K metro 0 – Mosca – L’attacco aereo più audace delle forze ucraine dall’inizio dell’invasione russa ha lasciato il segno nel cuore della potenza militare di Mosca. L’attacco ucraino precede però il secondo round di colloqui di pace in corso a Istanbul tra Kiev e Mosca, Con questa “Operazione Ragnatela”, condotta dal Servizio di sicurezza
K metro 0 – Mosca – L’attacco aereo più audace delle forze ucraine dall’inizio dell’invasione russa ha lasciato il segno nel cuore della potenza militare di Mosca. L’attacco ucraino precede però il secondo round di colloqui di pace in corso a Istanbul tra Kiev e Mosca,
Con questa “Operazione Ragnatela”, condotta dal Servizio di sicurezza ucraino (SBU), Kiev ha sferrato un colpo spettacolare e strategico contro almeno quattro basi aeree russe, danneggiando o distruggendo circa 40 aerei da guerra, tra cui bombardieri strategici e velivoli da sorveglianza. Ma l’impatto dell’azione, secondo analisti e fonti governative, va ben oltre il danno fisico: è un messaggio diretto a Mosca, ma anche all’Occidente.
L’operazione ha ridotto la capacità strategica russa di proiezione globale, compresa quella nucleare, alterando l’equilibrio militare eurasiatico. Uno degli attacchi ha colpito anche una base di sottomarini nucleari con missili balistici. Secondo il blogger militare ucraino Oleksandr Kovalenko, anche se alcuni aerei non sono stati distrutti, “l’impatto è enorme” perché il danno logistico e industriale è tale da rendere estremamente complessa la sostituzione dei velivoli. “Il Tu-160 è un unicorno dell’aviazione russa, e ne sono stati colpiti due”, scrive su Telegram.
Nei video, si vedono i camion da cui sono decollati i droni in fiamme: gli ucraini hanno detto che i camion erano stati pensati per esplodere una volta completato il decollo di tutti i droni.
L’operazione, secondo quanto riferito dai media, è il risultato di 18 mesi di preparazione logistica e tecnologica. I droni sono stati assemblati in segreto, introdotti clandestinamente in Russia e nascosti in speciali cabine di legno caricate su camion. Al momento opportuno, i tetti delle cabine si sono aperti a distanza e i droni sono decollati per colpire obiettivi a migliaia di chilometri dal confine ucraino.
Tra le basi attaccate figurano Belaya, in Siberia, Olenya, nell’oblast di Murmansk, Dyagilevo a Ryazan e Ivanovo, tutte località ben protette e lontane da scenari di guerra. Secondo l’analista militare Serhii Kuzan, “nessun servizio di intelligence al mondo ha mai compiuto qualcosa di simile”. I bombardieri Tu-95, Tu-22 e Tu-160 colpiti non sono più in produzione, e la loro perdita costituisce una grave battuta d’arresto per l’aviazione russa.
Le stime dell’SBU parlano di circa 7 miliardi di dollari di danni, non verificabili in modo indipendente. Ma la potenza simbolica dell’attacco è evidente. Lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha esaltato il successo dell’operazione, congratulandosi con il capo dell’SBU, Vasyl Malyuk. Zelensky ha dichiarato che “ciascuno dei 117 droni lanciati aveva un proprio pilota” e che l’ufficio operativo dell’attacco si trovava “accanto all’FSB russo in una delle loro regioni”. Secondo la versione ufficiale nemmeno Trump è stato avvertito dell’attacco.
Ma la Ragnatela non parla solo alla Russia. L’azione è anche una risposta politica e strategica agli alleati occidentali, in particolare agli Stati Uniti, accusati da Kiev di considerare ormai l’Ucraina una causa persa. Secondo quanto riferito da BBC Ukrainian attraverso Svyatoslav Khomenko, un funzionario ucraino ha espresso frustrazione: “Il problema è che gli americani pensano che abbiamo già perso la guerra, e da qui discende tutto”.
La risposta di Mosca è ora al vaglio del Cremlino: nei canali Telegram filorussi si parla apertamente di una possibile ritorsione nucleare tattica, per esempio sull’Isola dei Serpenti nel Mar Nero. Roman Alekhin, blogger militare, ha definito l’attacco “la Pearl Harbour della Russia”. Il Cremlino minimizza dopo l’operazione di Kiev, ma accusa il colpo: “Presto la punizione”.
Tuttavia, un’escalation nucleare non è affatto scontata. Secondo fonti militari ucraine, nel 2022 il generale Valerii Zaluzhnyi dichiarava che “l’uso di armi nucleari tattiche non sarebbe un problema ucraino, ma di tutto l’Occidente”. E lo stesso Putin sa che nuovi attacchi indiscriminati ai civili comprometterebbero le sue relazioni con i leader populisti occidentali, come Donald Trump. Più probabile, secondo alcuni analisti, una risposta convenzionale come il lancio del missile strategico Oreshnik, già usato a novembre per colpire Dnipro.
Pavel Aksenov, esperto dell’aeronautica militare di Mosca intervistato dalla Stampa, osserva che le difese delle basi russe non erano totalmente assenti, ma che nessuno si aspettava un attacco con droni introdotti clandestinamente da camion civili. “Difendere tutto il territorio della Russia sarà costosissimo: serviranno hangar blindati, radar, guerra elettronica. È un costo insostenibile”, spiega.
L’Operazione Ragnatela arriva mentre il generale Carsten Breuer, capo della difesa tedesca, ha lanciato l’allarme su un possibile attacco russo a Paesi NATO entro il 2029. In un’intervista alla BBC, ha parlato di una Russia in pieno riarmo, con la produzione di 1.500 carri armati e 4 milioni di proiettili d’artiglieria all’anno. Secondo Breuer, Mosca vede il conflitto in Ucraina come parte di un confronto continuo con la NATO. Il punto più vulnerabile? Il Suwalki Gap, tra Lituania, Polonia e Kaliningrad.
Si tratta di un corridoio di terra di circa 65 km tra Polonia e Lituania, conosciuto per essere un punto strategico e potenzialmente vulnerabile per la NATO. Questa stretta zona, situata tra l’exclave russa di Kaliningrad e la Bielorussia, è considerata un “tallone d’Achille” dell’Alleanza Atlantica, in quanto potrebbe essere utilizzata dalla Russia per interrompere la comunicazione tra la Polonia e gli Stati baltici, tagliando loro il collegamento con il resto della NATO.