedia”, denuncia un volontario della Société nationale des sauveteurs en mer (SNSM), che preferisce rimanere anonimo. “Bloccare gommoni fragili, con a bordo donne e bambini, magari già feriti o storditi dai lacrimogeni, è una ricetta per il disastro”.

Le autorità locali – dalla Préfecture du Nord alla Prémar, responsabile della sicurezza marittima – non hanno risposto alle richieste di commento. I sindacati di polizia, invece, difendono l’intervento. “L’attrezzatura può sembrare eccessiva, ma è l’unica protezione che i nostri colleghi hanno”, afferma Marc Hocquard dell’Unsa. “Ci lanciano pietre, a volte usano spranghe. Le aggressioni sono all’ordine del giorno”.

Anche Julien Soir, del sindacato Alliance, sottolinea il contesto sempre più pericoloso: “In certi giorni, fino a mille persone tentano la traversata. Le reti dei trafficanti sono sempre più sofisticate. Noi cerchiamo solo di arginare l’emergenza”.

Per entrambi, l’azione a Gravelines resta un’eccezione. Ma la domanda resta sospesa: è stato solo un tentativo isolato o l’inizio di una nuova politica più aggressiva? Ufficialmente non esiste alcun piano di modifica operativa, né un gruppo di lavoro dedicato, ma le immagini del 13 giugno sono già un precedente.

Nel frattempo, la Manica continua ad attrarre centinaia di disperati ogni settimana. E la linea sottile tra controllo delle frontiere e rischio umanitario si fa sempre più sfocata.

 

di Sandro Doria

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