K metro 0 – Nuova Delhi – Per la seconda notte consecutiva, India e Pakistan si sono scambiati colpi di arma da fuoco lungo la Linea di Controllo (LoC) che divide le rispettive aree del Kashmir. Gli scontri si inseriscono nella crisi seguita all’attentato del 22 aprile a Pahalgam, che ha causato 26 morti. L’Esercito
K metro 0 – Nuova Delhi – Per la seconda notte consecutiva, India e Pakistan si sono scambiati colpi di arma da fuoco lungo la Linea di Controllo (LoC) che divide le rispettive aree del Kashmir. Gli scontri si inseriscono nella crisi seguita all’attentato del 22 aprile a Pahalgam, che ha causato 26 morti. L’Esercito indiano riferisce di aver risposto a “colpi ingiustificati” provenienti da diverse postazioni pachistane. Non si registrano vittime tra i militari indiani. Islamabad, al momento, non ha commentato ufficialmente.
Nuova Delhi accusa il Pakistan di essere responsabile dell’attacco. L’azione è stata rivendicata da un gruppo poco noto, il “Fronte della Resistenza”, che secondo le autorità indiane sarebbe una copertura del Lashkar-e-Taiba (LeT), gruppo jihadista legato ai servizi segreti pachistani. I media indiani puntano anche il dito contro il capo dell’Esercito pachistano, generale Asim Munir, che pochi giorni prima dell’attacco aveva definito il Kashmir la “vena giugulare” del Pakistan.
Nonostante l’assenza di prove concrete, l’India ha reagito immediatamente. Il 24 aprile ha sospeso il rilascio dei visti ai cittadini pachistani e revocato quelli già concessi, fatta eccezione per i visti medici validi fino al 29 aprile. Inoltre, ha chiesto ai cittadini pachistani in India di lasciare il Paese e ha sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Pakistan.
Tra le misure più dure spicca la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo, firmato nel 1960. L’India ha deciso di bloccare il flusso del fiume Indo, privando il Pakistan di una risorsa vitale per l’agricoltura e la produzione di energia. Un gesto che Islamabad ha definito “atto di guerra”. Il settore agricolo pakistano rappresentava nel 2023 il 23,3% del PIL e impiegava oltre un terzo della forza lavoro. Il blocco rischia di colpire duramente anche il settore energetico: l’idroelettrico, nel 2022, copriva il 25% del fabbisogno nazionale, grazie a centrali alimentate proprio dall’Indo.
La reazione pachistana non si è fatta attendere. Il 24 aprile, il Comitato per la sicurezza nazionale, presieduto dal primo ministro Shehbaz Sharif, ha deciso la chiusura del valico di Wagah, l’interruzione di tutti gli accordi bilaterali e la sospensione del trattato di Simla del 1972, che finora aveva regolato la gestione della Linea di Controllo. Islamabad ha chiuso lo spazio aereo ai voli indiani, sospeso ogni scambio commerciale diretto e tramite Paesi terzi, ed espulso parte del personale diplomatico indiano. Entro il 30 aprile, il numero di diplomatici indiani sarà ridotto a 30 unità.
Il Pakistan ha inoltre revocato i visti concessi ai cittadini indiani nell’ambito dell’accordo Saarc, fatta eccezione per i pellegrini sikh, obbligati comunque a lasciare il Paese entro 48 ore. Il ministro della Difesa pachistano, Khawaja Asif, ha accusato l’India di pianificare attacchi terroristici in territorio pachistano e ha promesso una risposta “proporzionata e tempestiva”, senza però fornire prove. Anche il vicepremier e ministro degli Esteri, Ishaq Dar, ha sfidato Nuova Delhi a presentare evidenze concrete sul presunto coinvolgimento pachistano nell’attacco di Pahalgam, ribadendo l’impegno del Pakistan contro il terrorismo.
Intanto il rischio di un conflitto armato cresce. Il capo dell’Esercito indiano, generale Upendra Dwivedi, si è recato a Srinagar, nel Jammu e Kashmir, per valutare la situazione di sicurezza, concentrandosi sulla LoC. È proprio qui che ora si concentra l’attenzione internazionale.
La Linea di Controllo, istituita con il trattato di Simla, nasceva per stabilizzare i rapporti dopo la guerra del 1971 che aveva portato alla nascita del Bangladesh. India e Pakistan si erano impegnati a non modificarla, ma negli anni le violazioni sono state continue. Il conflitto sul Kashmir ha radici profonde: dopo la spartizione del 1947, India e Pakistan hanno combattuto tre guerre (1947, 1965, 1999) legate al controllo di questa regione contesa.
Anche all’interno del Kashmir indiano le tensioni non sono mai cessate. Dal 1989, con l’inizio della rivolta separatista, la regione è teatro di un conflitto che ha causato almeno 40.000 morti, in gran parte civili. Nel 2019, l’India ha revocato l’autonomia del Jammu e Kashmir, alimentando nuove proteste e rafforzando il risentimento tra la popolazione musulmana locale.
Oggi, con la sospensione degli accordi bilaterali e la chiusura del valico di Wagah, le relazioni tra India e Pakistan toccano uno dei punti più bassi degli ultimi decenni. La fragilità della situazione, unita alla presenza di armi nucleari in entrambi i Paesi, rende la crisi attuale particolarmente pericolosa.