K metro 0 – Roma – Inizia la giornata al suono della sveglia del nostro smart phone. E’ premura portar con noi quei “dispositivi” che agevolano la vita personale e professionale, sono strumenti insostituibili per la comunicazione interpersonale e consentono di immergerci in un flusso continuo di informazioni. In questo contesto l’intelligenza artificiale costituirebbe un booster
K metro 0 – Roma – Inizia la giornata al suono della sveglia del nostro smart phone. E’ premura portar con noi quei “dispositivi” che agevolano la vita personale e professionale, sono strumenti insostituibili per la comunicazione interpersonale e consentono di immergerci in un flusso continuo di informazioni.
In questo contesto l’intelligenza artificiale costituirebbe un booster volto a moltiplicare una velocità di marcia già elevata.
Siamo mediamente interessati e addirittura orgogliosi di partecipare a un processo evolutivo epocale, ostili verso quei retrogradi che rivendicano gli effetti positivi di una vita più umana.
E’ però indubbio che il subentro di un ordine artificiale/digitale a quello che era l’ordine fisico terrestre ha fatto venir meno la centralità delle cose e la loro stabilità.
Al remoto feticismo degli oggetti – quando il desiderio di questi era collegato alla sopravvivenza e al piacere del possesso – ha fatto seguito, dapprima con la rivoluzione industriale, un crescente allontanamento dalla natura e dalla manualità e, infine, la venerazione dell’informatizzazione e delle innovazioni tecnologiche.
Ci esponiamo volontariamente ad ogni folata di vento o moda, sempre in cerca di quel wow che viene da novità sorprendenti, immediatamente superate, mai sufficienti a lasciare in noi quel senso di fermezza che invece scaturisce dal contemplare e soffermarsi.
Siamo convinti che il vivere umano non può comportare crucci perché il futuro previsto dal presente ottimizzato non ci preoccupa più di tanto ed è a portata di touch screen.
La nostra realtà, pilotata da informazioni e propaganda, fatta di messaggi mirati e veloci, incentrata sulla “critica contro” (alternativa facile alla ben più impegnativa perorazione), mette in dubbio le nostre convinzioni, limita le nostre capacità espressive e pialla la differenza tra vero e falso, riducendo la valenza del ricordo e della tradizione, poiché tutto può essere detto e veicolato, spesso potendo dirsi, all’indomani, anche il contrario di tutto.
Verrebbe da dire che, così facendo, stiamo anche avvicinando la linea dell’orizzonte, lasciando ai c.d. “poteri forti” la possibilità di colmare uno spazio in precedenza “occupato” da istanze personali e sociali ben più appaganti e rassicuranti.
Mi sembra che esista il rischio di un impoverimento del nostro essere, quasi non comprendessimo il disvalore del limitarci al ruolo di hardware sul quale “girano” vorticosamente sistemi e processi che, diventando più evoluti, ci condannano a sostituirci per fornire nuove fondamenta al loro operare.
Ma quale sarebbe invece l’orizzonte pieno oggi?
Non ho una risposta certa, ma basta la constatazione di come sin dall’infanzia la vita odierna sia accompagnata da un compulsivo utilizzo di dispositivi tecnologici per dare il là a una serie di riflessioni e interrogativi di più ampio respiro sugli effetti della dipendenza da “vita digitalizzata”.
Ma l’apprendimento non passa prevalentemente per le esperienze corporee? Vedere, toccare e sentire per il tramite di un dispositivo è equivalente?
Siamo proprio certi che il credere in qualcosa di superiore e il condividere principi e dettami proposti dalla società o dalla religione non serva a nulla?
In definitiva, quale è la prospettiva generale “umana” che rischiamo di limitare e quale l’orizzonte cui potrà accedere l’inumano per intuire e presagire? Potrà mai raggiungere la totalità da cui muove il pensiero e l’essere umano?
Ho trovato conforto nel leggere in alcuni scritti ciò in cui credo fermamente e cioè che solo appartenendo – che dal pertinere latino richiama “concernere” ed “essere volti” – al mondo umano si può accedere a concetti generali e quindi comprendere, perché cogliere relazioni ed avere capacità additive (top goal dell’AI), non è sapere, non è intuire e intravedere all’orizzonte, non consente di passare da una conclusione ad un’altra, nuova.
Di una cosa sono certo: moltissimo ho imparato dai miei cari, “maestri” e amici: il piacere di fermarsi a riflettere e approfondire, la necessità di valutare le conseguenze del proprio agire, l’importanza di fare domande ed esercitarsi a dare risposte motivate, la gioia di condividere valori ed esperienze, il saper cogliere qualcosa dalla frequentazione di qualsiasi tipo di umanità. Perché credere che ci può essere molto di diverso ampia i nostri orizzonti, porta a pensare ad apprendere e a digerire il sapere, rendendoci esseri superiori e liberi!
Sono certo che questo millennio ci riserverà mille piacevoli sorprese e che troveremo soluzioni a moltissimi problemi, ma ho anche il ragionevole dubbio che quanto più l’economia, la tecnologia e l’informatizzazione saranno strettamente legate alla profittabilità, all’efficacia e alla velocità, tanto meno saremo capaci di pensare e di essere pertinenti il mondo umano, avendo lasciato sempre più spazio e tempo a ciò che non lo è.
di Alessandro Balleri