K metro 0 – New York – Wall Street ha chiuso la settimana con un segno positivo, ma sotto la superficie si celano segnali di debolezza e incertezza che mettono in discussione la solidità del rimbalzo. A trainare i listini sono stati, ancora una volta, i colossi della tecnologia. Ma la forza di pochi giganti
K metro 0 – New York – Wall Street ha chiuso la settimana con un segno positivo, ma sotto la superficie si celano segnali di debolezza e incertezza che mettono in discussione la solidità del rimbalzo. A trainare i listini sono stati, ancora una volta, i colossi della tecnologia. Ma la forza di pochi giganti sta mascherando la fragilità del resto del mercato.
Venerdì l’S&P 500 è salito dello 0,7%, mentre il Nasdaq ha guadagnato l’1,3%, spinto al rialzo da titoli come Alphabet e Nvidia, che hanno registrato forti rialzi grazie a risultati superiori alle attese. Il Dow Jones ha invece chiuso con un modesto +0,1%, segno di un progresso più selettivo.
Alphabet, società madre di Google, ha riportato una crescita degli utili del 50% rispetto allo scorso anno, battendo ampiamente le previsioni degli analisti. Nvidia ha segnato un +4,3%, confermando la sua posizione di leader nel comparto dei semiconduttori. Tuttavia, non tutte le aziende tecnologiche hanno brillato: Intel ha perso il 6,7%, penalizzata da previsioni deboli nonostante risultati positivi.
E proprio in questo contrasto si cela il messaggio più importante: la forza delle Big Tech sta mascherando una debolezza strutturale più ampia. Venerdì, infatti, circa il 60% dei titoli dell’S&P 500 è sceso, segno che il rialzo è trainato da un gruppo ristretto di titoli ad altissima capitalizzazione.
La situazione è aggravata da un crescente clima di incertezza macroeconomica, legata in gran parte alla politica commerciale del Presidente Donald Trump. Aziende come Eastman Chemical (-6,2%) e Skechers (-5,3%) hanno abbassato le proprie previsioni per il futuro, citando le conseguenze dei dazi e della volatilità geopolitica. L’amministratore delegato di Eastman ha parlato di “incertezza crescente” e di difficoltà nel valutare la domanda futura, mentre Skechers ha definito l’attuale contesto globale come un freno alla visibilità sui ricavi.
Secondo Brian Jacobsen, capo economista di Annex Wealth Management, “le piccole imprese rischiano di essere le più penalizzate, non avendo le risorse per adattare rapidamente le loro catene di approvvigionamento”. Una condizione che, per molti, potrebbe rivelarsi una vera e propria minaccia esistenziale.
Nel frattempo, il mercato obbligazionario ha continuato a lanciare segnali di allerta: i rendimenti dei Treasury sono in calo, con il decennale sceso al 4,25%, rispetto al 4,32% di giovedì. Un trend in discesa che riflette le aspettative di un possibile taglio dei tassi da parte della Federal Reserve, nel tentativo di sostenere la crescita economica.
Il sentiment dei consumatori statunitensi, secondo l’indagine dell’Università del Michigan, ha subito un netto peggioramento: la misura delle aspettative per il futuro è calata del 32% da gennaio, il peggior calo trimestrale dai tempi della recessione del 1990.
A livello internazionale, i mercati azionari hanno registrato performance miste. L’Europa ha chiuso in rialzo moderato, mentre in Asia si è vista una maggiore variabilità, con il Nikkei 225 in aumento dell’1,9% e Shanghai in leggero calo.
Il dollaro USA si è mantenuto stabile, dopo aver recuperato parte delle perdite registrate a inizio mese. Nonostante la volatilità, continua a essere percepito come un bene rifugio, almeno nel breve termine.
Uno slancio fragile, dunque.
In conclusione, se da un lato i dati positivi delle Big Tech offrono un momentaneo sollievo agli investitori, dall’altro lato la struttura del mercato resta fragile. Le tensioni commerciali, l’incertezza sulle politiche monetarie e il calo della fiducia dei consumatori indicano che i rischi sistemici non sono affatto superati.
Il rally di questi giorni, pur significativo, appare quindi più come una reazione tecnica che non l’inizio di una nuova fase di espansione. Le prossime settimane saranno cruciali per comprendere se la Federal Reserve deciderà davvero di intervenire e se il Presidente Trump modificherà la sua strategia commerciale. In caso contrario, la possibilità di una recessione rimane sul tavolo.